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«Vivere a Dakar nel bene e nel male» – Di Nadia Clementi

La testimonianza della studentessa trentina di Novaledo Sara Giovine che, a 23 anni, ha passato 7 mesi in Senegal dopo essere stata in Cina

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Oggi vi raccontiamo il viaggio di Sara Giovine, una ragazza Trentina rientrata da poco in Italia, dopo aver trascorso 7 mesi a Dakar, in Senegal.
Era partita a fine maggio sfidando la pandemia da Covid-19, non per fare una vacanza, ma per vivere un'esperienza autentica, indimenticabile quella che lei stessa stava cercando, nel bene e nel male e con la consapevolezza di non poterla cambiare.
 
Sara ha 23 anni, vive con la sua famiglia a Novaledo, è una ragazza coraggiosa dallo spirito libero.
Nel 2018, terminati gli studi linguistici, si trasferisce a Changsha (Cina) per insegnare l’inglese ai bambini, in attesa di chiarirsi le idee sul da farsi.
Non era stata ammessa al politecnico di Milano e non aveva un piano B e fu così che la scelta di andare in Cina si rivelò vincente.
Il sistema cinese le piaceva e così decise di iniziare a studiare design degli interni a Shanghai.
 
Nel settembre del 2019, dopo un’estate in Italia, parte nuovamente per la Cina e frequenta il primo semestre universitario. Nel frattempo suo nonno inizia a stare molto male e peggiorare di giorno in giorno, decide di sfruttare le vacanze invernali per tornare in Italia a trovarlo.
Il nonno viene a mancare dopo dieci giorni dal suo rientro in patria e nel frattempo scoppia la bufera del covid-19.
 
Rimane bloccata in Italia ed è costretta a svolgere un anno e mezzo di lezioni online, fino a che, insoddisfatta del servizio ricevuto, decide di mettere gli studi in standby. In attesa di nuove ispirazioni, a gennaio 2021 inizia a risentirsi con Djibril, un ragazzo conosciuto a Shanghai, e dopo mesi di chat e videochiamate decide di raggiungerlo in Senegal.
La studentessa Trentina sa bene che non sarà un viaggio facile, da sola in un Paese così complesso e controverso, ma Sara non si fa intimorire, ha bisogno di vedere coi suoi occhi quello che Djibril le aveva raccontato di quella vita completamente diversa dalla sua.
 

 
Ciao Sara, cosa ti ha spinta, nonostante la pandemia, a decidere di affrontare questa coraggiosa avventura in Senegal?
«Sentivo la necessità di uscire dalla mia comfort zone. Dopo aver accettato di non poter tornare ai miei studi in Cina causa Covid, l’Italia ha iniziato a starmi stretta.
«Era come se la mia vita si fosse fermata. Stavo lavorando nel negozio Morbosella di mia mamma a Levico Terme e, nonostante mi sia sempre trovata bene in un ambiente che mi permetteva di crescere professionalmente, avevo bisogno di cambiare rotta.
«Nel frattempo, a gennaio del 2021, io e Djibril avevamo iniziato a risentirci.
«All’inizio ero restia, eravamo stati insieme qualche mese a Shanghai ma avevamo avuto una rottura drammatica che aveva portato all’interruzione dei contatti per circa un anno.
«Con il passare dei mesi, però, compresi che l’unico modo per togliermi ogni dubbio era quello di raggiungerlo e capire insieme se la nostra storia potesse funzionare o meno, ed è così che decisi di prenotare un volo per Dakar, con l’intenzione di vivere insieme e nel frattempo fare un’esperienza di volontariato.»
 
«È stato complicato organizzare il viaggio e quali sono state le precauzioni sanitarie che hai dovuto seguire?
«Devo ammettere che avere un passaporto italiano rappresenta un grande vantaggio per l’ottenimento di permessi di viaggio e visti.
«Solitamente, non è richiesto alcun permesso per andare in Senegal, ma in pieno periodo di pandemia, il Senegal era chiuso al turismo.
«Fortunatamente Alassane, il fratello di Djibril, che lavora per l’O.N.G Empire Des Enfants a Dakar rese possibile il mio viaggio mandandomi un invito per volontariato e fu così che riuscii a passare gli imbarchi.
«Per quanto riguarda le precauzioni sanitarie, per andare in Senegal non è obbligatorio avere alcun vaccino ma è fortemente consigliato fare quello per la malaria e la febbre gialla.
«Siccome inizialmente pianificavo di stare in Africa solamente 3 mesi, decisi di non vaccinarmi. Al check-in dovetti mostrare semplicemente l’invito dell’associazione e un test molecolare (PCR).»
 

