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La Ruta de la Lana/ 4 – Di Elena Casagrande

Da Cuenca percorreremo, come i commercianti di lana del 1500, la strada per Burgos già citata nel Repertorio dei Cammini di Alonso de Meneses del XVI secolo

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Il paesaggio prima di scendere nella Valle del fiume Moscas.
Link alla puntata precedente.
 
  A Fuentes, dove ci fermeremo per la notte, un tempo vivevano i dinosauri 
Uscita da Navarromira, comincio a tranquillizzarmi. Di certo aiuta il paesaggio, fatto di pendii sinuosi, gialli di girasoli, sospesi tra cielo e terra. Finalmente, in fondo alla valle del Río Moscas, scorgo la nostra meta: Fuentes.
Al Comune ci consigliano di dormire all’hotel-ristorante Los Cazadores, dato che l’alloggio pubblico è quasi un rifugio per senzatetto. Lì non solo la stanza dell’hotel è linda, ma si mangia pure benissimo.
Scegliamo «pisto manchego» (una specie di peperonata) e «cazuela de ciervo» (stufato di cervo), dato che in zona si caccia la selvaggina. Nel paesino, oltre al vecchio ponte e alla chiesa dell’Assunzione, ci imbattiamo nella riproduzione di un titanosauro. Sui pannelli informativi veniamo a sapere che, qui vicino, a Lo Hueco, vennero trovate le ossa di 12 esemplari di questo dinosauro, risalenti al Cretacico Superiore.
«Che bella sorpresa!» – dico a Teo.
«Sì, ma fa caldo. Che ne dici se ne parliamo al bar della piscina, con una granita davanti?» – mi propone lui.
 

Il titanosauro di Fuentes.
 
  Un’inaspettata pioggia mattutina ci rovina la visita alle lagune di Fuentes 
Pioviggina quando l’indomani ci alziamo. Siamo costretti ad indossare la cappa.
«Peccato vedere le lagune di Fuentes con questo grigiore! Non me lo immaginavo proprio» – dico a Teo.
«Cosa vuoi farci, capita» – mi dice lui. Sono comunque suggestive e, dopo averne passate un buon numero, tra cui la Laguna Negra, dal nome evocativo e quella di los Cedazos, arriviamo a Monhorte, che non ha servizi, a parte la panchina, la fontana ed una bella segnalazione del cammino.
Ci ristoriamo più avanti, dopo 3 km fra i girasoli, a La Melgosa. Il barista oggi deve avere le scatole girate, dato che a stento «grugnisce», ma i suoi panini con «chorizo de orza» (salame alla paprika fritto) me lo fanno andar bene.
Da qui gli ultimi 7 km sono a bordo strada e poi solo su strada, fino all’arrivo a Cuenca. È il dazio che si paga quasi sempre, quando, sul cammino, ti aspetta una città.
 

Alla laguna de los Cedazos.
 
  L’Hospital di Santiago di Cuenca testimonia il vincolo col pellegrinaggio giacobeo 
Cuenca è un luogo simbolo di questa rotta. E non solo perché da qui partivano i panni lana dell’Alcarria per raggiungere Burgos (da cui il nome «Ruta de la Lana»), ma anche per il suo legame con i cavalieri di Santiago, che, nel 1200 circa, dopo la riconquista (che qui avvenne secoli prima rispetto a Granada), vi fondarono il Real Hospital di Santiago Apóstol.
L’hospital dava accoglienza a pellegrini e malati. Oggi vi ha sede una casa di riposo e l’Associazione Giacobea di Cuenca. È un complesso enorme, che ancora oggi caratterizza parte dello skyline della città.
Pullula di simboli giacobei, dalla croce rossa sulle scale esterne, al Santiago Matamoros sopra il portale, alla chiesa interna. Peccato non poterlo visitare per intero.
Noi dormiamo alla Casa del Pellegrino, nella strada di sotto. Ce la aprono Pilar ed il nipote: due volontari molto gentili.
 

L’Hospital di Santiago a Cuenca.
 
  La Cattedrale di Cuenca è uno dei primi esempi del gotico francese in Spagna 
La città, con il suo centro storico Patrimonio dell’Umanità, è sempre una meraviglia. Stavolta ce la godiamo d’estate, con una passeggiata lungo le gole dei fiumi Júcar e Huécar, che cingono lo sperone roccioso su cui sorge.
La Cattedrale, edificata su una «alcazaba con mezquita» (cittadella con moschea), brulica di turisti. E la sua facciata, seppur ricostruita nel 1910 dopo il crollo della torre, lascia sempre senza fiato.
È un unicum in Spagna. Infatti, nel 1177, Eleonora, moglie di Alfonso VIII, volle che i lavori venissero svolti dalle maestranze francesi, secondo lo stile usato a Notre-Dame de Laon (di cui mi sono innamorata, lungo la Francigena).
Pranziamo lì accanto e poi scendiamo verso il Ponte di San Paolo. Io me ne sto col naso all’insù a guardare le mitiche «casas colgadas» (case appese o a sbalzo).
 

La cattedrale di Cuenca.
 
