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La stupefacente storia di un umile uomo – Di Edith Eccher

Joseph Zandarco, un trentino nei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale. Un appello ai lettori

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Da una cartolina d’inizio '900, collezione privata. 
La via che vediamo era la stessa ai tempi di Giuseppe Zandarco, il quale abitava nella terza casa a destra.

La stupefacente storia di un umile uomo - italiano di nascita e francese di adozione - che prese parte al secondo conflitto mondiale nello Special Air Service (Servizi segreti inglesi di informazione e sabotaggio) e che a guerra finita tornò a una vita normale, se si può chiamare «normale» una vita dopo l’esperienza bellica.
La sua storia è stata scoperta dalla ricercatrice francese di origini trentine Edith Eccher, con la collaborazione del giornalista Maurizio Panizza, redattore de l’Adigetto.it.

Notte fra il 6 e il 7 settembre 1944.
Nell’aereo che sorvola il massiccio dei Vosgi francesi nessuno dei 15 uomini che stanno nella carlinga apre bocca.
All’improvviso un chiaro e deciso «In piedi!» rompe il silenzio.
La squadra del britannico Major Reynolds, 2° Reggimento SAS 2nd Squadron A Troop, sta per essere paracadutata nelle vicinanze del paesino di Veney, in Lorena, ai confini con l’Alsazia
Un secondo dopo, arriva un netto e preciso: «Agganciare!».
Alla pari di tutti i compagni, anche Joseph si prepara al lancio, stavolta nel buio, così come l’ha provato per tante volte da quando era stato accorpato nello Special Air Service, il Corpo speciale britannico di spionaggio e sabotaggio.
Alcune settimane prima la squadra era stata posta sotto riserbo, isolata cioè dal resto dei militari del Reggimento. Joseph aveva intuito che quello era il segnale che a breve la squadra avrebbe preso parte ad una missione segreta e molto pericolosa.

Joseph Zandarco nel 1946.

 Adesso sappiamo che quella sarebbe stata chiamata «Missione Loyton» la quale si inseriva nel piano strategico di liberazione dall’occupazione nazista di cui lo sbarco in Normandia è l’azione più nota.
L’obbiettivo puntava ai Vosgi, nei dintorni di Moussey nella Vallata del Rabodeau, perché quello era il corridoio naturale, nonché la strada più corta che portava verso il confine con la Germania. Inclusa nello schema di sfondamento di quel fronte, la Missione Loyton era considerata determinante dallo Stato Maggiore Alleato ai fini di assicurare poi l’offensiva verso l’Alsazia e il Reno.
Per la squadra di Joseph, si trattava in sostanza di compiere azioni di sabotaggio e di interruzione delle vie di comunicazione.
 
«Via!»: Joseph salta nel vuoto.
La fune di vincolo agganciata all’aereo apre poco dopo il paracadute.
Nel sacco legato alla gamba ci sono viveri per 2-3 giorni oltre a tutto il materiale (armi, munizioni, esplosivi, ecc) necessario alla missione.
Mentre il paracadute scende lentamente in silenzio nella fresca brezza della notte, la luna è da poco spuntata dalle montagne e illumina il territorio.
Joseph scopre così, con meraviglia, il paesaggio dei monti francesi dal cielo. Una veduta insolita, ma quasi simile a quella goduta tante volte dall’alto, quando le sue camminate di gioventù lo portavano sulla sommità del monte Finonchio, la montagna di casa, sopra Volano.
Sarà la tensione del momento? Chissà.
In un attimo, mentre il paracadute continua a scendere con un leggero fruscio, Joseph ripercorre con la mente la sua vita e il panorama che ha di fronte lo riporta proprio a Volano, il paese del Trentino in cui era nato e che aveva lasciato con nostalgia neppure 10 anni prima.

La casa natale di Giuseppe Zandarco a Volano.

