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«Mr. President Obama… serve un Piano Marshall per l’Africa»

Sempre più attuale la lettera inviata dal nostro Maurizio Panizza a Barack Obama, primo presidente nero degli Stati Uniti

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Come sappiamo, il mandato presidenziale di Barack Obama sta per concludersi e con esso rimane molto incerto il futuro americano e mondiale dopo un’epoca storica che, fra l’altro, ha visto eletto negli Usa il primo presidente nero.
Tre anni fa il nostro Maurizio Panizza scrisse a Obama la lettera che riportiamo di seguito.
Ovviamente non ebbe nessuna risposta, però i temi che allora proponeva in momenti non ancora così drammatici come quelli di oggi, rileggendo adesso quello scritto appaiono sempre più attuali.
«Lo chiamavo Piano Marshall per l’Africa, – ci scrive Panizza. – E, cosa di queste ultime settimane, leggo con soddisfazione che adesso pure la Presidente Boldrini ha accennato con urgenza a qualcosa del genere.
«Rimango della mia idea – prosegue il nostro collaboratore – che al di là di un risarcimento americano doveroso seppur tardivo, quel continente ha oggigiorno la necessità di avere la massima attenzione da parte di tutto il mondo, per crescere e svilupparsi.
«Cosa che, in altre parole, nei prossimi decenni significherà la salvezza della vecchia Europa, semplicemente perché se non saremo in grado di incentivare un processo di stabilizzazione e di progresso nei Paesi africani, sarà l’Africa che verrà da noi.»
Di seguito la lettera inviata a Obama.

                                                                                          Rovereto, 15 febbraio 2013
President Usa Mr. Barack Obama    
White House, 1600 Pennsylvania Ave
Washington, DC. 20500 – Usa
 
e p.c. Mr. David Thorne
Ambasciatore Usa
Via Vittorio Veneto, 121
00187 Roma
 
Caro Presidente Obama,
sono un cittadino italiano, uno dei tanti che in questi giorni ha potuto vedere il film del regista americano Steven Spielberg, Lincoln, che affronta il doloroso tema della schiavitù e della sua abolizione nel 1865, in Usa.
Un film che mi ha colpito particolarmente, un film esemplare e importante sotto molti punti di vista, non solo cinematografico, ma anche storico, morale e politico.
Ammirevole soprattutto per la visione politica raccontata che mette insieme idealismo e realpolitik, evidenziando due elementi fondamentali: da una parte la statura morale del presidente Lincoln, dall’altra la capacità di guardare al di là delle personali convenienze, assieme al coraggio di saper usare metodi anche impropri pur di raggiungere obiettivi elevati di indubbia natura superiore.
L’impresa di Spielberg, tentata e superata, è stata quella, insomma, di rendere intima e interiore una questione di giustizia e di politica universale, di dare voce ad un’invocazione al recupero della centralità della politica, della sua pratica, anche dei suoi buoni compromessi.
Per questo motivo, vedendo il film, non ho potuto non pensare come la storia e le esperienze del passato parlino ancora al presente e al futuro.
Eppure, dopo tanti anni e tanto progresso, nemmeno oggi, caro Presidente, possiamo purtroppo dirci liberi da forme di schiavitù che in un mondo globalizzato sono ormai a noi molto vicine.
La questione irrisolta dei diritti fondamentali di vita, di dignità umana, di libertà, di democrazia e di pace, in certe nazioni è tuttora presente, mentre nei nostri Paesi, Usa e Italia, la crisi economico-finanziaria riporta all’attenzione dell’opinione pubblica preoccupanti segnali per il futuro per quanto attiene il diritto al lavoro, allo studio, alla casa, all’unione familiare, alla stessa felicità, condizione quest’ultima a cui dovrebbe tendere qualsiasi azione collettiva.
 