  Attorno a Cuenca i piccoli paesini sopravvivono grazie alle «seconde» case 
Anche se è molto presto, vicino alla chiesa della Virgen de la Luz, dopo il Ponte San Antón, è aperto un bar. Con cioccolata calda e «churros» (frittelle a bastoncino) possiamo iniziare al meglio la giornata. Si fa strada, ma i campi di girasoli tutt’intorno sono un bel vedere. Passiamo dai piccoli paesini di Chillarón ed Arcos de la Cantera.
A Tondos ci godiamo anche un pediluvio ristoratore, al lavatoio.
Nel paese di Bascuñana de San Pedro c’è la fiesta. Un ragazzo ci viene incontro e, salutandoci, ci offre coca cola e aquarius con un piattino di prosciutto e formaggio.
Dicono che il villaggio si chiami così perché fu fondato da baschi, navarri e guasconi, al seguito di Alfonso VIII. È tenuto molto bene. Si tratta, per lo più, di «seconde case», abitate nel week-end, che lo mantengono vivo.
 

La segnaletica della Ruta de la Lana di Cuenca.
 
 Nell’Alcarria si passa dalle zone desertiche ai boschi, alle valli ubertose e fertili 
Dopo la salita nel bosco, su una pista forestale che porta a 1.200 metri, ci attendono circa 11 km di «cuesta abajo» (discesa) tra i pini profumati.
Siamo nel territorio dell’Alcarria conquense e gli scenari variano con rapidità, passando dalle lande calcaree, erose dai torrenti, alle coste rocciose, ai boschi, alle valli fertili.
Ci sono molte indicazioni per i «pequeños reccorridos» (brevi percorsi per le passeggiate), ma non abbondano le indicazioni della Ruta de la Lana, a parte delle conchiglie gialle dipinte su una roccia scavata.
Come punto di riferimento prendiamo un pioppeto, a fondo valle. Laggiù dovrebbe esserci la Valle de las Viñas, con vigne e frutteti e, oltre, il paese di Torralba.
Prima di arrivare un bel capriolo ci attraversa il sentiero.
«Probabilmente avrà sete – dice Teo – e sta scendendo al fiume per abbeverarsi».
Corre veloce e lo seguiamo con lo sguardo fino a quando sparisce tra gli alberi.
 

L’olmo di Torralba.
 
  Torralba col suo olmo rinsecchito mi ricorda l’albero di Minas Tirith 
L’olmo di Torralba, vicino alla casa comunale, è morto, ma nessuno si sogna di toglierlo: è il loro simbolo. Fa molto «Minas Tirith». Al Comune lì di fronte il Sindaco ci timbra la credenziale ed incarica il giardiniere di portarci, al bar Goyo, da Luis, che ci accompagnerà alla Residencia Mayor.
Costruita grazie ai fondi di alcuni emigrati arricchiti, è praticamente nuova. Viene usata dal Comune come sala ricreativa per le feste, per le riunioni e come albergo dei pellegrini: insomma, per tutto, tranne che come ospizio!
Ma meglio così. Vuol dire che qui gli anziani se ne stanno in famiglia.
A noi assegnano una stanza doppia arredata come in un hotel.
Siamo fortunati, anche perché in paese non c’è altro. A cena torneremo al bar. Voglio provare le trippe d’agnello alla brace («los zarajos»), arrotolate su sarmenti di vite, come le mitiche girelle Motta.
Prima, però, andiamo a Messa. In chiesa spicca il maestoso sepolcro marmoreo cinquecentesco di Don Luis Salcedo, nativo del posto. Un tempo questo era un centro importante.
Vi passava una «calzada» (strada) romana e, sulla sua collina, troneggiava un castello. Oggi rimane solo una torre bianca: la torre «alba» che dà il nome all’abitato.
 

Los zarajos (trippe di agnello).
 
  Si cammina, da un lato, lungo le rive fiume e, dall’altro, lungo aridi pendii 
Il cammino segue il fiume, tenendo il «cerro» (colle) sulla sinistra e la strada a destra, fino all’incrocio di entrata ad Albalate del las Nogueras («al balate», in arabo, significa cammino).
Ci fermiamo alla caffetteria La Olmilla per la colazione.
Qui il rio Albalate incontra il rio Trabaque, che irriga la pianura ove si coltiva il «mimbre» (vimini). A noi non resta che seguirlo fino a Villaconejo de Trabaque, dove abbiamo deciso di finire la «etapa de descanso» (tappa di defaticamento).
Il percorso è piacevole e affascinante, contornato dalle «cuevas», le cantine sotterranee. All’eremo della Concepción telefoniamo a Pepe, che, nonostante stia facendo salami in macelleria, arriva subito a salutarci con un bell’abbraccio!
Siamo sudati, ma a lui non importa.
«Vi apro l’albergo. Voi riposatevi. Ci vediamo dopo, nella mia cantina» – dice, salendo di corsa in macchina per tornare al lavoro.

Elena Casagrande - e.casagrande@ladigetto.it
 
(La quinta puntata de «La Ruta de la Lana» sarà pubblicata mercoledì 15 maggio 2024)
 
Le cantine di Albalate de las Nogueras.

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