 
Quando sei arrivata in Senegal cosa pensavi di trovare e cosa invece hai trovato?
«L’arrivo in Senegal fu un tripudio di emozioni contrastanti. Da un lato, l’incredibile gioia di riabbracciare Djibril, dall’altro la paura celata dietro alla totale inconsapevolezza di ciò che mi aspettava.
«Tante volte mi ero immaginata come sarebbe stata la mia vita quotidiana, i paesaggi, il cibo, la gente. Ma non smetterò mai di ripetere che nulla di tutto ciò che ho trovato era prevedibile.
«Non ero mai stata in Africa subsahariana e l’impatto culturale e paesaggistico fu davvero forte inizialmente. Il viaggio in automobile dall’aeroporto a casa fu già di per sé un’esperienza nuova per me: mucche, montoni e galline che attraversavano la strada, migliaia di case diroccate o lasciate in fase di costruzione, persone ovunque, anche a piedi sulle tangenziali, motorini e auto che sfrecciavano senza regole a pochi cm di distanza gli uni dagli altri, insomma, una vera avventura.
«Una delle cose che più mi lasciò amareggiata furono i prezzi: considerando che uno stipendio medio a Dakar si aggira intorno ai 150$, mai mi sarei aspettata di trovare una sproporzione così grande con il costo della vita. Dakar, infatti, è una città estremamente costosa, comparabile ad una città europea, e fin da subito, mi fu chiaro il motivo di tutta quella povertà.»
 
Dove hai vissuto in Senegal e come hai affrontato questo «salto culturale» e di vita?
«Ho vissuto in Senegal per 7 mesi (sì, alla fine ho deciso di stare qualche mese in più). Io e Djibril inizialmente abitavamo in un grande appartamento a West Foire, un quartiere popolare a nord di Dakar. Dopo 3 mesi, decidemmo di cambiare alloggio per via dei costi troppo alti e ci trasferimmo in un minuscolo e vecchio bilocale di Fann Hock, un quartiere un po’ più tranquillo e residenziale situato vicino al centro di Dakar e a due passi dalla costiera ad ovest.
«Devo ammettere che, mi ci sono voluti mesi per ambientarmi del tutto. Senza il supporto di Djibril non ce l’avrei mai fatta. Spesso a casa non arrivava l’acqua per giorni ed eravamo costretti a lavarci con le taniche di scorta riempite preventivamente.
«Ho passato mesi a lavarmi usando una bacinella d’acqua perché, anche quando era disponibile, la corrente non era mai sufficiente per potersi fare una doccia in grazia di Dio.
«Ci sono molte cose che sono difficili da accettare e che devo ancora mandare giù completamente. La corruzione, l’ingiustizia e la povertà sono elementi che regnano sovrani in Senegal e finché non ho avuto la consapevolezza di non poter cambiare nulla me la vivevo parecchio male.»
 

 
Quali sono state le maggiori difficoltà che hai riscontrato?
«Parecchie! Innanzitutto, il trovare casa. Se non fosse stato per le conoscenze di Djibril, sarebbe stato praticamente impossibile. A Dakar la digitalizzazione è un mondo ancora inesplorato, ci sono pochissimi annunci online ed è molto difficile trovare appartamenti a prezzi modici, specialmente non parlando francese. I mezzi di trasporto costituiscono un altro grande dilemma, non esistono metro, bus di linea o tram.
«La maggior parte della gente si sposta con i Car Rapide che sono dei furgoncini coloratissimi costruiti artigianalmente con pezzi di riciclo di lamiera e vecchi motori e che di rapido hanno ben poco. Sono molto pittoreschi, quello sì, ma non esistono fermate predisposte, né tanto meno dei numeri di riferimento per poter riconoscere il tragitto che andranno a fare.
«Per salire li si ferma alzando la mano sul ciglio della strada, si dà qualche moneta al ragazzo che rimane appeso alla porta posteriore e ci si incastra tra le decine di persone ammassate all’interno.
«Un’esperienza molto autentica, ma mi ci volle un po’ per capire come funzionavano.
«In ogni modo, se avessi parlato francese, sarebbe stato tutto più facile. I senegalesi sono generalmente un popolo molto accogliente e disponibile ma non conoscere la lingua e trovare il modo di farsi comprendere è stata sicuramente una grande complicanza.»
 
