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L’11 luglio di cento anni fa veniva fatto prigioniero Cesare Battisti

Riconosciuto da un Kaiserjäger trentino, fu processato e impiccato il 12 luglio 1916

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Come abbiamo scritto in una delle puntate precedenti (vedi),la Strafexpedition fu combattuta sugli altipiani di Folgaria, Lavarone e Asiago dal 15 maggio al 27 giugno 1916.
La cessazione delle ostilità fu ordinata dal comando austriaco perché dovette trasferire in Galizia gran parte delle forze dispiegate sugli altipiani. Conrad comunque aveva capito che non avrebbe più sfondato perché Cadorna aveva avuto modo di riorganizzare le forze nella pianura veneta tra Padova e Verona.
In realtà, però, i combattimenti non cessarono. Gli austriaci si erano attestati in una linea difensiva più comoda rispetto lo scoppio della guerra e gli italiani volevano ricacciarli alle postazioni originali e magari anche oltre.
Per questo motivo vi furono combattimenti anche feroci dopo il 27 giugno, ma sempre senza portare risultati significativi né da una parte né dall’altra.
Ed è stato nel corso di una di queste battaglie che Cesare Battisti cadde prigioniero.
 

 
Cesare Battisti era nato a Trento il 4 febbraio 1875.
Persona eclettica, fu giornalista, politico, sociologo, geografo (Si laurea nel 1898 in geografia), e in tutti i campi riuscì a lasciare la sua impronta.
Nel 1900 fonda il giornale socialista Il Popolo e quindi il settimanale illustrato Vita Trentina, che dirige per molti anni.
Fu Consigliere socialista nel Consiglio Comunale di Trento, fu deputato al Parlamento di Vienna (1911) e alla Dieta di Innsbruck (1914). Si era battuto sempre a favore dei deboli e della libertà.
Si sposò con Ernesta Bittanti (Cremona, 1871 - Trento, 1957) ed ebbe tre figli: Luigi (1901 - 1946), Livia (1907 - 1978) e Camillo (1910 - 1982).
 

 
Nel 1904 fu arrestato a Innsbruck insieme a Degasperi (pare che i due statisti non si fossero incontrati neanche in quell’occasione) per i tumulti scatenati dai tirolesi per impedire il sorgere dell’Università italiana a Innsbruck. Vienna aveva voluto insediare l’università italiana in Trentino dopo la perdita del Lombardo prima (1859) e del Veneto poi (1866) ma - ritenendo che a Trento sarebbe stata un covo di irredentisti socialisti – optò per Rovereto.
La Città della Quercia rifiutò sdegnosamente la soluzione di Vienna e allora si decise di aprire una sezione italiana a Innsbruck. Stavolta furono i Tirolesi a non volerla e scoppiarono dei tumulti che finirono con degli arresti che oggi definiremmo eccellenti. Il Consiglio comunale di Trento si radunò per emettere una condanna contro la repressione di Innsbruck e il verbale di quel tumultuoso consiglio riporta che «Cesare Battisti era assente giustificato»…
 
In quanto socialista, Battisti era diventato amico del socialista Benito Mussolini, che si recava spesso in Trentino sia perché ricercato dalla polizia italiana per attività sovversiva, sia perché aveva bisogno di lavorare. E Cesare Battisti non solo lo fece lavorare, ma gli concesse anche numerosi «anticipi» su improbabili collaborazioni giornalistiche.
Dal punto di vista europeistico, Battisti vedeva da buon socialista un consorzio di nazioni europee, più o meno che le vediamo oggi. D’altronde il nazionalismo era il sentimento più diffuso a fine Ottocento.
Degasperi, è bene precisarlo anche se all’apparenza fuori tema, vedeva invece l’Europa come la vorremmo noi, con ogni stato che rinuncia a parte della propria sovranità per conferirla all’Unione Europea.
 

