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Cento anni fa iniziava l’anno di sangue per l’Italia: il 1915

I sei mesi che portarono l’Italia alla terribile decisione di entrare in querra – Prima parte: la dichiarazione di neutralità

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Vignetta satirica con Vittorio Emanuele al centro che assiste all'equilibrio europeo nel tiro alla fune.

L’inverno 1914-1915 fu terribilmente freddo, ma questo non impedì ai signori della guerra di scatenare battaglie gigantesche sul fronte orientale, dove morirono decine e decine di migliaia di soldati tra atroci sofferenze.
Nella prima metà del 1915 parleremo della battaglia dei Tre Imperi (Germania, Austria-Ungheria e Russia), della Battaglia dei Mille chilometri e della tragica e stolta dei Dardanelli.
Ma ciò che più ci riguarda da vicino sono le vicende politiche, diplomatiche e militari che portarono il Regno d’Italia ad entrare nella Prima Guerra Mondiale.
Era arrivato al 1915, l’anno di sangue per l’Italia.

Con il senno di poi, la maggior parte degli osservatori condanna oggi l’entrata in guerra dell’Italia, ritenendo che se fosse rimasta neutrale avrebbe risparmiato la vita a 600 mila soldati italiani e avrebbe ottenuto lo stesso notevoli benefici dalle nazioni belligeranti.
Noi non siamo di questo parere, anche se - con il senno di poi - anche noi affermiamo che la guerra doveva essere evitata. Ma si parla di cento anni fa e non di oggi.
La scelta di restare neutrali venne presa dal governo italiano già il 3 agosto 1914, poco dopo l’attentato di Sarajevo, sulla scorta del trattato della Triplice Alleanza che prevedeva l’entrata in guerra a fianco degli alleati solo in caso di attacco nemico.
La guerra era stata scatenata da un insieme di eventi concatenati che deponevano a favore della decisione italiana. Anzitutto l’Austria Ungheria non era stata attaccata dalla Serbia ma, viceversa, aveva deciso di invaderla. La Russia minacciò il proprio intervento a fianco della Serbia. A quel punto la Germania dichiarò guerra a Russia e Francia prima ancora che San Pietroburgo e Parigi decidessero alcunché. Una questione di tempi, ma che concesse all’Italia l’alibi per affermare la propria neutralità.
Ecco cosa accadde in Italia in quei giorni convulsi.
 

Luigi Carodna, Franz Conrad von Hötzendorf e Helmut Johan Ludwig Moltke.

Alle ore 09.00 del 2 agosto 1914, il conte Luigi Cadorna era nel suo ufficio di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, quando gli venne annunciata la visita dell’addetto militare all’Ambasciata austriaca a Roma.
Dopo i brevi convenevoli del caso, l’ufficiale diede al generale una lettera riservata, a firma del generale Conrad.
 
Eccellenza,
la situazione, diventata improvvisamente serissima, mi obbliga a chiedere a Vostra Eccellenza quegli accordi verbali che io avevo intavolato con il generale Pollio, ora defunto.
Essi consistono in questo: che l’Italia destini le proprie truppe a soccorso dell’Austria Ungheria.
Prego V.E. di comunicarmi benevolmente quali truppe designa a ciò e quando e dove saranno pronte.
Mi permetto anche di pregare V.E. di mandare immediatamente a Vienna un Delegato munito dei pieni poteri necessari.
Voglia gradire l’assicurazione della mia altissima considerazione e devozione.
Conrad, generale di fanteria.
 
Cadorna non riuscì a nascondere il proprio imbarazzo, poi diede una risposta di circostanza precisando che la questione era nelle mani del governo.
Poco dopo, fu la volta dell’addetto militare tedesco. Il quale si limitò ad annunciare la visita del generale von Chelius, inviato da Guglielmo II e da Moltke.
E infatti, il generale von Chelius si presentò a lui con precise disposizioni da Berlino.
Mentre Conrad si era limitato a porre sul tavolo richieste di natura militare, il tedesco andò più in là.
Alle richieste di intervento armato fece seguire delle promesse: Nizza, la Corsica e la Tunisia. [Non venne fatto cenno alla Savoia – NdR].
Ovviamente non mancò di magnificare la formidabile potenza militare teutonica, che Pollio (ma non Cadorna) conosceva bene perché aveva assistito l’anno prima alle manovre tedesche nella Slesia.
 
