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Il 18 luglio di cent’anni fa iniziava la Seconda Battaglia sull’Isonzo

Terminò il 3 agosto, lasciando sul terreno - tra feriti, morti e dispersi - 80mila uomini

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Museo Redipuglia, mitragliatrice sul Pal Picoclo - Foto Gabriele Menis.

La Seconda Battaglia sull’Isonzo fu combattuta dal 18 luglio al 3 agosto 1915. Fu sostanzialmente il proseguimento della Prima battaglia, sospesa per necessità logistiche, ovvero - per dirla in tutta la sua cruda realtà – per rimpiazzare le fila delle armate italiane falcidiate dal fuoco austro ungarico.
L’obbiettivo generale di Cadorna, lo ricordiamo, era quello di sfondare le linee orientali e raggiungere Lubiana da dove, insieme ai Serbi provenienti da sud, marciare su Vienna.
Come sappiamo, il piano era più impossibile che ambizioso, perché sarebbe stato necessario conquistare metro per metro, se non altro perché il terreno era impraticabile per qualsiasi esercito di allora.
Vienna, per contro, aveva deciso di limitare gli scontri alla difensiva. Erano gli Italiani che volevano sfondare e non viceversa. Quindi eressero trincee, fortificazioni, fili spinati e quant’altro, dotando le unità di artiglierie e mitragliatrici necessarie a impedire al nemico di sfondare.
Eppure, non solo anche gli austriaci ebbero perdite enormi - sia pure meno di quelle italiane - ma persero anche terreno e spesso dovettero ritirarsi. Al punto che Boroevich ad un certo punto ordinò di contrattaccare per rendere più efficace la difesa.
Decine e decine di posizioni vennero conquistate, perse, conquistate e perse decine di volte…
Lo testimoniò lo stesso Cadorna scrivendo al figlio: «Non è difficile conquistare il Sal Michele… Quello che è impossibile è mantenerlo…»
Alla fine l’offensiva italiana fu respinta, ma gli italiani conquistano più territorio che nella prima battaglia dell'Isonzo.
L’Italia aveva messo in campo 260 battaglioni e 840 pezzi d'artiglieria, l’Austria 105 battaglioni - poi rinforzati con altri 25 - e 420 pezzi d'artiglieria.
L’Italia ebbe 30 000 feriti, 4 900 dispersi, più di 6 000 morti.
L’Austria perse 47.000 unità, tra feriti, morti e dispersi.
Una follia.

Cadorna aveva preso nota come nella Prima Battaglia Sull’Isonzo la Terza Armata, quella comandata da S.A.R. il Duca D’Aosta, avesse ottenuto più risultati della Seconda Armata, che pure doveva giocare il ruolo principale.
Decise quindi di rovesciare i ruoli, affidando al Duca D’Aosta l’obbiettivo di sfondare il fronte nell’Isonzo meridionale, all’altezza del Monte San Michele, dando invece alla Seconda Armata il falso obbiettivo a nord in modo da trarre in inganno gli Austriaci e impedire loro di spostare le riserve dove si svolgeva la vera battaglia.
A fronteggiarsi dunque, da parte italiana troviamo la II Armata (gen Frugoni) e la III Armata (gen Duca d'Aosta), da parte austriaca la V Armata (generale Svetozar Boroević von Bojna) e il Corpo d’Armata comandato dal generale Eugen von Habsburg-Lothringen.
 
Il diciotto luglio gli uomini della III Armata italiana attaccarono le linee austriache nelle località Bosco Cappuccio, Bosco Lancia e Bosco Triangolare, a ridosso del San Michele.
Il venticinque luglio la Brigata Sassari ebbe il suo battesimo di fuoco e insieme alla 22ª Divisione contribuì ad espugnare diversi trinceramenti, facendo prigionieri 600 austriaci.
All'indomani del ventisei luglio, l'armata di Boroevic, composta dalle migliori truppe di prima linea che l'Austria poteva allora disporre, in maggioranza sloveni e croati particolarmente accaniti verso gli italiani, lanciarono un contrattacco in grande stile investendo in pieno il 151º Reggimento e l'ala sinistra di un'altra brigata, trovandosi in breve tempo in difficoltà e con l'Isonzo alle spalle.
Ma la reazione fu immediata e dopo otto ore di aspri combattimenti, i fanti italiani riuscirono a respingere gli avversari e a consolidare i trinceramenti strappati.
 

Obice austriaco da 305.
 