L’oggi, evidentemente, reclama una nuova cultura e una nuova politica se è vero che un modello economico di eterna crescita e consumo è sostanzialmente fallito e che uno dei suoi misuratori, il Pil - il Prodotto Interno Lordo (in inglese Gross Domestic Product o Gdp) - così come è stato inteso finora non rende affatto felici.
Diceva Robert Kennedy nel 1968: «È chiaro che da troppo tempo abbiamo sacrificato al Pil le qualità personali e i valori della comunità. Il Pil non tiene conto della salute dei nostri bambini, della qualità della loro educazione o della felicità dei loro giochi, non misura l’integrità, il coraggio, la saggezza o la conoscenza, la compassione: non tiene conto di quello che rende la vita veramente degna di essere vissuta.»
Per questi motivi, Presidente Obama, Le chiedo cortesemente due cose: la prima, che come Abraham Lincoln Lei sappia mettere in campo tutti i poteri eccezionali di cui dispone il Presidente degli Stati Uniti d’America, per fissare al primo posto dell’agenda politica sempre e comunque i beni primari dei cittadini e non tanto - per essere franco - gli interessi delle Borse, delle Banche, delle Finanziarie, delle Multinazionali, degli Eserciti.
 
Lei sa bene quanto sia importante l’esempio degli Usa nel mondo e di conseguenza il Suo personale impegno e risultato. La seconda, invece, riporta al tema iniziale di questa mia comunicazione, e cioè alla schiavitù negli Usa legalizzata dalla Costituzione del 1787, che vide per più di un secolo il sequestro dai Paesi africani e il mantenimento in schiavitù di una quantità enorme di esseri umani fino a raggiungere i 4 milioni nel 1860: un crimine contro l’umanità, non completamente diverso - ammettiamolo - dall’eccidio nazista della Shoah.
Di risarcimenti nei confronti dei neri d’America se n’è parlato molto sin dal 1865 in poi, ma purtroppo quello che è certo fino ad oggi è che l’unico vero indennizzo è stato quello dato all’epoca dallo Stato ai proprietari terrieri in cambio della liberazione dei propri schiavi.
Dunque, se è pur vero che il 18 luglio 2009 il Senato degli Stati Uniti d’America ha approvato all’unanimità una risoluzione in cui «riconosce la fondamentale ingiustizia, crudeltà, brutalità e disumanità dello schiavismo e delle leggi Jim Crow (quelle della segregazione razziale) e si scusa con gli afroamericani a nome del popolo degli Stati Uniti per gli sbagli commessi nei loro confronti e nei confronti dei loro antenati», è anche verosimile che in tal senso difficilmente si potrà rendere operativo un risarcimento diretto in denaro per tutti i neri d’America.
 
Ciò premesso, mi permetto di proporre a Lei, Signor Presidente, una forma diversa di risarcimento, fattibile e altrettanto efficace dal punto di vista del riconoscimento della dignità umana: aiutare materialmente l’Africa, il continente di antica origine di molti Suoi concittadini, il continente oggigiorno più povero e arretrato della Terra.
Aiutarlo, però, non attraverso investimenti o imprese aventi come scopo, ancora una volta, quello di fare profitti solo per se stessi, né tanto meno attraverso organizzazioni non governative lasciate alla buona volontà o al caso.
In questa situazione, infatti, solo un intervento diretto e ufficiale degli Stati Uniti d’America - una specie di Piano Marshall per l’Africa - potrebbe essere di contrasto al neo-colonialismo e al sistematico saccheggio dei beni comuni che qui sta accadendo da alcuni anni ad opera di molti Paesi stranieri.
Un impoverimento per queste popolazioni, una privazione di libertà annunciata che solo un intervento concreto e disinteressato - come quello di Lincoln ai tempi della schiavitù - potrebbe arrestare.
In questo caso ridare dignità equivarrebbe a riparare, seppur parzialmente e con un notevole ritardo, l’immane tragedia del continente africano causata da una malvagità umana impossibile da perdonare ma possibile da non ripetere.
 
Ci pensi, Presidente, e rifletta anche sul fatto che se non saremo in grado di risolvere situazioni esplosive come questa e come altre in giro per il mondo, l’umanità intera sarà presto in pericolo.
Tanto avevo il desiderio di dirLe, con estrema modestia e sincerità.
Buon lavoro Presidente Obama!
 
Maurizio Panizza
Giornalista
maurizio@panizza.tn.it

 

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