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Luca Prosser, dall’officina all’atelier – Di Maurizio Panizza

Ovvero quando l’arte diventa anche impegno sociale: un personaggio poliedrico che ben rappresenta la differenza fra l’essere artigiano e essere artista

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Cinquantaquattro anni, perle all’orecchio, capelli pepe sale, «crucolo» ben raccolto in testa, leggera barba, occhi sottili e fascinosi: è Luca Prosser, l’intervistato di oggi, il quale alla mia prima domanda su come lui si definisce, mi risponde con un disarmante «un modesto artigiano».
Eh no, caro Luca! Se siamo qui ad ascoltarti è proprio il contrario, non certo per la tua modestia, ma piuttosto per quell’arte autentica e originale grazie alla quale sei protagonista emergente da parecchi anni.
 
Già, ma fin dove arriva l’artigiano e dove inizia l’artista? Domanda impegnativa, difficile da circoscrivere entro confini ben definiti.
Certo è che Luca è un rinomato artigiano-artista (nel suo caso il trattino diventa d’obbligo) che a Volano ha da molti anni la sua officina atelier.
La sua - e forse sta proprio qui il punto - è una di quelle attività duplici che da una parte si fanno per lavoro e dall’altra per vera passione.
 
Perché se è vero che l’artigiano è un produttore che crea su commissione a scopo economico, è anche vero che un artista è qualcosa di più, perché dal suo «saper fare» il lavoro si trasforma in vera opera d’arte.
Il lavoro dell’artista, infatti, è un qualcosa in più che non si impara né a scuola, né in officina, ma che deriva dall’anima e non è cosa che si insegna facilmente, né che si impara. Lo spirito artistico, insomma, o ce l’hai o non ce l’hai.
Questi i pensieri vorticosi che mi frullano in testa nei pochi istanti precedenti la seconda domanda.
 

Armando Aste, Luca Prosser, Mariano Frizzera.
 
Luca, artigiano o artista che sia, raccontami di te, di come sei arrivato a quello che sei oggi.
«Beh, ho iniziato molto presto a lavorare, a 15 anni, come apprendista presso l’officina meccanica di Mariano Frizzera, grande alpinista e accademico del CAI. Con lui sono stato per 23 anni, diventando poi di fatto il responsabile dello stabilimento con più di venti dipendenti.
«Quella è stata un’impagabile formazione sia tecnica che di carattere che ha plasmato il mio modo di lavorare e di vedere la vita.».»
 

Vedo non vedo.

E qual è questo tuo modo di vedere la vita?
«Prima di tutto cerco sempre di essere coerente fra idee e azioni. In altre parole ho un grandissimo rispetto per l’ambiente e mi piacerebbe che tutti fossero consapevoli del bene di cui disponiamo. Per questo, appena posso, la domenica sono in montagna a immergermi nella natura.
«Ho scalato diverse volte con Mariano Frizzera e Armando Aste, non mi considero assolutamente ai loro livelli, ma certamente ho imparato da loro tutto ciò che oggi fa parte del mio patrimonio di vita.»



Illuminazioni alla Distilleria Marzadro.
 
Parlando con lui, capisco che Luca è molto critico nei confronti del nuovo turismo che viene avanti, quello dello sfruttamento di massa, della montagna vista come business, dei mega-rifugi come hotel a cinque stelle in quota.
Un turismo troppo spesso ignorante e maleducato che cerca solo le comodità e non sa guardare oltre al proprio ristretto orizzonte, a ciò che sta accadendo al Pianeta.


In montagna.
 
A proposito di orizzonti: sbaglio o hai creato un’installazione che in fondo rappresenta proprio questa tua preoccupazione?
«È vero. È un grande occhio che guarda dall’alto e che si trova a Pampeago in Val di Fiemme, sulle Dolomiti. L’ho intitolato Vedo non vedo e vuole rappresentare il fatto che tutti possono vedere, ma non tutti vedono la stessa cosa. In particolare quelle emozioni che stanno dietro a un paesaggio, a un sentiero, a una vetta, che purtroppo molti non riescono a cogliere forse perché manca loro il cuore che palpita, la generosità, la commozione, lo stupore, il rispetto per la natura.»
 

