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Grande Guerra – Cent’anni fa la Prima Battaglia dell’Isonzo

Vi presero parte 250.000 italiani e 115.000 austroungarici – L’Italia perse 15.000 uomini, di cui 2.000 morti – L’Austria perse 10.400 uomini, di cui 1.000 morti

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Dal Piccolo - Photo Gabriele Menis@turismo.fvg.it.
 
Considerando pressoché conclusa la mobilitazione, Cadorna decise di sferrare il primo attacco frontale, impegnando dal Monte Nero all’Adriatico le due armate d’urto, la 2ª e la 3ª, comandate dal generale Frugoni e dal Duca d’Aosta.
La Seconda Armata era dislocata nella parte settentrionale e la Terza nella parte meridionale.
Di riserva, due divisioni di cavalleria, il compito sarebbe stato quello di incalzare il nemico nel caso di sfondamento delle linee. Una eventualità del tutto fantastica.
Frugoni doveva anzitutto attaccare il campo trincerato di Tolmino, conquistando il massiccio del Monte Nero. Quindi doveva investire il caposaldo a monte di Gorizia (Monte Santo). Infine doveva espugnare – in concorso con la Terza armata – la piazzaforte del San Michele.
Il Duca d’Aosta doveva impadronirsi degli altipiani di Doberdò e di Sagrado, per avere via libera all’attacco del San Michele.
Qualora tali operazioni fossero riuscite, gli austriaci avrebbero perduto la testa di ponte di Tolmino e la linea difensiva di Gorizia. Tenendo conto che la seconda linea dell’Austria era ancora in efficienza, l’eventuale sfondamento avrebbe potuto essere catastrofico.
Ma con un attacco così frontale e generalizzato, Cadorna avrebbe dovuto sfondare una breccia troppo grande per poter pensare di farcela. Insomma, l’idea di sfondare e aggirare il nemico con un dispiegamento del genere era pura utopia. Anche perché le artiglierie erano ancora in marcia versi il fronte.
 
Contro le due armate italiane d’urto, l’Austria metteva in campo 100 battaglioni di prima linea, sostenuti da 114 batterie da campagna e da 58 batterie dei calibri maggiori.
Di riserva aveva 13 battaglioni con 18 batterie da campagna.
Insomma, le baionette austriache erano la metà di quelle italiane, ma il rapporto numerico era del tutto ininfluente perché gli Italiani dovevano sfondare e gli Austriaci respingere gli attacchi.
Questi avevano provveduto a realizzare sistemazioni difensive che nulla avevano a invidiare alle più moderne fortezze. Potevano lasciar passare uragani di ferro e fuoco al riparo, per poi essere in piena efficienza al momento dell’attacco nemico.
Da ogni lato delle difensive avevano predisposto mitragliatrici e batterie pronte per essere impiegate in breve tempo.
Avevano predisposto magazzini viveri, serbatoi di acqua potabile, casematte per le munizioni, il tutto servito dalla corrente elettrica, linee telefoniche e a volte anche piccole linee ferroviarie di servizio.
Insomma, non avevano un disegno strategico, salvo l’ordine di respingere gli attacchi fino all’ultimo uomo e all’ultimo proiettile.
 

Cartina Wikipedia.
 
