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Dire NO alla violenza contro le donne – Di Nadia Clementi

Come? Lo abbiamo chiesto al Generale Luciano Garofano, già comandante del, Ris di Parma e presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi

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Il 25 novembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999.
L’obiettivo di questa ricorrenza è quello di promuovere delle campagne di sensibilizzare cercando di dare un supporto concreto a tutte le donne e/o bambine colpite da atti di violenza psicologica o fisica.

Negli anni è stato fatto molto per combattere questo fenomeno, ciò nonostante, i femminicidi non si fermano e le donne continuano a venire uccise e muoiono per mano degli uomini.
C'è chi denuncia e non viene ascoltata, chi non denuncia perché tanto sa che non verrà ascoltata. Ci sono padri padroni, uomini che non accettano un rifiuto, partner lasciati che usano la gelosia come alibi.
 
In Italia dal 1° gennaio al 30 ottobre 2022, sono stati registrati 246 omicidi, con 91 vittime donne, di cui 79 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 46 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.
Laddove le famiglie sono più a stretto contatto e trascorrono più tempo assieme, come avvenuto durante la pandemia, aumenta il rischio che le donne e i figli siano esposti alla violenza soprattutto se in famiglia vi sono gravi perdite economiche o di lavoro.
Man mano che le risorse finanziarie diventano più scarse, possono aumentare anche forme di abuso, di potere e di controllo da parte del partner.
 
Report della Direzione centrale della Polizia Criminale.
 
Per approfondire il tema della violenza sulle donne abbiamo intervistato il Generale Luciano Garofano del Ris di Parma e presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi.
Lo abbiamo incontrato a Ledro, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo «Il giallo di Marina: un omicidio, una sentenza sbagliata, un’indagine difficile anche per i Ris.» (Infinito Edizioni).
 

 
Generale Garofano, il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Che cosa significa per lei questa giornata?
«Questa giornata mi fa pensare a quanto dobbiamo ancora investire nell'educazione dei nostri giovani. Credo che la missione più importante sia proprio quella di educare i ragazzi al rispetto, alla reciprocità, al riconoscimento della diversità, alla condivisione, all’ascolto, alla pazienza.
«È soltanto attraverso l’educazione costante e partecipata dei nostri figli e dei ragazzi in generale che noi possiamo sperare di eliminare progressivamente tutti gli atteggiamenti ed i comportamenti che sfociano nelle diverse forme della violenza di genere.
«Il 25 novembre è un appuntamento che, per certi versi, vista la preoccupante casistica che riguarda la violenza di genere rappresenta una sconfitta della società ma proprio per questo ci sprona a fare il punto su quanto siamo riusciti a fare e quanto possiamo e dobbiamo ancora fare per contrastare il fenomeno nell’ottica di un costante miglioramento dei rapporti tra uomini e donne e soprattutto degli uomini verso le donne.»
 
In Italia, in merito alla violenza contro le donne: a che punto siamo, cosa dicono i numeri su i femminicidi? Quali sono le Regioni più interessate a questo fenomeno e perché?
«Il fenomeno è trasversale e i numeri non differiscono significatamene da un territorio all’altro tranne alcune regioni in cui si registrano picchi più alti.
Confermo, però, che i numeri sono estremamente allarmanti, perché a fronte di una contrazione decisa degli omicidi per così dire tradizionali, sui quali effettivamente lo Stato ha impegnato le migliori risorse non è successa la stessa cosa per tutte le forme in cui si manifesta la violenza di genere.
«Oggi, nonostante disponiamo di una buona legge, come il cosiddetto codice rosso, non si riesce ancora a far valere appieno gli strumenti normativi al fine di evitare epiloghi tragici come l’omicidio delle donne in quanto tali. Anzi, spesso, ci troviamo di fronte a morti annunciate perché nonostante le denunce ed i provvedimenti restrittivi dell’Autorità Giudiziaria gli uomini maltrattanti continuano ad offendere e ad uccidere impunemente.»
 
