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Coronavirus: il ruolo del medico di base – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con il dottor Paolo Lazzaro medico di medicina generale a Piné

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L’emergenza sanitaria scoppiata dal dilagare del Coronavirus ha evidenziato il ruolo fondamentale del medico di famiglia nelle comunità locali, nella gestione delle attività di prevenzione, contenimento e controllo delle situazioni di emergenza dei propri assistiti.
Essendo a conoscenza dei singoli pazienti, del loro stato di salute, delle individuali condizioni di rischio e situazioni sociali, il medico di famiglia è stato chiamato a gestire non solo le cronicità e l’acutizzarsi di patologie preesistenti, ma gli è stata affidata anche la gestione domiciliare dei pazienti con sospetta e accertata infezione Covid oltre che le relazioni con la rete dei servizi ospedalieri e di sanità pubblica delle Aziende Sanitarie Locali.
 
Si è passati, in pratica, da uno standard di cura solitamente indirizzato ai bisogni assistenziali dei singoli pazienti ad un’attenzione alla salute dell’intera comunità territoriale, cercando di mantenere comunque il miglior livello di cura individuale possibile.
Egli è diventato il punto di raccordo tra paziente, Azienda Sanitaria e Ospedale ma è anche la persona su cui si concentra buona parte dei compiti burocratici relativi alla gestione del paziente covid, isolamento, quarantena e vaccinazione.
A fronte dell’attuale stato d’incertezza medico-sanitaria, aumenti dei contagi e vaccinazioni, abbiamo intervistato il dott. Paolo Lazzaro, medico di Medicina Generale in servizio a Pinè, per comprendere quali sono stati e quali sono i principali problemi e timori generati in questo ultimo anno di evoluzione epidemica.
 

Il dott. Paolo Lazzaro - Curriculum.
 
Dottor Lazzaro da quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus cosa è cambiato per voi medici di medicina generale?
«Rispetto al periodo pre-pandemico da coronavirus il lavoro per noi medici di medicina generale è cambiato radicalmente, siamo passati dalla normale routine di ambulatori pieni di gente che si rivolgevano a noi per ogni genere di problematiche anche futili, soprattutto le persone anziane, alla richiesta continua di visite domiciliari con la diretta assunzione dei rischi di contagio. Praticamente ci siamo trovati in prima linea ad affrontare, con un certo timore, un nemico per noi sconosciuto e pericoloso.
«Di conseguenza si sono drasticamente ridotti gli accessi in ambulatorio, vuoi per le restrizioni imposte a livello nazionale, vuoi per il fatto che da noi si accede solo su appuntamento ma soprattutto per fondati e giustificati motivi.
«Parallelamente è aumentato a dismisura il numero di telefonate, richieste di ricette o impegnative tramite canali alternativi come ad esempio e-mail, sms, WhatsApp ecc. Inoltre il carico burocratico si è più che raddoppiato, in quanto ogni singolo caso di presunto o accertato caso di covid va seguito dalla diagnosi (richiesta di tampone) alla prognosi (certificato di malattia ecc.) al controllo dei contatti stretti e via dicendo.»
 
Come medici di base vi sentite tutelati? Avete paura?
«Direi che da quando è scoppiata la pandemia ci siamo trovati ad affrontare casi di sospetta infezione praticamente con pochissime protezioni e vorrei dire quasi abbandonati a noi stessi. Mi riferisco alla mancanza di presidi, tipo mascherine ffp2, camici monouso ecc.
«Di conseguenza tanti di noi medici hanno contratto il virus in maniera più o meno grave. Attualmente le cose sono cambiate, sia per il minor contatto con casi sospetti, sia per l’adeguata fornitura delle protezioni, ma soprattutto grazie alla vaccinazione.
«Ma la paura di contagio rimane comunque, in considerazione dell'affacciarsi di nuove varianti del virus di cui ancora non si conosce con precisione la loro gravità, speriamo in bene!»
 

 
Come è cambiata una visita ambulatoriale oggi?
«La visita ambulatoriale è cambiata sotto alcuni aspetti; innanzitutto in ambulatorio non accedono i pazienti con sintomi sospetti per infezione da coronavirus e l’ingresso è consentito solo su appuntamento.
«Ma il lato più avverso, generato dalla pandemia, è il clima di incertezza e di paura che ha cambiato, a mio avviso, il rapporto umano tra medico e paziente.
«Il distanziamento, la mancata stretta di mano, l’uso della mascherina, ci impediscono di cogliere gli aspetti emozionali delle persone, che tante volte sono la base della visita medica.»
 