 Allora lo chiamavano Giuseppe, all’anagrafe Giuseppino Zandarco.
A quasi 22 anni d’età, la sua vita era già piena di momenti che avevano lasciato un segno profondo nell’animo del ragazzo. Nato l’11 dicembre del 1922, la sua famiglia abitava in via Tei nella casa di fronte alla Cooperativa. Nel 1924 la sorellina Ida era morta 5 giorni dopo la nascita. L’anno successivo anche la mamma Alma era venuta a mancare.
Il papà Luigi, reduce di guerra già segnato dalla prigionia in Russia quando aveva appena 19 anni, cercava in tutti i modi di superare le improvvise avversità della vita.
Giuseppe non aveva conosciuto i nonni paterni, tutti e due erano morti durante la Prima Guerra Mondiale.
Malgrado tutte quelle disgrazie, c’erano pur sempre gli zii e i cugini, oltre ai compagni di scuola con i quali aveva condiviso molti piacevoli momenti dell’infanzia.
 
Poi, il 7 febbraio del 1935, Giuseppe, insieme al padre, aveva lasciato il piccolo paese di Volano per Parigi.
Lì, c’era già lo zio Gabriele con la moglie francese Augustine e un cugino di nome René, di 4 anni più grande di lui: tutti da conoscere. Lo zio Gabriele, dopo aver fatto il falegname, aveva messo su assieme alla moglie un bar-trattoria situato in Rue de Lagny a Saint-Mandé dove ora abitavano.
La trattoria dello zio era a circa cento metri dalla nuova casa di Giuseppe.
Il loro quartiere era situato precisamente nell’est parigino, nel municipio di Montreuil-sous-bois, in quella che oggi è rue du Prefet Claude Erignac, distante solamente due strade da Parigi-città.
Lì, si svolgeva uno dei due famosi mercati parigini delle pulci ed era una via molto popolare grazie anche alla presenza di una numerosa comunità di immigrati italiani.
 
A Montreuil-sous-bois erano i tempi del «Front Populaire», una coalizione di partiti politici di sinistra e nel 1936 il Sindaco, appena eletto, era comunista.
In quella realtà del tutto particolare, diversi erano i giornali di sinistra stampati pure in lingua italiana, anche perché in quelle strade abitavano da tempo molti antifascisti fuggiti dall’Italia.
A casa, il suo papà si era rifatto una nuova vita con Brigitte che da lì in avanti gli avrebbe fatto da mamma. Ora per Giuseppe cominciava una nuova vita cittadina nella Francia degli anni ’30.
Periodo in cui, benché nessuna legge lo avesse mai imposto, a tutti gli immigrati veniva abitualmente dato un nome francese, forse proprio come primo passo verso un’integrazione desiderata, per non essere cioè considerati diversi da chi in Francia ci era nato o ci viveva da sempre.
E fu così che Giuseppe diventò Joseph.
 

Avviso tratto da «Tous bandits d'honneur» di Maurice Choury.
 
Non ancora computi i 13 anni di età aveva frequentato per qualche mese la scuola francese prima di andare a fare l’apprendista in un’officina meccanica di precisione.
Aveva così conosciuto la dura vita operaia in un contesto di forte presenza sindacale e di politica di sinistra, contesto in cui si organizzeranno in tempo di guerra le prime azione della Resistenza sul territorio francese.
Eravamo negli ultimi mesi del 1942, quando Joseph, fresatore industriale ormai esperto, aveva ricevuto una raccomandata dal Regio Consolato Generale d’Italia di Amburgo.
Con quella comunicazione veniva chiamato alle armi sotto l’esercito italiano il 4 dicembre (pochi giorni dal suo 20° compleanno), con l’ordine di raggiungere il 207° Reggimento di Fanteria nel sud-est della Francia, più precisamente nella zona di Toulon-Carnoules-Cap Cavalaire, dove il Reggimento, parte della 48ª Divisione «Taro», era acquartierato.
 
Benché nella vita civile facesse il meccanico, Joseph si trovò inaspettatamente assegnato alla sezione sussistenza.
Poi, il 19 febbraio 1943, era stato trasferito alla 188ª sezione panettieri della 13ª Compagnia di sussistenza, facente parte della 20ª Divisione «Friuli» in quel periodo nel nord della Corsica, al tempo regione italiana.
Si era così imbarcato a Livorno il 26 per Bastia, dove era sbarcato il giorno seguente.
I suoi nuovi commilitoni ed ufficiali lo avevano messo in guardia: «Attenzione, le pretese irredentiste della Corsica che vorrebbe passare alla Francia hanno mosso la Resistenza locale la quale ora ci prende di mira».
 