 Comincia la Prima Battaglia dell’isonzo 
La battaglia prese il via regolarmente il 23 giugno 1915 da Plezzo a Monfalcone, ma la vastità del teatro fece dividere le operazioni 9in tre «sotto battaglie»: il Monte Nero, Gorizia  e il Carso. Ciascuna sotto battaglia ebbe vita propria.
Il primo balzo offensivo italiano avvenne nell’alto Isonzo, ai piedi dell’9imponente Monte Nero, formato da una lunga dorsale alta sui 2.000 metri.
Non fu un combattimento da poco e gli Austriaci appresero con stupore quanto valorosi fossero gli alpini incaricati a conquistare le balze trincerate. Alcuni battaglioni riuscirono a impadronirsi di punti strategici, che però vennero attaccati col fuoco di fila di armi automatiche e artiglieria.
Più a sud i bersaglieri ebbero combattimenti meno fortunati, per quanto valorosi. Nel tentativo di conquistare due contrafforti nei dintorni di Tolmino, si scontrarono con campi trincerati invalicabili. Tutto questo lo si sapeva, perché nei primi combattimenti fatti per portarsi a ridosso della prima linea austriaca era risultato come, senza cannoni, sarebbe stato impossibile.
L'attacco contro Tolmino iniziò però solamente nelle prime ore del 3 luglio, quando negli altri settori del fronte la lotta era già cominciata. Nel settore Saga-Polounik-Vrsic l'11º reggimento della Divisione bersaglieri occupò la stretta di Saga, il terreno tra Saga e Log di Cezsoca, Serpenizza, la cresta del Polounik e le falde occidentali del Vrsic.
Nel settore Vrsic-Monte Nero-Isonzo l'attacco venne respinto già il 3 luglio vicino al Monte Rosso e al Leskovca, dove gli alpini mantennero posizioni occupate.
Più a sud, nella notte del 3 luglio le brigate Modena e Salerno iniziarono l'avanzata rispettivamente verso lo Sleme e il Mrzli. L'azione degli alpini però fu bloccata e il risultato del tiro d'artiglieria risultò insufficiente.
 
 L’attacco a Plava 
Già la mattina del 23 giugno i soldati della brigata Emilia si dovettero fermare di fronte ai primi reticolati e al bombardamento dell’artiglieria nemica che ne impediva la rimozione. Si ritirarono per riprovare il giorno dopo con maggiori forze e attrezzature adeguate, chiamando a partecipare anche le brigate Forlì, Spezia e Firenze.
L’indomani, l’artiglieria italiana aprì il fuoco dalle 8 alle 10, dopodiché venne ordinato alle brigate Emilia e Forlì di attaccare, anche se i bombardamenti non avevano dato risultati apprezzabili. Eppure, nonostante la tenace resistenza degli austriaci, i bersaglieri della Emilia riuscirono ad asserragliarsi nelle prime case di Globna.
Quelli della Forlì invece non si fecero vedere. La Forlì fu impiegata l’indomani insieme alla Spezia, ma senza portare risultati di sorta. La linea difensiva austriaca era troppo salda e l’attacco venne sospeso.
 

Görz Brücke Isonzo - 1915.
 
 L'attacco alla linea Sabotino-Oslavia-Podgora 
L'azione del VI Corpo d'Armata consisteva in un attacco frontale contro Oslavia (sulla sinistra Isonzo, alle propaggini del Collio) e Podgora (in italiano Piedimonte del Calvario), e due attacchi ai lati contro il Sabotino (monte a nord di Gorizia, ora sul confine) e contro il tratto di Isonzo tra Gorizia (Görz in tedesco, Gorica in sloveno, Guriza il friulano) e Savogna (comune ai piedi del monte Matajur).
Dopo un intenso bombardamento d'artiglieria nella mattinata del 23 e 24 giugno, alle ore 1700 del 24 gli italiani attaccarono. Il tiro delle batterie pesanti non era stato però sufficiente a distruggere gli ostacoli, ovvero i reticolati.
Inoltre il tiro sulle posizioni nemiche non aveva potuto fiaccare la capacità di resistenza degli austro-ungarici perché il generale Boroevic aveva fatto scavare due linee, una delle quali più arretrata, nella quale gli austriaci andavano a ripararsi dai colpi delle nostre artiglierie.
Oltretutto nessun progresso aveva individuato le batterie avversarie, così l'artiglieria austriaca continuò il suo lavoro pressoché indisturbata.
I ripetuti attacchi portati al Sabotino della 4ª, 11ª, 12ª e 22ª Divisione, tra il 24 giugno e il 4 luglio si rivelarono infruttuosi. Fu richiesto numerose volte all'artiglieria di insistere su determinati punti aprendo così dei varchi nei quali alcuni gruppi riuscirono a penetrare, ma il passaggio di un numero così esiguo di uomini non permise al regio esercito di sfondare le linee.
 