«C’est l’affaire de quelques semaines» – sottolineò Chelius soddisfatto, nella lingua diplomatica in uso allora, anche se propria del paese nemico.
«Non vi pare un po’ poco qualche settimana? – Obbiettò Cadorna. – I Francesi hanno ottime fortezze al confine.»
Von Chelius non parlò dell'intenzione di invadere il Belgio, ampiamente pianificata da tempo, ma rispose con una battuta che impressionò il generale italiano.
«Si sferra un corpo d’armata – disse con noncuranza, – quindi un altro, i cui uomini passano sui cadaveri del primo.»
Passare sui cadaveri… – pensò Cadorna. – Un dogma della crudele strategia prussiana.
[Sappiamo che si sarebbe comportato così anche lui - NdR]
Il dialogo proseguì con altre battute ciniche, poi il messo del Kaiser venne alla richiesta formale.
«Quando sarebbero state pronte le truppe italiane da trasportare in Germania?» 
 

Cartolina postale che raffigura gli inutili corteggiamenti all'Italia.

Cadorna prese nota che i tedeschi non pensavano a un fronte italo francese, poi rispose che avrebbe dovuto consultarsi con il governo.
Mentre pensava a come fosse meglio procedere, Cadorna ricevette un foglio dal generale Domenico Grandi, ministro della Guerra, che diceva: «In relazione alla situazione politica internazionale, il Governo ha deciso di mantenere per ora atteggiamento di neutralità.»
Il noto gordiano era sciolto, l’Italia non seguiva gli Imperi Centrali nella grande avventura, quindi non era più il caso di parlare di un nostro intervento in Galizia, né di un trasferimento di truppe in Germania.
Il giorno dopo, il 3 agosto, l’addetto militare austriaco bussò nuovamente alla sua porta e il generale italiano gli annunciò la decisione del Governo, consegnandogli una lettera personale per Conrad in cui spiegava brevemente che la neutralità gli impediva di dare riscontro alle sue richieste.
Anche le illusioni di Conrad erano state di breve durata.
 
Prima ancora che la lettera giungesse nelle mani di Conrad, però, Vienna e Berlino avevano già ricevuto per altra via la nota della decisione del Capo del Governo Salandra.
Cadorna fu sommerso da telegrammi e missive da parte dei suoi addetti militari nelle varie ambasciate, la più lunga e circostanziata delle quali fu quella del colonnello Albricci, in forza a Vienna.
Albicci descrisse l’atmosfera ostile di Vienna nei confronti dell’Italia, che era sempre stata considerata infida.
«E' opinione diffusa che, se gli imperi centrali perderanno la guerra – scrisse, – la Francia avrebbe invaso e dominato l’Italia. Le promesse territoriali fatte all’Italia dalla Germania erano dunque note anche a Parigi.
«Se invece vinceranno gli imperi centrali, – continuò – gli austro ungarici avrebbero punito militarmente l’Italia.» Che poi era il sogno segreto di Conrad.
Fu un’osservazione per niente peregrina quella del colonnello Albricci, che forse pose la prima pietra alla necessità da parte dell’Italia di schierarsi da una parte o dall’altra.
 

Cartolina postale interventista.
 
Alle 3 di quella stessa notte, Albricci inviò un altro telegramma cifrato, nel quale spiegava di aver parlato con l’addetto militare tedesco a Vienna, il quale aveva protestato pesantemente con lui per il mancato impegno dell’Italia.
Un terzo telegramma giunse a Cadorna poco dopo, proveniente dall’addetto militare all’ambasciata italiana a Berlino, colonnello Calderari. Il contenuto era molto più pacato, dato che riferiva il messaggio dell’ambasciatore italiano Bollati, ma il succo era lo stesso.
«Generale Moltke mi ha oggi chiamato per dirmi di aver avuto comunicazione della neutralità dell’Italia e che era dolente di non poterci più considerare alleati.»
Insomma, i tedeschi ebbero una maggiore benevolenza nei nostri confronti. Ma solo finché caddero le speranze di una conclusione rapida della guerra. Dopo la battaglia della Marna, infatti, usarono anche loro con noi il linguaggio duro degli Asburgo.
Alla fine, Cadorna informò il governo che - vinti o vincitori - gli Imperi centrali alla fine della guerra si sarebbero scagliati contro l’Italia. Un’osservazione corretta, perché nessuno poteva immaginare allora che la sconfitta di Austria e Germania avrebbe portato allo sfacelo dei due imperi.
 
Nella prossima puntata, l'impreparazione del'esercito. 
(Continua) 

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