E lui, nato in Trentino, capiva benissimo i Còrsi. Quante volte aveva sentito il papà ricordare con nostalgia il periodo antecedente il 1918, quando il Trentino era ancora austriaco, e lamentarsi della povertà che il Regno d’Italia aveva portato dopo la fine della Grande Guerra con l’unificazione del Trentino-Sud Tirolo all’Italia.
Povertà poi aggravata ulteriormente dalle scelte di politica economica di quel Duce che prima si era dichiarato contrario a quella guerra sanguinosa e poi, per opportunismo, si era ben presto scoperto interventista.
Joseph parlava correntemente l’italiano e il francese e il suo trasferimento alla sezione panettieri per ovvi motivi lo metteva a stretto contatto con la popolazione locale. 
 
E dalla caduta di Mussolini, il 23 luglio del ’43, lui aveva notato un cambio di atteggiamento della Resistenza nei confronti delle truppe italiane.
Difatti, il Front National aveva cambiato strategia: ora comunicava in italiano allo scopo di minare il morale delle truppe.
Così facendo le invitava a dissociarsi dagli ufficiali fascisti e a prepararsi a combattere al suo fianco per la liberazione della Corsica.
È da dire che il Front National era un movimento di Resistenza operante sul territorio francese creato dal Partito Comunista francese. E in tal senso nel 1943 la Corsica fu l’unico caso in Francia in cui i Resistenti erano organizzati e gestiti dal solo Front National.
 

 
Nel cielo sopra i Vosgi si sta per compiere una missione molto pericolosa, ma Joseph, inconsciamente, abbozza un sorriso.
Gli torna alla mente quel giorno del 31 agosto 1943, in Corsica, quando, dopo aver maturato a lungo l’idea, aveva preso la decisione di disertare dall’esercito italiano chiedendosi cosa sarebbe stato scritto su di lui a quel proposito, «Assentatosi arbitrariamente»?
Probabilmente non pensò esattamente a quelle parole, ma in realtà è proprio ciò che ancora oggi si può leggere sul foglio matricolare di Beppino Zandarco, soldato del Regio Esercito Italiano.
 
I combattimenti per la liberazione della Corsica si erano avuti dall’8 settembre al 4 ottobre del 1943, ma a quel periodo Joseph non ci pensa più, probabilmente come riflesso psicologico di rimozione, oppure per via della consegna data dalla sua formazione.
La sua mente lo porta direttamente dalla Corsica ad Algeri dove era stato accettato fra i Volontari francesi dell’Africa del Nord e incorporato nel 3° Battaglione Fanteria Aereo.
Ripensa a quel 27 ottobre quando si era imbarcato a bordo della «Samaria», un transatlantico allora adibito dalla Royal Navy al trasporto di truppe diretta verso Liverpool, dove, per la prima volta, Joseph aveva messo piede sul suolo inglese.
Proseguito il viaggio con altri commilitoni francesi, il 6 novembre Joseph entrava al Centro di addestramento di Camberley, dove, di fatto, veniva inquadrato nelle file della Brigata “Special Air Service”, composta da due reggimenti paracadutisti francesi e da 2 inglesi.
Ad aprile del 1944, dal 3° Reggimento francese, Joseph era stato trasferito al 2° Reggimento britannico “2nd Squadron A Troop dello Special Air Service”.
 
Un colpo netto e secco scuote Joseph: il sacco legato alla gamba ha già toccato il suolo un po’ di metri più sotto di lui.
Bisogna mettere in pratica immediatamente le mosse imparate e provate tante volte fino a farle diventare un riflesso istintivo.
Tutto riesce perfettamente e una volta compiuta la procedura di atterraggio, Joseph si incammina silenziosamente verso il luogo concordato.
Al rendez-vous ci si incontra con altri componenti delle altre tre squadre del 2nd Squadron A Troop dello SAS (stick) già paracadutate sulla zona alcune settimane prima, da quando cioè era iniziata la missione il 13 agosto precedente.
Dallo stick del Major Reynolds mancano però tre compagni. Brutto segno!
Così come orribile sarebbe stato il contesto della missione Loyton, sia per i militari sia per i Resistenti che per la stragrande parte della popolazione di quella Vallata del Rabodeau soprannominata poi «Vallata delle lacrime» dal General de Gaulle.
 
