Tenute Lunelli, non solo bollicine – Di Giuseppe Casagrande
Il Ristorante «Ai Vicoli» di Trento ha ospitato una serata degustazione condotta da Alessandro Lunelli con i vini biologici di Villa Margon, Podernovo e Castelbuono
Alessandro Lunelli nel caveau del Ristorante Ai Vicoli - foto Matteo Piazza.
Non solo bollicine. La famiglia Lunelli è famosa in Italia e nel mondo per il marchio Ferrari, la casa spumantistica fondata nel 1902 dal mitico Giulio Ferrari (e dal 1952 di proprietà del gruppo Lunelli), ma anche per i vini di tre tenute che vantano una straordinaria vocazione enoica: Tenuta Margon in Trentino, Podernovo in Toscana e Castelbuono in Umbria. Tenute che raccontano la tipicità di un territorio attraverso la gestione di una viticoltura di precisione praticata con metodi biologici, rispettosa dell'ambiente e del «genius loci».
Caratterisiche che ritroviamo nei calici, in linea con la filosofia della famiglia Lunelli, epressione dell'eccellenza del bere italiano nel mondo.
L'ennesima conferma l'abbiamo avuta in occasione della serata degustazione al Ristorante Enoteca «Ai Vicoli», nel cuore dell'antica Tridentum, condotta da Alessandro Lunelli, amministratore delegato delle aziende del Gruppo Lunelli, affiancato per l'occasione da Loris Eccheli responsabile dell'Area Manager.
Protagonisti i vini eleganti della Tenuta Villa Margon, i vini toscani di Podernovo e i vini umbri di Castelbuono.
Gli splendidi vigneti della Tenuta Margon (Ravina di Trento) con la villa del Cinquecento.
I vini della Tenuta Margon: il Pietragrande, il Villa Margon e il Maso Montalto
Risale agli anni Ottanta del secolo scorso la decisione della famiglia Lunelli di legare il proprio nome non solo alle bollicine, ma anche ai vini fermi trentini, frutto di una viticoltura di montagna che, grazie all'alternarsi di giornate calde e notti fresche, regala ai grappoli delle intense e piacevoli note aromatiche.
Due sono i vitigni principali coltivati nei vigneti della Tenuta Margon a Ravina di Trento: lo Chardonnay e il Pinot Nero Maso Montalto.
Al ristorante «Ai Vicoli» lo chef patron Antonio Soldano ha proposto come aperitivo, accompagnato dagli sfiziosi stuzzichini allineati sul bancone in marmo del winebar, il Bianco Doc Vigneti delle Dolomiti «Pietragrande» annata 2022: 80% Chardonnay con una percentuale del 20% di Sauvignon, Incrocio Manzoni e Pinot Bianco. Fermentato in cisterne d'acciaio a temperatura controllata e affinato in bottiglia per 6 mesi, il «Pietragrande», colore lucente, dal bouquet floreale, ha confermato in bocca una piacevole sapidità e freschezza.
La tenuta Podernovo di Terricciola sulle colline pisane.
Lo Chardonnay Villa Margon, nato nel 1986, un vino di alto lignaggio
Di tutt'altro spessore - e non avevamo dubbi - il Villa Margon annata 2020: Chardonnay 100%, vendemmia manuale, fermentazione e maturazione una parte in acciaio e una parte in legno di diverse dimensioni, affinamento in bottiglia di 8 mesi.
Un vino di alto lignaggio, nato nel lontano 1986, che Antonio Soldano ha abbinato ad una peccaminosa tartare di Black Angus impreziosita con un pesto di pistacchi di Bronte, una crema di pomodori secchi e una spuma di burrata.
La prima uscita di Villa Margon aveva suscitato - all'epoca - non poche perplessità: erano gli anni in cui imperversavano le barrique con tostature esagerate che esaltavano le note speziate e non il bouquet floreale (biancospino, sambuco, rosellina selvatica) e fruttato (mela, pompelmo, banana, agrumi), caratteristiche tipiche dello Chardonnay di montagna.