 L’attacco al Carso 
Nel frattempo si era sviluppato uno scontro violento sul Carso, dove si era spostato il centro di gravità della battaglia. Lì il Comando Supremo italiano cercava di sfondare le linee costringendo l'avversario a concentrare lì le sue forze.
Il 5 luglio fu il giorno per cui venne stabilito l'attacco decisivo, questa volta diretto contro Podgora. L'artiglieria italiana iniziò a bombardare alle 5.00 e alle 11.00 il tiro venne allungato permettendo così ai guastatori di entrare in azione con tubi di gelatina esplosiva e mezzi di distruzione come pinze, tenaglie e accette con il compito di aprire dei varchi.
I genieri riuscirono a operare senza eccessive difficoltà, raggiungendo le prime difese nemiche e riuscendo a fare esplodere alcuni tubi, aprendo così dei varchi nel primo ordine di reticolati che la fanteria lanciata all'attacco (ore 13.00) oltrepassò in più punti.
La lotta si accese di conseguenza fra il primo e il secondo ordine di reticolati, dove l'azione si esaurì.
Alle ore 14.30 vi fu una penetrazione che vide protagonista il 1º fanteria (brigata Re) che si mosse direzione della quota 240 senza incontrare reazione, per essere fermato però proprio all'ultimo dagli austriaci (ore 17.00).
Il 6 e 7 luglio alcuni reparti della brigata Perugia aprirono una discreta breccia nei reticolati, attraverso la quale si gettò una compagnia. Gli austriaci attesero di poter cogliere i soldati italiani nel momento più critico, aprendo il fuoco a distanza ravvicinata.
 

Görz Brücke Isonzo - 2015.
 
 L'attacco sul Carso del X e XI Corpo d'Armata 
Alle ore 7.00 del 23 giugno la brigata Siena della 19ª Divisione (X Corpo) iniziò l'avanzata in direzione di Sagrado (vicino a Gradisca), Polazzo (comune di Fogliano Redipuglia), dopo aver attraversato il canale Dottori su sei ponticelli gettati tra Fogliano Redipuglia.
Mentre le colonne di destra e del centro giunsero senza difficoltà con la testa a Polazzo, la reazione nemica bloccò l'avanzata appena oltre Fogliano Redipuglia.
Alcune fonti sostengono che gli austriaci avessero fatto tracimare il canale "Dottori", ma questo fatto non procurò un grave ritardo in quanto la conformazione del territorio agevolava lo scorrere dall'acqua verso il mare.
Più a nord, per facilitare la caduta di Sagrado, fu ordinato alla 21ª Divisione di passare l'Isonzo da destra. La brigata Pisa iniziò così, verso le 13.00, il passaggio del fiume a bordo di galleggianti, ma l'operazione fu sospesa per la reazione austriaca.
Il tentativo fu ripreso dalle 15.30 alle 22.30, quando fu sospesa per poter gettare un ponte in corrispondenza dell'isolotto a monte di Sagrado.
Alle ore 3.00 del 24 giugno fu raggiunto l'isolotto, ma poiché il sole iniziava a salire e la realizzazione dell'altro tratto di ponte durante le ore diurne sarebbe stato impossibile, si decise di passare il resto del fiume con delle imbarcazioni, traghettando così 1º battaglione della Pisa sulla sponda sinistra del fiume.
Alle 4.30 l'intero battaglione era riunito al di là del fiume.
Fra le 4.30 e le 5.00 l'artiglieria nemica distrusse il ponte e pertanto il battaglione rappresentava tutto l'appoggio che si era potuto dare alla 19ª Divisione.
Alle 11.00 la brigata Bologna (19ª Divisione) riprese l'avanzata verso Castelnuovo ma non poté proseguire essendo bloccata da un intenso fuoco dell'artiglieria austriaca di San Martino del Carso. Il comandante della Bologna decise così di ripiegare sulle posizioni di partenza per ritentare il giorno successivo.
Nel frattempo era stato reso agibile il ponte in ferro di Sagrado, così nella notte del 25 giugno la brigata Pisa, con 5 battaglioni, riuscì a trasferirsi sulla sponda sinistra.
La brigata Savona aveva nel frattempo completato il proprio schieramento sulla fronte Polazzo-Redipuglia, disimpegnando la Siena.
La 21ª Divisione con la brigata Regina continuava intanto a tenere la linea dell'Isonzo tra Mainizza e Sdraussina.
 
