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Cento anni fa l’Esercito Italiano si schierava lungo il confine

Prima parte: descrizione del fronte e delle quattro armate che vi venivano dislocate

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Foto Trentino Grande Guerra.
 
Cadorna aveva disposto la mobilitazione in aprile e allo scoppio della guerra (23 maggio) aveva «ammassato» in Veneto solo 200.000 ragazzi. I problemi logistici riscontrati erano piuttosto seri, eppure si era lontani dai sei milioni di soldati che negli anni di guerra sarebbero stati mobilitati.
Ma un po’ alla volta si organizzò anche l’esercito e Cadorna si dimostrò in questo un professionista preparato. Il che non era scontato, perché le capacità reali di un soldato si verificano solo in guerra.
Fatto sta che prima di raggiungere il numero ritenuto ottimale di soldati equipaggiati e pronti per procedere all’attacco ci volle un mese. La Prima Battaglia dell’Isonzo venne disposta infatti per il 23 giugno.
Il piano strategico di Cadorna era abbastanza semplice: attaccare sul fronte dell’Isonzo per ricongiungersi con l’esercito serbo e insieme marciare su Vienna.
Nel frattempo, in quel mese che ha preceduto la prima grande battaglia, le varie armate si sistemarono sui vari fronti. Vediamole nel dettaglio.
 

Foto Tra le rocce e il cielo.
 
Il confine italo-austriaco era quello fissato alla fine della Terza Guerra d’Indipendenza nel 1866. Partiva dallo Stelvio e, descrivendo una grande Esse, finiva all’Adriatico, nella zona di Cervignano, fra la Laguna di Varano e quella di Grado.
I fronti erano sei. Il settore Trentino, Il Pasubio e gli Altipiani, il Cadorino, il settore carnico, l’alto isontino e il settore isontino.
Il fronte trentino andava dallo Stelvio alla sinistra dell’Adige in Val Lagarina. Lo Stelvio, il passo carrabile più elevato d’Europa (2.759 metri), collegava l’alta valle dell’Adige con la alta valle dell’Adda.
Il confine correva poi sulle vette dell’Ortles (3.950 metri) e del Cevedale (3.850 metri). Lassù la guerra poteva solo sostare.

La «Esse» nel simbolo Grande Guerra in Trentino.

Il Tonale era più praticabile dello Stelvio ed era stato protetto dagli Austriaci con ottime fortificazioni. L’Adamello costituiva poi un altro terreno invalicabile, ma – come vedremo – qualcuno pensò lo stesso di combattere anche a quelle quote.
La frontiera scendeva poi nelle valli Giudicarie e in quella del Chiese. Visto che rappresentava l’unico comodo corridoio dallo Stelvio al Garda, gli Asburgo avevano fatto erigere anche qui delle complesse fortificazioni. Dopo il lago d’Idro, il confine girava a gomito formando il saliente del Chiese, attraversava la parte settentrionale del Lago di Garda fino a raggiungere il monte Altissimo.
Da lì la frontiera scendeva ancora verso sud, nella valle dell’Adige. Ma la Val Lagarina era facilmente difendibile da entrambe le parti in guerra.
 
Ben diverso il settore del Pasubio e degli Altipiani. Tra l’Adige e il Brenta si eleva una successione di masse montane, dilatate da altipiani facilmente percorribili senza grandi difficoltà.
Una prima massa orografica era formata dalla catena di monti che dividono l’Adige dall’Astico. Una seconda massa era quella formata dal Massiccio del Pasubio (2.236 metri) e quella del Tonezza. Infine una terza si trovava tra l’Astico e la Valsugana, dove sorge l’altipiano dei Sette Comuni, delimitato a nord da una notevole merlatura, dove si trova - tanto per fare un nome - l’Ortigara.
 
Il terzo settore andava dalla Valsugana a Cordeovle e precisamente da Primolano a Livinallongo.
Questo tratto era solcato da nord a sud da vari corsi d’acqua, che rendevano facili le manovre di masse militari, ma che non davano sbocchi particolarmente appetibili, perché gli Austriaci possedevano le testate delle valli. In altre parole, loro potevano discenderle e arrivare in pianura, mentre gli italiani si trovavano lo sbarramento naturale di fine vallata.