 
Cesare Battisti, come altri trentini illustri, in quel periodo vedeva solo la separazione dall’Austria. Fu ammonito più volte per il proprio comportamento e moltissime volte il suo giornale fu sequestrato perché «sedizioso».
Quando iniziarono a soffiare venti di guerra, Battisti iniziò a respirare la possibilità di una «redenzione italiana» del Trentino e l'11 agosto 1914, appena due settimane dopo lo scoppio della guerra austro-serba, il deputato Battisti abbandona il territorio austriaco e si trasferisce in Italia.
Qualche giorno dopo lo seguirà anche la moglie con i loro tre figli. Il fratello Giuliano, che era nato il 30 luglio 1868, rimane invece a Trento. Verrà poi richiamato alle armi, inviato in una compagnia di disciplina e successivamente, essendosi ammalato, al domicilio coatto. Morirà prematuramente il 3 dicembre 1921 a seguito dei patimenti di quegli anni.
 
Battisti diventa subito un propagandista attivo per l'intervento italiano contro l'Impero austro-ungarico, tenendo comizi nelle maggiori città italiane e pubblicando articoli interventisti su giornali e riviste.
Tra le città in cui soggiornò vi è anche Treviglio dove risiedette in via Sangalli al numero 15.
Il 24 maggio 1915, l'Italia entra in guerra. Battisti si arruola volontario e viene inquadrato nel Battaglione Alpini Edolo, 50ª Compagnia.
Combatte al Montozzo sotto la guida di ufficiali come Gennaro Sora e Attilio Calvi. Per il suo sprezzo del pericolo in azioni arrischiate riceve, nell'agosto del 1915, un encomio solenne.
Viene trasferito ad un reparto sciatori al Passo del Tonale e successivamente, promosso ufficiale, al Battaglione Vicenza del 6º Reggimento Alpini, operante sul Monte Baldo nel 1915 e sul Pasubio nel 1916.
Battisti si era offerto di combattere sul fronte Trentino perché conosceva benissimo la geografia del suo paese e quindi sarebbe stato più utile, anche se in caso di cattura sarebbe stato condannato a morte per tradimento.
Infatti, per le autorità Austro Ungariche si trattava di tradimento a tutti gli effetti. Anche Gianni Caproni aveva lasciato il Trentino per costruire aerei nel Regno d’Italia ed era stato condannato a morte in contumacia.
 

 
In luglio la 1ª Armata italiana aveva iniziato la controffensiva in Vallarsa, dove la linea del fronte si era arrestata contro due formidabili posizioni, passo Buole, alle spalle del monte Zugna, e il Pasubio, in parte rimasto italiano.
Il battaglione alpino Vicenza, risalendo lungo la rotabile della Vallarsa, riconquistava i paesi di Cumerlotti, Aste e Anghebeni, ma si doveva fermare contro le difese nemiche del monte Trappola e del monte Corno, a ovest del Pasubio.
Cesare Battisti aveva raggiunto il battaglione Vicenza già il 7 giugno e, al comando di una compagnia, si era portato a Cima Levante, seconda linea alle spalle del passo Buole, pronto ad intervenire nel caso di sfondamento nemico.
Il 5 luglio il Vicenza aveva attaccato e conquistato il monte Trappola, arrivando fin sotto il monte Corno, ma poi si era dovuto attestare sulle posizioni raggiunte per le gravi perdite inflitte dal nemico. L’avanzata in Vallarsa si era fermata perché il bastione naturale era protetto da cannoni e mitragliatrici austriache.
Ma la punta avanzata di un reparto italiano era riuscito a sfondare in una sella a 1.801 metri di quota vicino a monte Testo, che era in mano austriaca. Il battaglione Vicenza venne scagliato in quella fessura con l’obbiettivo di conquistare la vetta di Monte Corno, quota 1.765 metri.
Gli alpini attaccarono in quella breccia all’una di notte del 10 luglio 1916, prendendo di sorpresa gli austriaci e facendo molti prigionieri.
Ma l’intero fronte austriaco si risvegliò, vennero fatti affluire rinforzi, entrarono in azione le mitragliatrici e i cannoni. Il comandante del Vicenza, però, decise ugualmente di tentare da una parte la conquista di Monte Corno con soli 50 uomini e dall’altra quota 1.801. In quest’ultima unità c’era l’ufficiale Cesare Battisti
L’assalto al monte Corno riuscì e fruttò la cattura di 34 soldati austriaci, mentre quota 1.801 era protetta dalle batterie austriache del Col Santo. Gli alpini furono inchiodati dalle mitragliatrici.
All’alba la situazione degli alpini era disperata. Non avevano più vie di fuga, a parte un burrone che solo pochi riuscirono a discendere.
I pochi rimasti in vita si arresero. Tra questi Cesare Battisti e il sottotenente Fabio Filzi.
 