Dakar è una città pericolosa? Hai mai avuto paura?
«No, per lo meno, non in assoluto, ho sempre girato abbastanza tranquillamente anche da sola, certo, ci sono quartieri più pericolosi di altri, come in tutte le grandi città.
«Più che avere paura, mi sono sentita spesso in soggezione, perché ovunque andassi, la gente mi fissava senza scrupoli.
«Nonostante Dakar sia una città abbastanza internazionale e piena di stranieri, facendo io uno stile di vita molto local, ho visto molte volte nelle facce della gente lo stupore nel vedere un occidentale in determinati quartieri, negozi o anche ad esempio sui car rapide, sui quali non ho mai visto un bianco.»
 

 
Come vive la gente a Dakar e qual è l’attuale situazione sanitaria?
«Dipende, a Dakar ci sono delle diseguaglianze economiche enormi tra un distretto e l’altro. Ci sono quartieri in cui sembra di stare a Beverly Hills, altri che assomigliano alle Favelas di Rio de Janeiro. In media, il popolo senegalese è abituato a fare grandi sacrifici e lavora sodo. Per quanto riguarda la situazione sanitaria, il covid sembra praticamente non esistere, le mascherine sono necessarie solo per entrare nei supermercati occidentali o in uffici e banche.
«L’estate scorsa ero in pronto soccorso perché avevo la febbre a 40 e il medico non mi ha nemmeno fatto fare un tampone.
«La sanità è pubblica, anche se solo il ticket dell’ospedale rappresenta un grande ostacolo per tanta gente che non se lo può permettere. Le condizioni degli ospedali sono discrete in termini di pulizia ma c’è una forte mancanza di attrezzatura medica professionale e gli ospedali sono sempre sovraffollati.
«Ovviamente, a Dakar esistono cliniche private che non hanno nulla da invidiare ai nostri ospedali, ma sono inarrivabili per la maggior parte della popolazione.»
 
La cosa più strana che hai visto in Senegal?
«Una tomba costruita sotto la sabbia in una spiaggia pubblica, allevamenti di animali come piccioni, montoni e polli su tutte le terrazze di Dakar e decine di persone trasportate sui tetti dei bus e nei vani dei camion.»
 

 
Il momento più bello e quello più brutto di questa tua esperienza senegalese?
«Ce ne sono stati infiniti, sia di belli che di brutti. Ovviamente ho avuto tantissimi momenti stupendi con Djibril: l’arrivo, la quotidianità, i brevi viaggi che abbiamo fatto, tutte le difficoltà superate insieme che si sono tramutate in piccole vittorie. L’esperienza ad Empire Des Enfants mi ha regalato emozioni stupende, con i bambini ho imparato tantissimo e mi sono divertita un mondo. Il mio lavoro come insegnante di inglese presso Mikado, un’organizzazione post-scolastica per bimbi di tutte le età, è stato un altro capitolo arricchente, costruttivo ed emozionante.
«E poi le persone: la famiglia di Djibril, gli amici, i colleghi, ho tantissimi ricordi stupendi. Forse il momento più brutto, nonostante tutto, è stato proprio quello della partenza. Ricordo di essere stata male per giorni, fisicamente ed emotivamente, prima di partire.
«È stato difficilissimo salutare Djibril e tutti gli affetti che mi ero costruita nei mesi a Dakar, ma allo stesso tempo è stata la dimostrazione di aver instaurato dei rapporti veri e profondi con le persone.»
 
Raccontaci del lavoro come volontaria per O.N.G. Empire des Enfants?
«Empire è stata una delle esperienze più belle che abbia mai fatto nella mia vita. Avevo già lavorato con i bambini in Cina, ma i bimbi di Empire sono speciali ed avranno sempre un posto fisso nel mio cuore. I bimbi di Empire sono bambini che vengono dalla strada e arrivano spesso soli in cerca di aiuto. Empire fornisce loro un’istruzione, un alloggio, vestiti, cibo e, ovviamente, una comunità a cui appartenere.
«Inizialmente, non lavorando, riuscivo ad andare ad Empire solo due volte a settimana. Dopo la loro lezione coranica che facevano tutte le mattine, iniziava la mia classe di inglese.
«Molti di loro non sapevano leggere e scrivere e quindi mi inventavo giochi e attività per poter rendere la lezione utile e interattiva.
«Erano sempre molto interessati, nonostante la barriera linguistica che c’era tra noi. A volte, partecipavo ai giochi, agli sport e alle attività organizzate dagli altri volontari ed educatori.
«Non ci volle molto tempo per affezionarsi ed instaurare con tutti loro un legame solido e d’affetto.»
 