 

Quando parliamo di violenza sulle donne, non ci riferiamo solo alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica, verbale, sessuale… Quando, dunque, una donna si definisce «vittima di violenza»?
«Una donna è vittima di violenza ogni qualvolta, a prescindere dalla forma di offesa cui è oggetto, perde la sua serenità e la capacità di una vita personale e relazionale tranquilla e soddisfacente. Quindi anche le forme di violenza economica o quelle di tipo psicologico, che sembrerebbero apparentemente meno aggressive rispetto alla violenza fisica o a quella sessuale, risultano addirittura più subdole e, a lungo andare, possono produrre effetti devastanti.
«Dobbiamo tutti impegnarci affinché tutte le forme di violenza siano ridimensionate e progressivamente eliminate e dunque, oltre a incidere di più sulla educazione dei giovani e quindi sulla prevenzione dobbiamo incoraggiare le donne a denunciare.
«Per ottenere questo, però, abbiamo bisogno di uno Stato attento ed attrezzato al meglio affinché la denuncia che è già un momento di grande coraggio da parte della donna vittima di violenza, rappresenti una risposta efficace e risolutiva e non una ulteriore sconfitta che espone la vittima a rischi ancora maggiori.»
 
Qual è il profilo di uno stalker? Si nasce o si diventa?
«Premetto che non sono uno psicologo e la mia esperienza professionale mi consente solo di fare delle riflessioni. Posso dire che spesso, colui che usa violenza nei confronti delle donne, è stato egli stesso vittima di violenza, soprattutto da bambino o da adolescente: si parla in questi casi di violenza diretta o di violenza assistita.
«È infatti difficile che un giovane che ha vissuto una condizione famigliare serena con dei genitori amorevoli diventi una persona che usa violenza nei confronti delle donne.
«Ovviamente, ci sono delle eccezioni che portano ad agire violenza anche se l’infanzia è stata serena come l’abuso di alcool e delle sostanze stupefacenti.»
 

 
Secondo la sua esperienza investigativa quanto è importante la prova scientifica nel dimostrare la violenza?
«Quando fallisce l'attività preventiva, non ci rimane che sperare in una buona indagine che consenta di evidenziare le reali responsabilità dell’offender ed una pena adeguata che possa costituire il deterrente migliore per scoraggiare altre violenze.
«Nella stragrande maggioranza dei casi, la prova scientifica è spesso protagonista per il buon esito di una indagine e del processo: si tratta di contributi che spaziano dalle prove informatiche a quelle digitali o al DNA e dallo studio delle macchie di sangue, nei casi più cruenti, senza dimenticare il ruolo delle prove dichiarative e degli approfondimenti di natura psichiatrica e psicologica.»
 
Nella sua prestigiosa carriera professionale qual è stato il caso che le è rimasto impresso più di altri?
«Rispetto alla violenza di genere, nella mia carriera professionale non c'è un caso, che posso affermare mi sia rimasto più impresso di un altro. L'omicidio è sempre un fatto drammatico e molto toccante a livello umano che incide emotivamente anche su un esperto come me. Ovviamente, la necessità di dare un contributo efficace permette, quasi subito, di porre da parte gli aspetti emotivi per potersi concentrare totalmente sul lavoro da svolgere.
«C’è un caso, però che è rimasto indelebile nella mia memoria ed è l'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, il famoso caso Cogne per il quale, come comandante del RIS di Parma, ho curato tutte le indagini scientifiche unitamente ai miei collaboratori di allora. Fu un caso terribile, per le modalità in cui maturò, la tenera età della vittima, la brutalità dell’esecuzione: è stata un’esperienza incomparabile che non potrò mai dimenticare.
«Riguardo gli omicidi delle donne, riscontro spesso una elevata dose di aggressività che permette di dedurre quanto in quel momento la donna non sia più considerata la persona amata dall’uomo ma, piuttosto, un oggetto sul quale scaricare gli istinti peggiori. Da uomo, ogni volta che accade, provo un impotente senso di rabbia e di sconfitta.»
 