 
A riconoscere Cesare Battisti fu il Kaiserjäger trentino Bruno Franceschini, originario della Val di Non e a quel punto scattarono tutte le misure previste dall’Impero Asburgico nei confronti dei traditori.
Subito il boia Lang e i suoi aiutanti vennero inviati a Trento. Lang era tristemente noto in Trentino perché aveva eseguito una condanna a morte molti anni prima a Rovereto, giustiziando un omicida. Il boia usò una corda troppo sottile e si ruppe, quindi dovette ripetere l’operazione. Battisti criticò il boia per la leggerezza con cui aveva trattato la triste operazione.
Mentre Lang era in viaggio da Vienna, la mattina dell'11 luglio Battisti venne trasportato attraverso la città a bordo di un carretto, in catene e circondato da soldati. Durante il percorso, organizzato dalla polizia austriaca in una Trento semideserta e silenziata, le milizie lo fecero bersaglio di insulti, sputi e frasi infamanti, apostrofandolo come traditore: Gli organi di stampa austriaci lo descrissero come «bancarottiere», «truffatore», «vigliacco», «disertore», «traditore dei suoi e dai suoi tradito».
Va precisato che a Trento la maggior parte dei cittadini del capoluogo era stata sfollata in Austria per far posto alle milizie dell’esercito Austro ungarico e, verosimilmente, a un adeguato numero di prostitute.
Dei 30.000 cittadini ne erano stati sfollati 20.000, ma adesso la città contava quasi 100mila persone (vedi), perlopiù soldati di varie etnie stipati nelle scuole e in tante altre strutture pubbliche.
https://www.ladigetto.it/permalink/45384.html
 

 
Il processo a Battisti fu istruito senza garanzie per l'imputato, al quale venne negata anche la difesa di fiducia, e contrassegnato da grossolani errori procedurali.
Ma dobbiamo dire che in tutti i paesi belligeranti i traditori venivano semplicemente fucilati, senza processo. Se era scontato il risultato della Corte Marziale austriaca, però, si deve dire che la sceneggiatura era stata architettata per dimostrare al mondo che l’Austria è viva e che non perdona.
In altre parole, Cesare Battisti poteva essere fucilato sul posto non appena accertato che era un cittadino austriaco. Volendo montare quella tragica messa in scena, Francesco Giuseppe confermò di meritare l’epiteto di «Impiccatore».
La mattina seguente, il 12 luglio 1916, fu condotto insieme a Fabio Filzi davanti al tribunale militare, che aveva sede al Castello del Buonconsiglio, al tempo adibito a caserma delle truppe austro-ungariche.
Durante il processo non si abbassò mai alle scuse, né rinnegò il suo operato e ribadì invece la sua piena fede all'Italia.
Respinse l'accusa di tradimento a lui rivolta, basata sul fatto d'essere suddito asburgico passato alle file nemiche e deputato del Reichsrat. Egli si considerò invece soltanto un soldato catturato in azione di guerra.
Ecco cosa si legge ne verbale dettato dallo stesso Battisti durante il processo.
«Ammetto inoltre di aver svolto – dichiarò, – sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l'Italia, in tutti i modi - a voce, in iscritto, con stampati - la più intensa propaganda per la causa d'Italia e per l'annessione a quest'ultima dei territori italiani dell'Austria.
«Ammetto d'essermi arruolato come volontario nell'esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l'Austria e d'essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano.
«In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati.
«Rilievo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell'indipendenza delle province italiane dell'Austria e nella loro unione al Regno d'Italia.»
Alla pronuncia della sentenza di morte mediante capestro per tradimento, Battisti prese la parola e chiese, invano, di essere fucilato invece che impiccato, per rispetto alla divisa militare che indossava.
Il giudice gli negò questa richiesta e si dovette procedere quindi ad acquistare alcuni miseri indumenti da fargli indossare, dando esecuzione alla sentenza, che sarebbe stata eseguita due ore dopo la sua lettura.
 

