Giovani in azione: Mirco Ravanelli – Di Astrid Panizza
Sulla strada dei cervelli in fuga: dal Trentino al Canada per ricerche sull’intelligenza artificiale
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Non è uno dei tanti ragazzi che vanno all’estero per studiare, imparare una lingua o per conoscere semplicemente il mondo.
Mirco Ravanelli, 33 anni da Trento, vive in Canada da un anno e mezzo perché presso l’Università di Montréal sta facendo ricerca sull'intelligenza artificiale, dopo aver studiato ingegneria all'Università di Trento.
Mirco, come sei arrivato a Montréal?
«È un percorso cominciato tanti anni fa. Ho studiato a Trento ingegneria delle telecomunicazioni e durante il periodo di tesi per la laurea specialistica ho cominciato a lavorare sulle tecnologie legate al riconoscimento vocale collaborando con la Fondazione Bruno Kessler (FBK). Gli specialisti che lavorano lì sono davvero forti in quell'ambito.
«Dopo la tesi ho lavorato in FBK per altri due anni, durante i quali ho svolto anche un periodo di studi in California, a Berkeley, dove sono rimasto alcuni mesi sempre per fare ricerca sull'intelligenza artificiale.
«Da lì, poi, rimanendo sempre nello stesso ambito ho cominciato a lavorare su tecnologie molto più avanzate e a un certo punto, affascinato da questo settore, ho deciso di intraprendere il dottorato su queste specifiche tecnologie.
«Ho fatto i miei quattro anni di dottorato, durante i quali ho avuto appunto l'opportunità di lavorare anche a Montréal, nel gruppo di ricerca di un grandissimo ricercatore di fama mondiale, Yoshua Bengio, che ha appena vinto il Premio Turing, considerato il premio Nobel per l'informatica.
«Lavorare con lui è stato come dare una svolta alla mia vita, mi ha aperto gli occhi al punto tale che, una volta finito il dottorato, gli ho scritto se potevo svolgere il postdoctoral researcher con il suo gruppo di lavoro. Mi ha risposto in due minuti, dicendo che mi stava aspettando.»
Montréal.
Nello specifico, cosa si intende per «intelligenza artificiale»?
«Il campo dell'intelligenza artificiale è estremamente ampio. L'idea è quella di costruire delle macchine intelligenti, dalla robotica ai sistemi di elaborazione dei testi, al riconoscimento vocale o delle immagini, che già oggi si utilizzano ad esempio per Google o Apple.
«Tutto ciò appartiene all'intelligenza artificiale, che è divisa in parecchi rami. Quello che studio io si chiama machine learning, ed è una branca che si occupa di costruire macchine che imparano attraverso dei dati. In altre parole, forniamo a queste macchine milioni di informazioni attraverso le quali il computer dovrà poi estrarre conoscenza e saperla utilizzare. Questo è il succo del mio lavoro.
«È un percorso ad ostacoli, perché non tutto ciò che ricerchiamo e analizziamo poi funziona, quindi andiamo avanti con la speranza e la fiducia che ci sia ancora moltissimo da sviluppare in questo ambito.»
Credi che ci sarà in futuro un momento in cui le macchine riusciranno ad eguagliare l'intelligenza umana o addirittura a superarla, oppure è solo utopia?
«Questa è una domanda che in tanti mi hanno posto e sinceramente non riesco a trovare una risposta che sia corretta. Quello che posso dire è che di sicuro ciò non accadrà nel breve periodo perché c'è sì tanto entusiasmo nei confronti di questa tecnologia in forte espansione, però c'è da dire che ci sono dietro ancora enormi problemi scientifici impossibile da risolvere nel giro di poco tempo.
«Noi ricercatori che abbiamo a che fare tutti i giorni con questo tipo di tecnologia non siamo per nulla spaventati dall'idea che l'intelligenza artificiale possa un giorno superare quella umana. Questo, te lo posso garantire, non potrà mai succedere.
«Ci sono, però, altri aspetti molto importanti da considerare nell’ambito dell’intelligenza artificiale che presto ci coinvolgeranno più da vicino. Il suo sviluppo e l’applicazione al settore lavorativo, infatti, potrebbero rendere obsolete mansioni che al momento sono svolte manualmente. Questo, come si buon ben capire, è un grave problema che coinvolgerà in futuro l’occupazione e che per tale motivo bisogna prendere in seria considerazione.
«Credo poi che questi problemi di carattere sociale abbiano risvolti più politici che scientifici, tuttavia non nego che anche noi scienziati abbiamo il compito di partecipare alla discussione in quanto conosciamo la tecnologia un po' meglio di chi oggi si occupa di politica.
«Stiamo per assistere a un nuovo tipo di rivoluzione tecnologica che segue quella digitale che ha portato l'iPhone e Internet ovunque. La prossima, quindi, potrà chiamarsi rivoluzione dell'intelligenza artificiale ed è necessario che essa avvenga in maniera lenta per evitare disastri.
«Il fatto che la ricerca e l’applicazione della robotica sia un settore difficile e costoso gioca a favore del tempo, nel senso che ciò contribuisce a fare in modo che questa importante trasformazione si introduca gradualmente nel mondo del lavoro e nella società.»
Mirco Ravanelli in Canada con la moglie.
Tu sei fra quelli che da parecchi anni vengono comunemente chiamati «cervelli in fuga». Se qui ci fossero le condizioni, torneresti in Italia a lavorare nel campo dell'intelligenza artificiale?
«Mi aspettavo questa domanda. In realtà la mia fuga è relativa in quanto sono in costante contatto con Trento e con i miei ex colleghi di FBK. Certo, mi piacerebbe tornare in Italia, ma ancora non so quando.
«Lasciami comunque dire che a Trento ci sono delle punte di eccellenza che per quanto riguarda la mia storia sono servite come trampolino di lancio per un'altra avventura, ma comunque ci sono e quello è l’importante.
«Il fatto è che in Italia è più difficile fare ricerca, innanzitutto perché il ruolo del ricercatore non ha quell'importanza che invece possiede altrove. Qui da noi il ricercatore sembra quasi sopportato come se la sua fosse una spesa superflua di cui si può benissimo fare a meno.
«Per dirti, invece, a Montréal ma anche in tutto il resto del mondo, il ricercatore si trova al centro di un ecosistema coordinato fatto di scienza e di aziende: tutto quello che - Trento a parte - in Italia purtroppo è completamente assente.
«Oltre alla scarsa considerazione, in Italia esiste anche il fatto che il settore è mal finanziato perché alla fine ti ritrovi ad avere dei ricercatori con degli stipendi quasi da fame. Per questi motivi, è facilmente comprensibile come sia più semplice uscire dall'Italia piuttosto che restare.
«Per quanto mi riguarda, devo dirti che grazie ai forti legami con la mia famiglia e con i miei amici di FBK, sogno un giorno di tornare per portare in patria la mia esperienza e le mie conoscenze acquisite all'estero.
«È nei miei progetti, anche se ancora non è fattibile proprio per i motivi che ti ho detto. Trento però resta e resterà sempre la mia casa, il mio inizio, dove poter prima o poi tornare nuovamente a vivere e a lavorare.»
Astrid Panizza – [email protected]
(Puntate precedenti)
Mirco Ravanelli sui monti del Trentino.
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