Il 25 giugno la brigata Bologna attaccò in direzione di Castelnuovo (ore 11.00) coperta dalla Pisa e, finalmente, Castelnuovo venne occupato.
Dalla mattina del 26 lo sforzo iniziò a gravitare più a nord, con le batterie dell'XI Corpo d'Armata che iniziarono a colpire le posizioni di Sdraussina, San Michele, del Bosco Cappuccio e Castelnuovo.
L'avanzata della fanteria, iniziata alle ore 11.00 in direzione di San Martino del Carso e di San Michele, procedette prima lentissima per le asperità del terreno e la tenace resistenza austriaca, infine si arrestò a contatto con le difese austriache. Rivelatesi inutili le pinze a causa dello spessore del filo metallico, vennero sperimentate inutilmente le pertiche giapponesi (lunghi bastoni muniti di forti uncini).
L'azione fu ripresa il 27 giugno conseguendo però risultati minimi e fu quindi sospesa il giorno seguente, per essere ripresa il 30 ma anche questa volta con esito negativo.
Solo il 4 luglio l'azione dei soldati italiani riuscì a penetrare le trincee e a mantenerle contro i contrattacchi della 58ª brigata austriaca.
La linea di fronte italiana a San Michele venne così a stabilizzarsi, mentre fallì invece l'attacco a San Martino del Carso.
 
A est di Castelnuovo la brigata Siena, che era riuscita ad occupare nuove posizioni a nord della cittadina, facendo 235 prigionieri, fu costretta al ripiegamento per via dei rinforzi austriaci.
Con più della metà degli uomini fuori combattimento la brigata sostenne per tutto il 4 luglio i contrattacchi avversari finché alla sera fu costretta ad abbandonare le posizioni e ripiegare su quelle di partenza.
Solo alle 22.00 del 5 luglio la Siena, ricevuti i rinforzi, riuscì a riprendere e stabilmente possesso delle posizioni di quota 92.
Verso le 8:00 del 6 luglio i soldati italiani passarono nuovamente all'attacco sul fronte tra San Michele e San Martino, tuttavia fu possibile soltanto un lieve progresso a sinistra di San Michele che riuscì, fra le 13.00 e le 15.00, ad avanzare a nord-est e a mantenere il nuovo possesso dopo una serie di attacchi e contrattacchi che si protrasse fino alla mattina del 7 luglio.
La sera di quello stesso giorno tutti gli attacchi furono sospesi.
 

Campo Monte Sei Busi - Photo Gabriele Menis@turismo.fvg.it.
 
 L'attacco sul Carso del VII Corpo d'Armata 
Il 23 e 24 giugno il VII iniziò la sua conversione a destra con la 14ª Divisione e la 13ª per Vermegliano e Selz in direzione del Monte Sei Busi e del Monte Cosich.
La brigata Acqui (14ª Divisione) iniziò il passaggio del canale Dottori su due colonne, attraversando i ponti in muratura a est di San Lorenzo di Soleschiano, il 23 giugno alle 630.
La sua marcia però venne subito bloccata dall'allagamento che in parte ancora occupava la zona di Vermegliano.
Procedette invece l'avanzata della brigata Pinerolo, a destra della Acqui sulla direttrice di Selz. Dopo una breve resistenza la località venne occupata intorno alle 13.00. Vista l'impossibilità di operare attorno a Vermegliano, il comandante della 14ª Divisione decise allora di spingere sulla direttrice di Selz. Si tentò quindi l'attacco al Monte Cosich, ma i tentativi tra il 23 e il 24 giugno risultarono inutili data la reazione avversaria.
 