Il giorno del ventinove luglio i combattimenti ripresero. Gli austriaci cercarono di incendiare il bosco, ma non riuscirono nell'intento.
I fanti della Sassari uscirono dai trinceramenti precedentemente conquistati, avanzando sino alla seconda linea di difesa avversaria, costituita da un groviglio di trincee, tra le quali una più consistente (il famoso Trincerone) che provarono ad espugnare, invano.
Il quattro di agosto il comandante del III Battaglione del 151° Reggimento, il maggiore Francesco Cuoco, dopo aver studiato nei particolari un piano ardito, mosse l'attacco al Trincerone.
Gli austriaci cercarono di sbarrare la strada agli assalitori con l'artiglieria, Il fuoco di sbarramento abbatté anche gli alberi, frenando lo slancio e rendendo l'avanzata più difficile, ma senza arrestarla.
All'approssimarsi del trincerone i fanti italiani furono decimati dalle mitragliatrici e poi dalle mine, ma i rincalzi che sopraggiunsero riuscirono a far sì che penetrassero nelle difese avversarie e conquistarle alla baionetta.
A nulla valsero i ripetuti contrattacchi austriaci del sette agosto, del nove e poi dell'undici agosto, le posizioni conquistate a Bosco Cappuccio furono saldamente mantenute e gli avversari ricacciati indietro.
 
Il ventuno agosto la Brigata Sassari si spostò a Bosco Lancia e Bosco Triangolare. Le perdite subite durante gli assalti precedenti erano state molto pesanti, venne perciò studiato un altro piano, affidato per l'esecuzione a due battaglioni di volontari, uno per ciascun reggimento.
Per il 152° il comando fu affidato al tenete Salvatore Taras, per quello del 151° al sottotenente Graziani.
Superando lo sbarramento di fuoco delle mitragliatrici e i furiosi cannoneggiamenti, i fanti riuscirono incredibilmente a raggiungere le trincee e assaltarle alla baionetta, espugnandole.
All'accorrere dei rinforzi nemici, seguirono i rincalzi della Sassari, guidati dai loro comandanti, che riuscirono a tenere saldamente le posizioni conquistate, ricacciando indietro gli avversari.
I ripetuti sforzi di contrattacco austriaco a nulla valsero.
A battaglia conclusa il Regio esercito manteneva saldamente i trinceramenti di Bosco Cappuccio, Bosco Lancia e Bosco Triangolare.
 

Cannone italiano da 305.
 
Alcuni successi arrivarono anche sul fronte del Monte Sei Busi. Ben presto iniziò il lungo e cruento scontro per il Monte San Michele.
Il 20 luglio alle ore 17:30 il monte venne occupato dagli italiani, che furono poi scacciati da un contrattacco austriaco il giorno seguente.
Il 26 luglio gli eventi si ripeterono: la fanteria italiana occupò le postazioni austriache, ma in poco tempo gli austriaci le riconquistarono.
È qui che il generale Cadorna scrisse al figlio Raffaele «...occupammo per una notte il S. Michele, ma è più facile prenderlo che restarci perché, appena conquistate le creste, ci coprirono di proiettili e poi un contrattacco ce lo portò via... »
 
Sul fronte della II Armata si ebbero alcuni progressi, anche se non rilevanti. Le brigate Casale e Pavia soffrirono molto durante gli scontri ma riuscirono, assieme ad altre operazioni presso Plava e il Monte Sabotino, a tenere occupati gli austriaci mentre la III Armata tentava di conquistare il Monte San Michele.
Le trincee italiane ed austriache distavano al massimo un centinaio di metri l'una dall'altra e passavano di mano molte volte in una giornata.
Ancora una volta il Comando Supremo italiano insistette con attacchi frontali non coordinati con l'artiglieria. Il risultato finale vide gli italiani con un numero di perdite molto alto in rapporto al terreno guadagnato.
Il Comando Supremo comprese che senza l'uso dell'artiglieria un'avanzata delle truppe non avrebbe avuto successo, perché gli Austriaci difendevano il territorio da posizioni rafforzate e sempre attrezzate a respingere gli attacchi.
Gli abili mascheramenti che nascondevano le mitragliatrici erano difficili da scovare e quasi impossibili da raggiungere per neutralizzarle. I reticolati ed i cavalli di Frisia impedivano facilmente agli italiani di crearsi dei varchi tra i reticolati nemici.
Il Comando Supremo si rese conto che c'era ancora molto da fare per riuscire a fluidificare l'avanzata italiana.
La battaglia venne sospesa infatti il 3 agosto, dato che le munizioni per l'artiglieria cominciavano a scarseggiare, e durante i due mesi e mezzo di stallo, gli italiani riuscirono a trasferire gran parte delle artiglierie disponibili lungo il fronte dell'Isonzo.
 
G. de Mozzi.
 
Si ringraziano Wikipedia e l’Ente per il Turismo del Friuli per le note e le immagini.

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