Il generale Pietro Brusoni - Foto Wikipedia.

Il settore del Cadore non rappresentava per l’Italia un territorio interessante dal punto di vista militare, ma era da tenere sotto controllo nella maniera più assoluta per impedire eventuali azioni austroungariche.
Stranamente però, gli austriaci avevano eretto fortificazioni importanti, come se avessero temuto un attacco italiano proprio in questi settori. Non solo, attorno alla città di Trento erano state erette altre fortificazioni per l’eventuale difesa della città. Non vennero mai usate.

Il settore carnico era per certi versi simile a quello trentino, con vallate più semplici da discendere che da risalire. Anche in questo caso gli Austriaci avevano provveduto a fortificare il territorio già protetto dalla conformazione orografica.
Conrad, insomma, possedeva una formidabile linea di arroccamento che gli consentiva di concentrare le proprie difese nel tratto più esposto, quello della pianura.
Il confine andava dal Peralba (2.694 metri) al Canin (2.587 metri), per poi scendere nella conca di Plezzo, un altopiano che ha la forma di un grande mare di roccia, attraversata da un Isonzo impetuoso.
L’Isonzo scorre verso ponente fino a Saga, per poi volgere a sud-est fino alla conca di Tolmino. Dalla conca di Plezzo a Santa Lucia di Tolimo si eleva un bastione pauroso: il Monte Nero.
In quel tratto l’Isonzo scorre incassato tra un costone a destra e un altopiano a sinistra. Poi volge verso il mare, formando allora il confine naturale tra Italia e Austria. Ma con una differenza sostanziale tra i due paesi: l’Italia si trovava sul lato destro, pianeggiante, l’Austria nel lato sinistro, l’altopiano carsico: orrido groviglio di valloni desolati, di pianori sterili e cime montuose che si elevano man mano ci si va verso oriente.
L’Isonzo procede verso Punta Sdobba, come finiva il confine tra il Regno d’Italia e l’impero Austro Ungarico.
Ma, pur valicato il fiume, non era chiaro per quale via far marciare le truppe per raggiungere la sospirata Trieste.
 

L'Isonzo oggi, foto Wikipedia.
 
Insomma. Dallo Stelvio a Punta Sdobba correvano 600 chilometri, 500 dei quali in alta e media montagna e gli altri 100 sull’Isonzo: una specie di fossato di un castello, al di là del quale stava il nemico.
A ridosso del confine, da parte italiana erano state disposte quattro Armate e un Corpo speciale.
La Prima armata, forte di 6 divisioni, si stendeva dallo Stelvio alla Croda Grande. Comandava l’armata il generale Brusoni, il cui comando si trovava a Verona. Era composta da due Corpi d’armata, il 3° e il 5°: il Terzo era sul confine orientale col Trentino e il Quinto era schierato sugli altopiani e del Pasubio (con estensione nel Cadorino).
La Quarta armata, a destra della Prima, occupava il settore che va dal Cadorino al Peralba. Era formata da due Corpi d’armata, il 9° e il 1°, a loro volta composti da 5 divisioni. Comandava l’armata il generale Luigi Nava. Il Corpo speciale era dislocato in questo settore e formava una sorta di grande unità mobile a disposiszione di eventuali cambiamenti del fronte.
La Seconda armata era composta da 9 divisioni di fanteria e una di cavalleria. Andava dal Roccolana (affluente di sinistra del Tagliamento) a Prepotto, un paesino sullo Judrio antistante a Plava. Era comandata dal generale Frugoni, il cui comando si trovava a Udine, dove c'era anche il comando supremo di Cadorna.
La Terza armata, agli ordini di Sua altezza reale Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, comprendeva sei divisioni di fanteria e tre di cavalleria.
A ognuna delle due armate sull’Isonzo vennero assegnate 14 batterie pesanti campali.
Da notare che le divisioni di cavalleria servivano per inseguire il nemico una volta sfondato il fronte. Una visione ottimistica della guerra.
 
G. de Mozzi
 
Nella prossima puntata il dispositivo militare austro ungarico.

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