Già in progetto a maggio del 1944, la decisione di organizzare quella missione era stata poi presa a luglio.
Dopo tante simulazioni, la strategia d’intervento fu scelta ai primi di agosto e prevista per la fine di settembre al massimo, e doveva per forza appoggiarsi sulla collaborazione della Resistenza locale.
La strategia generale partiva dall’idea di un’offensiva lampo pensata dal Generale Patton della 3ª Armata US: rompere il fronte tedesco sfondandolo dal centro del massiccio montuoso dei Vosgi e tuffarsi nel cuore dell’Alsazia tramite la Vallata della Bruche.
   

Mappa a cura di Gerard Villemin in http://www.resistance-deportation.org/.
 
Gran parte della missione consisteva nel preparare il terreno dietro le linee nemiche in avanguardia della 3ª Armata americana, ovvero non dare tregua alle posizioni strategiche tedesche e distruggere i convogli di materiale e armamenti; destabilizzare lo Stato Maggiore della Wehrmacht (nonché naturalmente perlustrare ed informare); cooperare con il Maquis (la Resistenza) dotandolo adeguatamente e coordinando i lanci di uomini ed equipaggiamenti.
Lo Special Air Service, con la sua abilità nel perlustrare, informare e svolgere azioni mordi e fuggi senza farsi rintracciare, grazie a squadre ridotte era proprio il reparto militare adatto.
 
Sulla carta lo era, però lo svolgersi della missione previsto in due settimane durò in realtà ben due mesi.
Difatti, l’offensiva degli alleati non poté iniziare che due mesi dopo del previsto, chiudendo in una trappola i paracadutisti inglesi e i Maquis.
Nel frattempo, le truppe tedesche in ritirata si erano rafforzate proprio nella zona e alla loro tremenda controffensiva avevano dato il bucolico nome di «Wald Fest», ovvero Festa della Foresta.
Voluta da e sotto la supervisione personale di Himmler fu un vero e proprio piano di repressione del «terrorismo» (come erano qualificati allora i Resistenti soprattutto del Maquis) e una caccia all’uomo contro i paracadutisti britannici, contro il Maquis e tutti coloro che li appoggiavano.
 
Furono mesi di spietati rastrellamenti, catture e inquisizioni, in cui vennero compiuti abusi e atrocità di ogni genere: infiltrazioni di spie nella rete della Resistenza, soffiate, esecuzioni sommarie e massacri, fattorie bruciate e interi paesi incendiati, nonché un accanimento bestiale nel perseguire e far fuori i paracadutisti inglesi.
Il conciso resoconto di Joseph Zandarco, richiesto e registrato dal I.S.9 (Servizi segreti inglesi) dopo aver superato le linee alleate, è abbastanza esplicito: «Siamo stati attaccati il 9 settembre dai tedeschi, i quali avevano saputo della nostra presenza grazie a una famiglia francese di una fattoria nelle vicinanze.
«La figlia era incinta di un tedesco e il figlio era membro della milizia. Eravamo entrati in contatto con loro alla ricerca di cibo.
«I tedeschi aprirono il fuoco su di noi da tutte le parti prima ancora che potessimo accorgerci della loro presenza.»
 
Sui 102 uomini delle forze speciale britanniche impiegati nell’operazione Loyton, 40 furono catturati e fra questi 39 furono uccisi in modo atroce su espresso ordine di Hitler, il tutto contro ogni rispetto della Convenzione di Ginevra.
Per la gente del posto in quel pesantissimo bilancio, oltre ai numerosissimi fucilati e massacrati ci furono anche tre rastrellamenti di massa e la deportazione di 1028 persone.
Malgrado ciò che avevano subito prima ancora della deportazione, nessuno di loro tradì mai gli uomini dello SAS.
Tutti sapevano benissimo dove si trovavano i paracadutisti e a buon titolo facevano loro d'appoggio «logistico» per la popolazione o di combattimento nel caso dei Maquis. Sempre nel suo rapporto al IS9, Joseph aggiunge «Il Maquis di Clezentaine ci ha nascosto per qualche giorno e abbiamo combattuto al loro fianco (...)».
 