Assaggiando l'annata 2020 di Villa Margon, accanto alle «nuances» testè descritte, ho ritrovato, assieme alla sapidità, anche un accenno di pietra focaia che esalta il sorso ed è garanzia di longevità.
I vigneti della tenuta Castelbuono di Bevagna con il Carapace di Arnaldo Pomodoro.
Il Pinot Nero Maso Montalto, un'esplosione di profumi ed eleganza
Appartiene alla Tenuta Margon anche il Pinot Nero Maso Montalto che più volte ha conquistato i gradini più alti del podio al Concorso nazionale di Egna riservato ai Pinot Nero d'Italia (Blauburgunder in Alto Adige), un nobile vitigno (forse il più nobile tra quelli a bacca rossa) che in certe annate crea non pochi problemi agli enologi-cantinieri.
Il Maso Montalto, 12 mesi in barrique con affinamento di almeno 15 mesi in bottiglia, è figlio delle uve coltivate nel vigneto della famiglia Lunelli a 400 metri di altezza rispettando il progetto di viticoltura sostenibile.
Ho assaggiato diverse annate di Maso Montalto ed in ognuna ho ritrovato un'esplosione di profumi (frutta matura in particolare: amarena, mora, lampone) che si integrano con le note speziate, ma non aggressive, del legno. In bocca è caldo, complesso, ricco di struttura, dai tanini vellutati, armonico e di grande persistenza.
Alessandro Lunelli con l'enologo Luca D'Attoma davanti alla cupola del Carapace.
La Tenuta Podernovo sulle colline pisane che si affacciano sulla costa
La Tenuta Podernovo è un altro gioiello della famiglia Lunelli. Sorge a Terricciola, sulle colline pisane, su uno splendido poggio che indirizza lo sguardo verso la costa toscana e il mare.
In questo angolo di paradiso, ricco di bellezza e di tradizione, la famiglia Lunelli ha individuato il luogo ideale per la produzione di alcuni rossi di pregio con la collaborazione dell'enologo Luca D'Attoma, winemaker di indiscussa esperienza.
Anche in Toscana la famiglia Lunelli ha scelto di assecondare l'equilibrio territorio-vigneti sposando la filosofia del biologico. La Tenuta ha intrapreso la strada della conversione nel 2009 e tre anni dopo ha ottenuto la certificazione ufficiale.
Accanto alla cantina sorge il Casale Podernovo che uno scrupoloso restauro ha trasformato in residenze di lusso per offrire agli ospiti la quiete e lo charme del «bien vivre» toscano.
Quattro sono i vini della Tenuta: l'Aliotto, un uvaggio di Sangiovese, Cabernet, Merlot e altre uve toscane; il Teuto, una selezione delle migliori uve di Sangiovese e Merlot con un tocco di Cabernet; il Solenida, un Sangiovese al 100% e l'Auritea, un Cabernet Franc in purezza.
Alessandro Lunelli con lo chef Antonio Soldano e il giornalista Giuseppe Casagrande nel caveau del Ristorante Ai Vicoli - Foto Matteo Piazza.
Auritea 2017, il Cabernet Franc in purezza famoso per la conchiglia marina
Auritea è il vino di punta della Tenuta Podernovo. Cabernet Franc in purezza, è frutto di una selezione delle migliori uve del vigneto «Olmo». Vendemmia manuale, maturazione di 18 mesi in barrique di rovere francese e affinamento in bottiglia di almeno 12 mesi.
Deve il suo nome ad Arca Aurita, la conchiglia fossile di origine marina presente da millenni nei terreni della Tenuta. Ed è proprio questo scheletro fossile che dona a questo vino una piacevole mineralità.
All'annata 2017 lo chef Antonio Soldano ha abbinato un risotto da standing ovation: il Carnaroli Riserva San Massimo con zafferano, funghi, crema e salsa jus di manzetta.