Quali sono le vostre maggiori difficoltà nel gestire l’attuale stato pandemico?
«Direi che le maggiori difficoltà, riscontrate a titolo personale, riguardano il percorso che dobbiamo intraprendere nei casi di infezione, dalla diagnosi dei casi sospetti, al monitoraggio clinico dell'evoluzione, al controllo dei contatti, alla durata della quarantena o isolamento fiduciario ecc.
«Nel senso che, spesso i pazienti, fanno delle domande alle quali non sappiamo rispondere, perché mancano, per noi medici, dei punti di riferimento a cui rivolgersi in caso di dubbi, riguardanti sia l'aspetto diagnostico che terapeutico.
«Da ultimo il piano vaccinale nazionale a mio modo di vedere è organizzato in maniera a dir poco approssimativa.»
 
 
 
Tramite telefono come è possibile capire se sia influenza, allergia o Coronavirus, magari con sintomi lievi?
«Va precisato che, per qualsiasi caso, fare la diagnosi telefonicamente è molto difficile e rischioso. Ci sono alcuni sintomi, che fin da subito fanno sospettare un’infezione da covid.
«Se all'inizio della pandemia febbre, dolori articolari o raffreddore erano i cardini sospetti, da sottoporre a tampone, successivamente si sono aggiunti altri sintomi, come la difficoltà a percepire gli odori, alterazione del gusto, diarrea e dolori addominali, cervicalgie e dolori agli arti inferiori che lasciavano pochi dubbi riguardo alla diagnosi da covid.»
 
Quanti dei suoi pazienti sono risultati affetti da Coronavirus, in quale fascia di età e con quali complicanze?
«Approssimativamente, ad oggi, sono un centinaio, ma il numero potrebbe aumentare.
«Le fasce d'età più colpite comprendono soprattutto persone giovani fra i 30 - 55 anni, questo perchè nel Comune dove lavoro, a Pinè, che fra l'altro è stato per un periodo in zona rossa rispetto al resto del Trentino, i contagi riguardavano soprattutto i nuclei familiari.
«Registro ad oggi 5 decessi da covid-19 in persone anziane sopra i 75 anni, affette da patologie concomitanti e quindi purtroppo più vulnerabili alle complicanze dell'infezione.
«Per complicanze intendo soprattutto, polmoniti cosiddette interstiziali ma non escludo quelle di ordine neurologico in particolare ansia e depressione che sono sensibilmente aumentate durante tutto il periodo pandemico.»
 

 
Tra i suoi pazienti ha riscontrato dei casi di varianti del SARS-CoV-2?
«Al momento registro un solo caso dubbio, ad oggi, sottoposto ad ulteriori accertamenti.»
 
Come vengono monitorati i casi positivi?
«I casi positivi dovrebbero essere presi in carico dalla Centrale covid dell'Apss con frequenti contatti telefonici, anche se a onor del vero non sempre è così.
«Se compaiono sintomi importanti come febbre elevata, difficoltà respiratorie o abbassamento della saturazione di ossigeno ematico sotto livelli critici, intervengo personalmente, e in base al quadro clinico, valuto gli eventuali interventi successivi, terapia o ricovero ospedaliero.»
 
Come vengono curati i pazienti Covid a domicilio e con quali farmaci? In quali casi invece è necessario ricorrere alle cure mediche ospedaliere?
«Nella maggior parte dei casi, per fortuna, si tratta di infezione paucisintomatica cioè con sintomi blandi, come astenia, raffreddore e malessere, per questi casi non ci sono particolari indicazioni se non intervenire con dei farmaci di uso comune, il paracetamolo o anti infiammatori.
«Altri farmaci come antibiotici, cortisonici o eparine vanno presi in considerazione solo in casi mirati.
«Nei casi in cui la febbre alta persiste per più di 4 - 5 giorni o la saturazione scende sotto valori soglia che oscillano fra il 92 -90 % con difficoltà respiratorie il protocollo sanitario prevede il ricovero ospedaliero.»
 
Quali sono le principali paure manifestate dai suoi pazienti al tempo del Covid?
«La paura del contagio è la principale preoccupazione che viene manifestata dai miei pazienti, a questa si aggiunge l’ansia generata dalla situazione di incertezza, di isolamento sociale di non sapere quando si tornerà ad una vita normale, di non sapere se i vaccini sono sicuri o meno.
«Tante domande che creano ansia e depressione che a mio modo di vedere sarà uno dei maggiori problemi a cui dovremmo far fronte nell'immediato futuro.
«Sono preoccupato per i danni economici a tanti lavoratori e imprenditori e per l’eredità che lasceremo alle nuove generazioni, ci troveremo ad affrontare un epocale emergenza sociale che sarà forse peggiore di quella sanitaria.»
 