Che differenze hai riscontrato dall’esperienza in Cina a quella del Senegal?
«Differenze enormi. Cina e Senegal sono due paesi poco equiparabili. Innanzitutto, il governo e in generale il funzionamento dei servizi.
«Non sono un’esperta di politica, anzi, ammetto di essere abbastanza ignorante in materia ma non ci vuole una laurea per capire che le cose funzionano in maniera nettamente diversa: in Cina i servizi come trasporti, sanità, istruzione funzionano perfettamente. Non ci sono ritardi, non c’è caos, addirittura il traffico era gestito in maniera impeccabile nonostante abitassi a Shanghai, una città di 27 milioni di persone.
«Dakar è un macello, i servizi pubblici sono praticamente inesistenti e, se ci sono, sono completamente inefficienti e inaffidabili. La sanità lascia a desiderare. Le strade sono per la maggior parte sterrate e ogni volta che esci di casa devi sperare che qualcuno non ti tamponi in macchina.
«Culturalmente poi, ci sono delle differenze abissali come la religione: se in Senegal prevale l’Islam, in Cina l’unico Dio è il Dio Denaro.
«Ma, un valore che entrambe le culture hanno in comune, è quello della disciplina: da una parte, quella appresa dal duro lavoro e dai grandi obbiettivi, dall’altra, quella guadagnata tramite grandi sacrifici e la sopravvivenza.»
 
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Il Senegal non mi ha solo insegnato a vivere questa esperienza mi ha letteralmente cambiato la vita. Forse è ancora troppo presto per mettere a fuoco tutto ciò che questa avventura mi ha trasmesso, ma sicuramente, come sempre quando si esce dalla propria comfort zone, Dakar mi ha insegnato a vedere le cose da più punti di vista.
«Prima di fare questa esperienza tendevo ad avere un giudizio molto definitivo su tutto, era tutto o bianco o nero. Passare 7 mesi a contatto con una cultura così lontana dalla mia mi ha sicuramente fatto capire che non esiste un giusto o sbagliato. Mi ha fatto capire che nonostante tutto, siamo davvero tutti uguali, che abbiamo idee diverse, religioni diverse, posizioni politiche diverse, quello sì, ed è per questo che il mondo è bello, ma alla fine la sensibilità e l’amore oltrepassano ogni confine.
«Non vorrei essere scontata, ma sicuramente, tutto ciò mi ha fatto aprire gli occhi e riflettere su quanto sia fortunata. Non mi è mai piaciuto vivere in Italia e, specialmente dopo aver vissuto in un paese efficiente come la Cina riconoscevo tutte le sue mancanze.
«Quando invece sono rientrata in Italia dal Senegal, a gennaio, nonostante la tristezza di aver lasciato tutto quel che avevo costruito in qualche mese, mi sono sentita infinitamente grata. Ho una bella casa, un’automobile, un lavoro (che mi paga più di 300 euro al mese), una famiglia e degli amici che mi vogliono bene. Ora mi manca solo Djibril, l’amore.»
 

 
Un consiglio che daresti a chi vuole fare un’esperienza simile?
«Non avere aspettative e non prendersela sul personale. Tante volte mi è successo di sentire il peso di realtà che non mi appartenevano e per le quali non potevo fare nulla.
«Tante volte mi è capitato di voler cambiare le cose, di rivoluzionare il sistema. Quando mi sono arresa, quando ho messo il cuore in pace, è lì che ho iniziato a godermi l’esperienza che stavo facendo. Non si può andare in un paese pensando di poterlo cambiare. Non sta a noi. Bisogna accettare la realtà per quella che è e adattarsi, per quanto possibile.
«Ogni popolo ha i suoi tempi, i suoi valori e le sue dinamiche ed è giusto così.»
 
Cosa sogni per il tuo futuro?
«Bella domanda… in questo momento sono concentrata a trovare un modo per far venire Djibril in Italia. Vorrei proseguire con i miei studi che ho lasciato incompleti in Cina per via del Covid ma, ancora una volta, ho imparato a lasciar fare all’universo il suo corso e se le cose non dipendono da me, è inutile perderci tempo, energie e serenità. Per ora sto lavorando nel negozio di mia mamma, poi, chissà…»

Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Sara Giovine - saragiovine1998@gmail.com
Empire Des Enfants (l’impero dei bambini)
https://instagram.com/empiredesenfants?utm_medium=copy_link


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Dorian 19/02/2024
Dietro a certi viaggi c'è uma dubbia attrazione
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