 
Cosa potrebbe essere utile al vostro lavoro per rendere più brevi le indagini, qual è il vero deficit del sistema?
«Mi risulta difficile rispondere concretamente a questa domanda che include tante variabili tra le quali, in primis, una patologica carenza di organici sia per quanto riguarda le forze di polizia che la magistratura.
«Se noi vogliamo affrontare adeguatamente il tema della violenza di genere dobbiamo sicuramente investire di più nelle risorse umane. Sappiamo che il codice rosso prevede che dopo la presentazione della denuncia da parte di una donna vittima di violenza, quest’ultima sia sentita, non oltre tre giorni, dal pubblico ministero, il che rappresenta peraltro uno degli aspetti più interessanti ed innovativi introdotti dalla legge.
«Il problema che si pone, però, è che proprio in funzione delle carenze di organico questi ascolti siano delegati alla polizia giudiziaria che non gode certamente di una situazione migliore: il risultato di tutto questo si traduce frequentemente in indagini poco approfondite ed in ritardi ingiustificati, spesso preludio di un epilogo tragico finale.
«Oltre agli organici, sicuramente insufficienti per affrontare una criticità sociale così complessa e profonda, si dovrebbe poi agire nella direzione di una migliore formazione per tutti gli operatori: per svolgere indagini così delicate e complicate sono necessarie delle competenze specifiche e servono delle persone che siano in grado di stabilire un rapporto empatico con la vittima.
«Persone che possano avere il tempo, la passione e le competenze per far sentire la vittima finalmente accolta, sostenuta, protetta. Ma se, come succede frequentemente oggi, gli operatori devono correre da una parte all'altra e hanno un numero di fascicoli enorme ai quali devono dare una risposta, allora il rischio è quello contrario: indagini carenti e tutela della vittima inadeguata, il che non va certo nella direzione di un incoraggiamento a denunciare… e di qui torniamo punto a capo.»
 

 
Un’ultima domanda per un futuro migliore: qual è l’insegnamento più importante che possiamo trasmettere ai nostri figli per far sì che le terrificanti statistiche di oggi non siano più così spaventose un domani?
«Direi che la cura migliore consiste nello stabilire un buon rapporto tra genitori e figli e, glielo dico da padre, un rapporto che, ogni giorno, si nutra di esempio, di stimoli sempre nuovi e si consolidi nel tempo.
«Non voglio puntare il dito contro nessuno: la vita è obbiettivamente sempre più difficile, manca il lavoro, la serenità. Ma è pur vero che noi genitori, attualmente, non dedichiamo il tempo necessario alla educazione dei nostri figli e non è tanto la quantità ma la qualità del rapporto che riserviamo ai nostri ragazzi a risultare carente.
«Noto molto più egoismo ed un senso di responsabilità minore nei genitori di oggi con il risultato che, progressivamente, non sentendosi sufficiente amati, seguiti e considerati, i nostri figli si allontano, si isolano, magari affidandosi ai social od a rapporti e relazioni sempre più virtuali che generano soltanto incertezze e solitudine. E tutto ciò si traduce anche nella impossibilità di trasmettere loro quei valori e quei riferimenti che li faranno crescere sani ed equilibrati.
«Oggi più che mai, prima di decidere di mettere su famiglia, sarebbe opportuno fermarsi a riflettere e valutare quanta responsabilità, sacrifici e rinunce siamo pronti a mettere in campo e affrontare per amore dei nostri figli.»

Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it

Generale di Brigata dei Carabinieri (cong.) Dott. Luciano Garofano
già Comandante del RIS Carabinieri di Parma
Biologo Forense
Specialista in Tossicologia Forense
Fellow dell’Accademia Americana di Scienze Forensi
Membro della Società Internazionale di Genetica Forense
Membro del G.E.F.I.
Membro della Società Internazionale di Identificazione
Presidente dell'Accademia Italiana di Scienze Forensi (www.acisf.it)
Presidente Comitato UNICEF di Parma
Presidente Onorario del Centro Nazionale contro il Bullismo BULLI STOP

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