 
 
Lei è uno dei medici colpiti da covid nella prima ondata. Vuol raccontare brevemente la sua personale esperienza?
«Per quel che mi riguarda sono stato uno dei fortunati che hanno contratto l'infezione in maniera blanda con sintomi lievi quali raffreddore, astenia e malessere.
«La cosa strana è che la diagnosi è stata per così dire fortuita, in quanto, dopo aver visitato una persona anziana a domicilio con una polmonite appena dimessa dall'ospedale (fra l'altro rivelatasi non infettiva ma ab ingestis) ho chiesto al collega di distretto responsabile dei tamponi di farne uno in qualità di operatore sanitario.
«Non avendo i classici tre sintomi che ad inizio pandemia erano le condizioni necessarie per la tamponatura, febbre, tosse e dolori articolari, mi è stato risposto che non era necessario, ma poi, vista la mia insistenza, ho eseguito il tampone che è risultato positivo.»
 
È iniziata la vaccinazione anti Covid per quali fasce di età e con quale tipo di vaccino?
«Mi esprimo per quanto riguarda il medico di medicina generale, al quale è stato chiesto da parte dell'Apss di Trento di aderire o meno su base volontaria alla campagna di vaccinazione anti covid.
«In un primo momento ci è stata assegnata la categoria di persone appartenenti al mondo della scuola, università, asili nido e scuole dell'infanzia nella fascia d'età compresa fra i 18 e 55 anni, in seconda battuta persone appartenenti alle forze dell'ordine, vigili del fuoco ecc.
«Attualmente possiamo vaccinare i soggetti con età compresa fra i 75 e 79 anni.
«Per quel che riguarda il tipo di vaccino utilizziamo quello di AstraZeneca con flaconcini contenenti dodici dosi ciascuno.»
 

 
Ci sono stati problemi riguardanti la fornitura da parte dell’APSS, quali tipi di vaccino vi sono stati forniti?
«Inizialmente ci veniva fornito un singolo flaconcino alla settimana con massimo 12 dosi di vaccino AstraZeneca.
«Se si pensa che i soggetti vaccinati dovevano eseguire un richiamo dopo 10-12 settimane si comprende come si allunghino i tempi di una vaccinazione di massa.
«Attualmente dovrebbero fornirci tre flaconcini alla settimana dello stesso vaccino.»
 
Come si prenota, nel suo ambulatorio, la vaccinazione?
«Altra nota dolente, nel senso che ci è stata inviata dall'Apss una lista di persone da vaccinare rientrante nelle categorie sopra citate.
«Il nostro compito è quello di contattare i partecipanti, convincerli ad aderire alla campagna vaccinale o sperare di essere contattati direttamente, in modo da pianificare la giornata di vaccinazione.
«Nel mio ambulatorio, ho iniziato a vaccinare il sabato pomeriggio per ricevere il maggior numero di persone possibile, il tutto procede con regolarità.»
 
Sono stati riscontrati problemi alle persone vaccinate? Quali sono le domande più frequenti?
«Gli effetti avversi che mi sono stati riportati dopo la vaccinazione riguardano per fortuna una piccola percentuale di pazienti, i quali hanno manifestato febbre, dolori articolari, malessere, diarrea, vomito e mal di stomaco, nulla di grave.»
 

 
Siamo in ritardo con la campagna vaccinale? Lei che ne pensa?
«Al momento, secondo il mio modesto parere, siamo piuttosto in ritardo con la vaccinazione, anche perché le dosi scarseggiano e quindi giocoforza, ci consegnano le dosi col contagocce.
«La mia impressione è che la campagna di vaccinazione a livello nazionale e provinciale sia al quanto approssimativa.»
 
Se potesse, alla luce di tutte le difficoltà che il suo mestiere comporta, cosa chiederebbe?
«Quello che chiederei è di poter disporre di più dosi di vaccino per proteggere in tempi brevi una maggior fetta di popolazione, ma al tempo stesso vorrei essere maggiormente tutelato a livello medico legale in caso di pericolose reazioni avverse a seguito della vaccinazione. In ambito legislativo si andrà in questa direzione, siamo in attesa di risposta da parte degli organi competenti.
«Per quel che riguarda il fine pandemia, il vaccino è per il momento l'unica arma in nostro possesso, rimane l’incognita delle varianti del virus, noi tutti auspichiamo in termini positivi.
«In conclusione, chiedo ai miei assistiti di essere più comprensivi, perché non sempre, riesco a soddisfare in tempi rapidi tutte le loro richieste. Nell'arco della giornata ricevo tantissimi interventi e talvolta mi è difficile trovare le energie psico-fisiche per risolvere tutti i casi.
«Dopo un anno di battaglia sul campo, mi sento di dire, a nome di tutti i colleghi, che siamo allo stremo, e non vediamo l’ora di riprenderci la nostra vita.»

Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Dott. Paolo Lazzaro paolo.lazzaro@apss.tn.it

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