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Per chi suona la campana? – Di Maurizio Panizza

La storia dimenticata di Giovanni Battista Panizza: a 100 anni dalla Grande Guerra si discute ancora su chi deve essere ricordato e chi no

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Ci fu chi boicottò l’Austria e poi la combatté con le armi passando dall’altra parte, cercando così di dare ragione a un ideale di italianità considerata irredenta.
Ci furono poi coloro - altrettanto convinti - che invece credettero giusto continuare un processo avviato, in cui l’autonomia in parte era già stata raggiunta e in parte era ancora da ottenere.
Ci riferiamo ovviamente al Trentino, prima e durante la Grande Guerra e agli uomini che fecero quel tempo.
Uno di questi fu don Giovanni Battista Panizza, successore - dal 1898 e sino alla fine della guerra - di don Lorenzo Guetti alla guida del movimento cooperativo trentino, nonché deputato a Vienna dal 1907 al 1911 e deputato alla Dieta di Innsbruck (il consiglio Regionale del Tirolo) dal 1908 al 1918.
Don Panizza credeva fermamente nella possibilità di poter giungere politicamente - seppur per gradi - ad un’autonomia del Trentino che potesse dare il dovuto riconoscimento alla minoranza italiana in seno all’Impero Austro-Ungarico. Cercò di dimostrarlo attraverso il suo diretto impegno per lo sviluppo della cooperazione (51.000 soci nel 1909, centinaia di casse rurali, famiglie cooperative, cantine sociali, ecc.) e per l’avvio di un processo di industrializzazione (Unione Trentina Imprese Elettriche, ferrovia Dermulo-Mendola, SAIT, SAV, ecc.) che l’«inetta borghesia» trentina aveva volutamente trascurato.
 

 
Ma non solo. Diversamente da altri personaggi che dopo essere stati eletti deputati non frequentarono sistematicamente le aule parlamentari per boicottare il Governo asburgico (ad esempio proprio Guetti, eletto alla Dieta di Innsbruck nel 1891, nel ’92, nel ’93, nel ’95, nel ’96 e nel ’97, non si presentò mai in aula), l’on. Panizza non rinunciò al diritto-dovere di rappresentare il suo popolo, convinto, come parlamentare, che esistesse comunque la possibilità per popoli diversi di vivere in pace in uno stesso Stato.
Nel periodo in cui fu deputato furono più di trenta le sue presenze al Parlamento di Vienna e quasi sessanta quelle a Innsbruck sino alla fine della guerra.
E dire che Vienna e Innsbruck a quei tempi non erano così vicine come oggi!
Al contempo furono numerosi anche i suoi interventi, le interrogazioni e le mozioni rivolte al Governo.
Nel 1904 era stato fondatore con Alcide Degasperi del Partito Popolare (anticipando di 15 anni quello di don Sturzo, in Italia) diventandone al contempo il primo presidente.
E sempre con Degasperi, nel corso della guerra fu nominato membro del Comitato per i profughi del Sud da lui stesso richiesto per poter portare assistenza alle famiglie trentine sfollate in Boemia e in Moravia. In tale veste negli anni della guerra percorse in lungo e in largo quelle regioni - oggi in Repubblica Ceca e in Slovacchia - e seppur malandato per gli acciacchi dell’età, visitò più di 100 villaggi e le relative famiglie trentine che li erano state sfollate.
 

Dopo la Grande guerra iniziò l'opera di «smemorializzazione» forzata del Trentino Alto Adige.
 
Questo lo sappiamo grazie al ricercatore Saverio Prezzi che ne ha rinvenuto la documentazione presso l’archivio parrocchiale di Lizzana, di cui Panizza era parroco all’epoca. Nei casi in cui constatava situazioni di estremo disagio negli alloggi, nell’alimentazione, nell’istruzione dei bambini (purtroppo quasi la regola), l’on. Giovanni Battista Panizza si adoperava immediatamente presso le autorità, i capi-comune, i Capitani distrettuali, i Ministri del Governo austriaco con un rigore e una severità coraggiose quanto encomiabili.
Di questi interventi e dei resoconti delle sue visite esistono le copie scritte. In ogni casa, in ogni villaggio in cui arrivava, don Panizza era salutato come un salvatore perché la gente lo conosceva e sapeva bene che da uomo integerrimo e di parola avrebbe fatto ciò che prometteva.
Per questo, anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1923, la gente lo ricordò molto a lungo e con grande riconoscenza.

Lo stato Italiano ricordò e aiutò solo chi combatté dalla propria parte.

Altrettanto non fu per le istituzioni. Dopo la guerra arrivò il Fascismo e con esso si iniziò per più di 20 anni a scrivere una storia artefatta di eroi di parte.
Del resto si sa, la storia la scrivono sempre i vincitori attraverso l’esaltazione di alcuni e l’oblio di altri.
«Smemorizzazione» la si potrebbe chiamare quest’opera forzata nei confronti della popolazione, fare cioè perdere la memoria di qualcosa di fondamentale del proprio passato che potrebbe però essere di danno al mantenimento di un certo regime, di una certa storia.
E dopo il Fascismo arrivò poi la Repubblica che per altri 80 anni accondiscese anch’essa alla medesima storia, e sostenne e giustificò gli stessi eroi.
E così la figura e il ricordo di don Giovanni Battista Panizza, assieme a molti altri, cadde definitivamente nel dimenticatoio come non fosse mai esistito, e di lui nessuno parlò più.
Figuriamoci! Non si poteva ricordare un uomo come lui! Lui che aveva amato l’Austria sino alla fine; lui che come deputato aveva dichiarato fedeltà all’imperatore; lui che di fatto era stato l’artefice di una straordinaria rete cooperativa in terra austriaca (nel 1910 la prima in Europa per numero di cooperative in rapporto al numero di abitanti) non poteva e non doveva essere ricordato alla pari di chi, in sintonia con i vincitori, aveva fatto, invece, scelte completamente diverse e in molti casi ancora oggi del tutto discutibili.
 
  Maurizio Panizza
  © Il Cronista della Storia
  maurizio@panizza.tn.it

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