Sul Catinaccio.
 
Tornando a noi, al tuo percorso professionale e artistico, quando è successo il salto di qualità dall’officina artigianale all’atelier artistico?
«Nel 2004, quando Mariano Frizzera stava per chiudere la sua attività, mi chiese se volevo essere io a rilevarla. Ci pensai a lungo, conteso fra l’idea di continuare un lavoro già fatto per oltre vent’anni, oppure dare un giro di pagina alla mia vita per intraprendere altre strade.
«Alla fine in questa scelta così difficile è stato decisivo il consiglio di mia moglie Mara. Così, è nata la mia nuova creatura alla quale ho messo il nome di ArtLuca Creazioni e Design.»
 
E quindi è da lì che ti sei messo a pensare a progetti nuovi e originali, in particolare a oggetti di luce?
«Esatto. I primi estimatori delle mie lampade sono stati gli amici, poi via via sono arrivate commesse che mi hanno fatto conoscere anche oltre i confini provinciali e adesso le mie postazioni luminose si possono vedere in molti posti»
 

Al lavoro.
 
Mi devi raccontare, allora, quella storia di Vasco Rossi.
«Come fai a conoscerla? Qualcuno evidentemente ha fatto la spia (sorride). Comunque sia, devi sapere che ho sempre avuto una particolare ammirazione per il cantante romagnolo, al punto che in laboratorio tengo sempre come sottofondo molte delle sue canzoni. Per questo motivo, mi pareva di avere nei suoi confronti un debito di riconoscenza per avere allietato in tanti anni il mio lavoro. Per cui un giorno decisi di progettare una lampada fatta apposta per lui.
«E dopo aver impiegato alcune settimane di lavoro sono partito in macchina per Bologna per la consegna presso il suo impresario. Vasco non c’era, però il giorno dopo ho ricevuto una sua telefonata con la quale mi ringraziava di cuore per il gradito pensiero.»
 

Un abbraccio alla natura.
 
In seguito - continua a raccontarmi, Luca - sono arrivati altri progetti, altre opere e pure diverse mostre, fra cui una prestigiosa a Firenze, presso la Fortezza da Basso.
Poi, però, mi confida di aver capito che non era il suo primo desiderio fare mostre al chiuso, ma che invece doveva continuare con le installazioni all’aperto nei luoghi che più gli sono cari.
Così è diventato promotore del progetto Dolomia Art, che vede 15 artisti installare le loro opere sul sentiero che va dal rifugio Vajolet al rifugio Principe, nel Gruppo del Catinaccio.
Poi a Volano, suo paese natale, dove ha il laboratorio e dove sono esposti due dei suoi lavori. O, ancora, presso le Distillerie Marzadro a Nogaredo e da Montura a Isera.


L'ultima installazione presso Montura a Isera.
 
Progetti futuri?
«Tutte le opere che ho fatto finora hanno in sé qualcosa in comune. La prossima però, quanto meno per dimensioni, sarà diversa. Sto pensando a un’enorme sfera in acciaio corten (quello arrugginito molto resistente agli agenti atmosferici, ndr) con una grande crepa che lo attraversa a rappresentare un Mondo ferito.
«Un coltello poi starà a significare che non c’è più tempo e che il destino dell’umanità sta ormai in equilibrio, come sul filo di una lama. Purtroppo, temo seriamente per la salvaguardia del nostro pianeta.
«Tutti dovrebbero capirne l’urgenza, ma non sempre è così perché se da una parte della popolazione c’è un sincero interesse per il nostro pianeta, dall’altra, purtroppo, vediamo una grande indifferenza.
«Certo, l’arte può aiutare - conclude - ma è la politica che decide, anche se alle fine potrebbero essere decisive proprio le singole persone nel momento in cui vanno a scegliere i loro rappresentanti.
«Con quest’ultima riflessione ci salutiamo e Luca riprende la sua attività in officina. Attraverso le sue opere continua il suo impegno civile per spiegare, anche con l’arte, ciò che la gente spesso non riesce a vedere e a capire.»

Maurizio Panizza.



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