Il 25 e 26 giugno la 14ª Divisione contribuì all'azione che si svolgeva a ridosso del Monte Sei Busi col tiro dell'artiglieria. Solo il 27 giugno il lento e progressivo prosciugamento della zona allagata, consentì di occupare il margine esterno di Vermegliano mentre la brigata Pinerolo era stata fermata nei pressi di Selz, che venne in seguito perduta il 28 giugno, dopo un contrattacco austriaco, per essere ripreso il giorno seguente.
Nella notte del 30 giugno la brigata Acqui riuscì ad aprire alcuni varchi sopra Vermegliano ma la presenza di una seconda linea immediatamente a ridosso della prima non consentì un ulteriore avanzamento.
La Pinerolo non fece alcun progresso sul settore del Monte Cosich. Nella notte del 30 giugno gli uomini di rinforzo della brigata Messina collocarono una trentina di tubi di gelatina esplosivi che però non sortirono alcun effetto rilevante. I varchi aperti nel reticolato erano attentamente sorvegliati dagli austriaci.
 
Il mattino del 4 luglio la III Armata tentò di aprire nuovamente le difese nemiche. Alla brigata Cagliari fu affidato il compito di avanzare verso il Monte Sei Busi.
Alle ore 10.00 la brigata iniziò ad avanzare procedendo in formazione. Colpita dai bombardamenti, moltiplicò tuttavia i tentativi di sfondare le linee nemiche, respingendo oltretutto un contrattacco tentato dagli austriaci intorno alle 12.00.
Alle 16.00 la resistenza avversaria sembrò affievolirsi e finalmente con una risoluta avanzata (260 austriaci caddero prigionieri) la Cagliari giunse poi a stretto contatto con la sommità del Monte Sei Busi.
Ciononostante gli austro-ungarici impedirono alla 14ª Divisione di penetrare a Vermegliano prima che gli austriaci stessi non si fossero ritirati da Monte Sei Busi e da Monte Cosich.
Nel pomeriggio del 4 luglio il comando del VII Corpo d'Armata ordinò di sospendere ogni altra iniziativa, attendendo che la brigata Cagliari ottenesse il controllo del Monte Sei Busi.
 
 Fine della prima battaglia dell’Isonzo 
La vera rivelazione del primo anno di guerra fu la capacità di resistenza dei nemici e l'insuperabilità delle difese, come i reticolati, con mezzi preparati per una guerra di movimento. Per gli austriaci ci fu la presa d’atto che i soldati italiani erano decisi a sfondare a tutti i costi.
Ma la battaglia si rivela così una guerra di logoramento, i cui effetti non risultano visibili né nello spazio né nel campo strategico, ma in maniera profonda nel campo organico, morale ed economico.
Come detto, la superiorità numerica italiana non poté avere un peso decisivo, anzi si rivelò un fattore svantaggioso, dato che una densità maggiore dello schieramento fu spesso causa di perdite superiori.
Tuttavia l'azione costante degli italiani, e delle loro artiglierie, produsse perdite proporzionalmente maggiori nelle file austro-ungariche. Le perdite percentuali italiane furono del 5,95%, quelle austriache superarono il 9%.
La battaglia portò solamente numerose perdite da entrambe le parti senza che nessuno dei due contendenti ottenesse guadagni rilevanti.
Gli scontri, che non portarono a nulla di definitivo, sfociarono nella seconda battaglia dell'Isonzo, cominciata pochi giorni dopo.

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