Sui 1028 Deportati della Vallata del Rabodeau identificati ad oggi, 720 non tornarono più. 71 di questi deportati erano italiani o figli di italiani di cui 6 trentini.
Uno solo dei trentini si salvò: Isaia Bettolo, nato a Bieno nel 1912.
La lettura dell'agghiacciante cartella clinica contenuta nel suo dossier custodito all’Archivio Storico del Ministero francese della Difesa, non lascia dubbi su ciò che dovette subire in quei mesi.
 

 
A guerra finita, Joseph Zandarco tornò alla vita civile a fare il fresatore e rimase sempre più che discreto sul suo ruolo ricoperto durante il conflitto.
Nel 1947 sposò la donna con cui conviveva da oltre un anno e prese la nazionalità francese l’anno successivo. Non ebbero figli.
Morì il 7 maggio 1988 in un paese vicino ad Orléans dove, una volta pensionato, si era ritirato a vivere con la moglie.
 
Ma chi era in realtà il protagonista della nostra storia? Era un trentino, un parigino, un orleanese? E quale il suo vero nome fra Giuseppino, Giuseppe, Joseph, Beppino, Jo?
I nipoti testimoniano di una bella persona «solare, umile, un po’ sulle sue con gli «adulti» della sua generazione, ma sempre allegro con noi «giovani». Lo zio Jo era molto speciale: allo stesso tempo molto riservato e di poche parole su certi argomenti e molto aperto con un fortissimo spirito di gruppo da un altro lato».
Questi nipoti sono stati d’aiuto nello scoprire parte della sua personalità ed umanità.
 
«Umiltà, discrezione e spirito di gruppo» erano senza dubbio delle caratteristiche indispensabili per le missioni dello SAS.
Joseph le aveva acquisite dall’esperienza con le forze speciali o erano sue già dalla prima infanzia ed erano fra gli elementi chiave necessari per essere accolto favorevolmente in quel riparto?
Dalla sua terra montanara, dove da sempre vive gente di poche parole e di fatti concreti, nonché dal giudizio della sua insegnante di scuola elementare, tale disponibilità è presente ed emergono inoltre indizi che fanno riflettere sulle vicende di questo trentino che rischiò la vita ed ebbe anche lui un ruolo nella decisiva vittoria della democrazia sul nazi-fascismo.

Edith Eccher
Parigi

 Edith Eccher 
Discendente di una famiglia trentina emigrata in Francia negli anni Venti, è residente a Parigi ed è impegnata da oltre 30 anni nel fare ricerche storiche e tramandarle.
Una ricostruzione alla quale sta lavorando e che le sta particolarmente a cuore, affronta ora il tema degli emigrati trentini nella Resistenza francese.

Ringraziamenti per l'accesso consentito agli archivi, a volte in deroga, a:
- Comune di Montreuil e Saint-Mandé
- Servizio Storico della Difesa francese (SHD)
- Archivio Storico di Parigi
- Archivio della Prefettura di Parigi
- Sezione Corsa dell’ANACR (Associazione di Partigiani)
- Archivio Nazionale britannico (TNA)
- Archivio di Stato di Trento
- Archivio Parrocchiale Volano
- Scuola primaria di Volano
- Oltre ai nipoti di Giuseppe Zandarco, in ordine alfabetico: Enrico, Gérard, Marco, Maurizio e all’ex-Lance-Caporal X (già componente dello Special Air Service, di cui non possiamo riportare il nome) per le preziose informazione fornite e la cortesia nel mettersi a disposizione.

  APPELLO AI LETTORI 
 

A Moussey (Vosgi - Francia), si sta preparando l'apertura di un Museo nel quale un’intera parete sarà dedicata alle foto dei Deportati assieme ad una breve biografia a scopo di Memoria.
Sui 71 italiani (o figli di italiani) deportati, si cercano ancora foto e/o informazioni biografici per 18 di loro. Abitavano nei Vosgi (est della Francia) ed erano originari di Trentino, Friuli, Veneto, Piemonte e Lombardia.
Qualsiasi tipo di informazione in possesso dei discendenti delle famiglie rimaste in Italia può essere utile.
Sentiti ringraziamenti in anticipo a chi riconosce in questa storia qualche riferimento a un parente e contatterà l’autore presso il seguente indirizzo: visivosgi@gmail.com.

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