 
Cesare Battisti aveva affrontato il processo, la condanna e l'esecuzione con animo sereno e con grande fierezza, nonostante la misera esposizione durante il tragitto in città, il fatto che fosse stato condotto alla forca vestito quasi di stracci e che non gli si permise di scrivere alla famiglia, ma solo di dettare ad uno scrivano una lettera diretta al fratello Giuliano.
Secondo la versione accreditata dalla storiografia italiana morì gridando in faccia al carnefice ed ai numerosi spettatori: «Viva Trento italiana! Viva l'Italia!».
L'esecuzione avvenne nella Fossa della Cervara, sul retro del castello del Buonconsiglio.
Il Boia Lang, o per caso o apposta, usò una corda non molto resistente, come quella volta a Rovereto, quando Battisti lo aveva accusato di non saper fare neanche il suo sporco lavoro.
Fatto sta che al primo tentativo di impiccagione la corda si spezzò e Lang dovette ripetere l’esecuzione con una corda più grossa.
Purtroppo Lang proseguì la sua spregevole serie di iniziative che evidentemente portava avanti a ogni esecuzione. Posò insieme ai suoi aiutanti vicino a Cesare Battisti Impiccato, ostentando un’odiosa soddisfazione.
Tra le varie cose, pochi lo sanno, denudò l’impiccato per far vedere il risultato del suo lavoro. Le sue foto circolarono per anni, poi per fortuna scomparvero.
 
Ironia della sorte, alla vedova Ernesta Bittanti fu liquidato l'importo di 10.000 lire dalla RAS, compagnia di assicurazione di Trieste, all'epoca austroungarica.
 

 
A cent’anni dalla sua esecuzione, purtroppo, ci sono ancora degli apologi e dei detrattori di Cesare Battisti.
Non si sono ancora spenti i risentimenti e ci troviamo costretti a prendere posizione nostro malgrado. E la nostra posizione è a favore di Battisti.
Il Trentino ha avuto due grandi cittadini, Alcide Degasperi e Cesare Battisti. La loro statura cresce man mano che il tempo passa e che gli studiosi approfondiscono i loro studi.
Entrambi erano europeisti coinvinti, entrambi hanno sofferto.
Come abbiamo detto, Cesare Battisti sarebbe stato giustiziato per tradimento in qualsiasi altro paese belligerante, secondo le leggi di allora.
Lo sconcio della sua esecuzione però ha fatto di lui non solo un eroe della resistenza – come i partigiani della Seconda Guerra Mondiale, – ma anche il simbolo dell’iniquità dell’Impero Austro Ungarico che aveva voluto combattere.
Morendo così, dimostrò che aveva ragione.
E, in tutti i casi, merita il rispetto che deve essere riconosciuto a chiunque abbia dato la vita per un proprio ideale.
 
G. de Mozzi.
 
Si ringrazia Wikipedia e gli istituti che ci hanno fatto pervenire le foto che abbiamo pubblicato.
 

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