Di un bel colore rosso rubino intenso, luminoso nel calice e con un bouquet che ricorda la polvere di cacao, la vaniglia e la confettura di ribes nero, già dal primo sorso si presenta con una struttura complessa ed elegante con un finale lunghissimo dove ritroviamo l'intensa sapidità donata dalla componente fossile del terreno. Auritea 2017 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento dei «Cinque Grappoli» da Bibenda, il The Wine Hunter al Merano WineFestival, le Tre Stelle Oro dalla Guida Vertonelli e il lusinghiero punteggio di 94 centesimi dalla rivista tedesca Falstaff.
Alessandro Lunelli.
La Tenuta Castelbuono di Bevagna famosa per il Carapace di Pomodoro
Sedotta dal fascino di una terra antica e mistica come l'Umbria, nel 2001 la famiglia Lunelli ha scelto le dolci colline della Tenuta Castelbuono, a Bevagna, come cornice ideale per la cantina-scultura, unica al mondo, che oggi la identifica: il Carapace progettato da Arnaldo Pomodoro, uno dei grandi maestri dell'arte contemporanea. Una immensa cupola ricoperta di rame, incisa da crepe che ricordano i solchi della terra che l'abbraccia.
Nei vigneti che fanno da corona alla scultura e nella barricaia che si raggiunge da una spettacolare scala a chiocciola nascono i vini umbri della Tenuta, figli di quello straordinario vitigno che è il Sagrantino. La storia di questo vitigno dalla struttura imponente e dai tannini che ai più possono sembrare «scontrosi», è intimamente legata a Montefalco e a Bevagna in particolare fin dall'epoca romana (ne parla anche Plinio il Vecchio). Qui la famiglia Lunelli con l'enologo Luca D'Attoma ha creato quattro etichette frutto della selezione clonale del «Progetto Patriarchi», della gestione del vigneto e della sperimentazione in cantina.
Cinque sono i gioielli, certificati biologici, della Tenuta umbra: il Carapace (un Montefalco Sagrantino Docg), il Carapace Lunga Attesa (un Montefalco Sagrantino Docg del vigneto storico «La Vigna al Pozzo»), il Lampante (un Montefalco Rosso Riserva), lo Ziggurat (un Montefalco Rosso) e il Montefalco Sagrantino Passito.
Giuseppe Casagrande con Alessandro Lunelli e Antonio Soldano .
Il Montefalco Sagrantino Docg Carapace Lunga Attesa annata 2016
Con il vino icona della Tenuta Castelbuono di Bevagna, il Montefalco Sagrantino Docg Carapce Lunga Attesa annata 2016, lo chef Antonio Soldano ha proposto la guancetta di manzo cotta a bassa temperatura per 36 ore su purè di patate al Trentingrana.
Abbinamento vincente anche in questo caso.
Il Sagrantino Lunga Attesa nasce nel vigneto storico (età 30 anni) della famiglia Lunelli «La Vigna del Pozzo». Vendemmia manuale a fine ottobre a cui segue una selezione dei migliori grappoli. Fermentazione prevalentemente in legno e una parte in acciaio e terracotta. Maturazione per almeno tre anni in tonneaux e botte grande, affinamento in bottiglia di almeno tre anni.
Di colore rosso rubino intenso, luminoso al calice, l'annata 2016 ha entusiasmato gli ospiti (e - ça va sans dire - anche il sottoscritto) con quelle note suadenti di confettura di mirtilli rossi, more, prugne e una leggera speziatura esotica.
In bocca ha confermato le aspettative della lunga attesa. Un vino sontuoso, avvolgente, di grande fascino con dei tannini vellutati di straordinaria eleganza. Un vino potente, ma al tempo stesso suadente e di una persistenza che sembra non avere fine.
Che altro aggiungere? Semplicemente chapeau!
In alto i calici. Prosit!
Giuseppe Casagrande . g.casagrande@ladigetto.it
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