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Centenario della Grande Guerra – Le battaglie nei Balcani/ 2

Quando l’Austria Ungheria dovette ritirarsi a nord del Danubio, ricacciata dall’esercito serbo, questo si montò la testa e provò a incalzarlo

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Cannoni serbi catturati dagli austriaci - Foto Wikipedia.

Come abbiamo visto nella puntata precedente (vedi), il primo tentativo di Conrad von Hötzendorf di piegare la Serbia era naufragato miseramente e il generale comandante del settore meridionale della Monarchia Danubiana, Oskar Potiorek, dovette riportare in fretta e furia le sue divisioni a nord della Drina, della Sava e del Danubio.
Una sconfitta cocente, dovuta a due ragioni: la sottovalutazione dei Serbi e l’incalzare della Russia a oriente.
Quello che pochi sanno è che l’esercito serbo, guidato dal voivoda (maresciallo) Ramodir Putnik, non si accontentò di aver respinto l’invasore ma decise addirittura di incalzarlo nel territorio dell’impero austro ungarico.
Ma anche quello di Putnik è stato un errore grossolano di sottovalutazione della situazione nel suo insieme.
È ben vero che era sceso in campo al suo fianco anche l’esercito montenegrino che aveva dichiarato guerra a Vienna il 5 agosto, ma si trattava pur sempre di un rapporto di forze improponibili.
 
Senza seguire un disegno preciso, i due alleati decisero di compiere incursioni nel territorio nemico, certi che l’irredentismo slavo di Bosnia ed Erzegovina avrebbe fatto il suo corso.
Più che una campagna vera e propria si trattò di guerriglia di frontiera, che i comunicati austriaci definivano «azioni brigantesche», anche se in realtà ormai era guerra totale e qualsiasi cosa andava bene pur di contrastare il nemico.
Le grandi masse impiegate sugli altri fronti seguivano pianificazioni ben precise e l’insorgere delle trincee e dei reticolati impediva qualsiasi infiltrazione di gruppi armati dietro le linee. Lo scacchiere meridionale invece per qualche mese fu teatro di un certo dinamismo di reparti in marcia o in ritirata.
Le incursioni serbe si svolsero fin dai primi giorni di settembre nella Sirmia e nella Slavonia, oltre la Sava e il Danubio. Le cose non andarono affatto lisce per gli invasori, tanto vero che una grossa colonna venne intercettata dagli austriaci a Mitrovitza, che oltre a respingerla fecero 4.000 prigionieri.
Andò meglio a Semlino, che venne conquistato dai serbi il 10 settembre. Lo scopo era di colpire le artiglierie austriache che incessantemente bombardavano la città di Belgrado. L’operazione militare non andò più in là di una scorreria, né poteva essere di più.
 
Unica azione di qualche importanza fu la tentata marcia su Sarajevo, dove due colonne serbe e montenegrine si portarono dalla parte austriaca della Drina.
Si trattava comunque di unità che, rapportate alle dimensioni della Grande Guerra, non avevano alcun peso né per il numero degli effettivi né tantomeno per i mezzi di cui disponevano.
Però si portarono a una quindicina di chilometri dalla linea Viscegrad-Serajevo e Potiorek dovette intervenire per impedire che le due colonne si ricongiungessero.
Il 26 settembre gli invasori serbi e montenegrini trovarono l’ostacolo invalicabile dell’esercito austriaco trincerato sul monte Romania. Per gli Austro ungarici quel monte divenne come le Termopili per i Greci e lo scontro fu sanguinoso per entrambe le parti.
Risolutivo fu ancora una volta l’intervento dei tedeschi che, dopo aver aiutato Vienna contro i Russi, avevano dovuto soccorrerli anche nel settore meridionale.
Lo stesso Conrad, risolto al momento il problema dei Russi, mandò rinforzi a Potiorek. La debolezza degli invasori emerse in tutta la sua evidenza e si ritirarono in rotta.
A loro volta dovettero quindi ripassare la Drina e la Sava e prepararsi a parare il probabile contrattacco degli Imperi Centrali.
 
GdM
(Continua) 

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