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«A mia madre che mi ha sempre tenuto per mano» – Di N. Clementi

Raffaele sollecito racconta tutto quello che non abbiamo mai immaginato di lui

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Otto anni di processo, quattro di carcerazione preventiva, oltre un milione di euro tra parcelle destinate ad avvocati e consulenti.
«Sono vittima di un clamoroso errore giudiziario, il carcere mi ha obbligato a diventare adulto troppo in fretta. I miei vent’anni mi sono stati rubati e non torneranno. Com’è possibile che ciò accada in un paese democratico e civile? Ma, oggi sono qui e se mia madre potesse vedermi, sarebbe orgogliosa di me.»
Sono alcune delle tante parole pronunciate con commozione da Raffaele Sollecito, lo scorso 2 dicembre a Riva del Garda presso la libreria Mondadori Bookstore.
Intervistato dalla grafologa forense e consulente investigativo Cristina Sartori ha raccontato al pubblico la sua drammatica vicenda giudiziaria, con la speranza che non capiti a nessun altro ciò che ha subìto lui in questi ultimi 15 anni di straziante dolore, non lo augura nemmeno a chi ha sempre pensato che lui sia un assassino.
 
L’incontro è iniziato spiegando sommariamente i fatti che di seguito riportiamo.
Raffaele Sollecito entra a far parte di una pagina della cronaca nera del nostro Paese il primo novembre 2007 quando in una villetta di via della Pergola a Perugia veniva trovato il corpo straziato della studentessa inglese Meredith Kercher.
A dare l’allarme è stata una vicina di casa, che ha trovato due cellulari nel suo giardino e ha chiamato i Carabinieri; questi ultimi, arrivati sul posto, hanno visto Raffaele Sollecito e Amanda Knox, la coinquilina americana di Meredith, seduti su una staccionata fuori dalla casa: i due avevano trovato una finestra rotta e la porta aperta, e avevano quindi chiesto l’intervento delle forze dell’ordine.
I Carabinieri hanno così trovato il corpo della ragazza, e le indagini si sono immediatamente concentrate su Sollecito e Knox.
I due giovani sono stati letteralmente travolti dalle attenzioni dei media: giornali, telegiornali e trasmissioni televisive di ogni tipo volevano raccontare la loro storia, chiedendosi se fossero effettivamente i colpevoli del terribile delitto.
Nel corso delle indagini, le attenzioni che i media dedicavano al caso, e in particolare ai due sospettati, si sono fatte sempre più invadenti e quasi morbose. Poco dopo Raffaele Sollecito e Amanda Knox sono stati arrestati: dovevano rispondere all’accusa di essere stati coautori del delitto, e condannati rispettivamente a 25 e 26 anni di reclusione.
 
Circa 15 giorni dopo l’omicidio è emerso il nome di Rudy Guede, cittadino ivoriano già noto alle forze dell’Ordine.
Sulla scena del crimine sono state ritrovate copiose tracce a lui riconducibili che, lo hanno portato all'arresto e, dopo aver aderito al rito abbreviato, in appello, ad una condanna a 16 anni.
Da gennaio 2021 Guede, scontata la sua pena, è uomo libero.
Per Raffaele Sollecito ci sono voluti cinque gradi di giudizio, l’ultimo quello della Cassazione del 27 marzo 2015 che lo ha assolto «per non aver commesso il fatto».
Gli inquirenti hanno provato una volta per tutte che la loro presenza sulla scena del delitto era impossibile.
 

 
Oggi, Raffaele Sollecito, passo dopo passo ho ricostruito la sua vita, scegliendo di fare quello che aveva studiato prima e dopo il carcere: l’ingegnere informatico ed elettronico nell'ambito della progettazione di sviluppo di software di architetture in Cloud.
Ci è riuscito, nonostante abbia trovato le porte chiuse in faccia per i pregiudizi che lo hanno coinvolto in una vicenda così orribile.
Raffaele vuole vivere e non più sopravvivere; sebbene sia stato giudicato innocente, ancora oggi la giustizia non ha fatto il suo corso, per questo sta portando avanti la sua battaglia, quella di raccontare tutto quello che ha subito e che ha segnato la sua giovane esistenza.
 
Dialogando con Cristina, racconta la dura vita in carcere, quattro anni ristretto in una cella di tre metri per due.
Sei mesi li passa in isolamento, fin quando un giorno decide di chiedere la sospensione a proprio rischio e pericolo e ricorda: «quella mattina mi alzai dal letto e andai a prendere la pastiglia per la tiroide.
«Vidi che l’infermiera mi guardava perplessa, e non capivo il perché.
«Lo compresi solo qualche minuto dopo: ero completamente nudo. La solitudine mi stava bruciando il cervello».
Dovevo decidere di vivere o morire.
 
«La vita in carcere è un addestramento quotidiano – spiega Raffaele – esistono dei gruppi, delle faide.
«Trovarsi a scegliere di essere parte di un gruppo piuttosto di un altro significava avere le ore contate.
«L'unico modo che avevo per sfuggire a queste regole è stato quello di frequentare i pedofili, presunti e anche quelli veri. Erano gli unici schifati da tutti e per questo erano l'unica categoria che poteva non entrare mai in una faida.»
Con gli occhi lucidi, Raffaele ripercorre i momenti più strazianti della comunità carceraria, le avances tra detenuti, la paura di essere picchiato nella doccia o nella tromba delle scale priva di videosorveglianza, ha visto persone accoltellarsi per una crostatina.
L’unico sentimento che pulsa in carcere è la vendetta e la violenza che abbandona i reclusi in uno stato vegetale a spese dei contribuenti.
 
«Ho visto persone crollare per terra contorcendosi dal dolore dopo essersi versate in gola della candeggina. Detenuti che si erano recisi i tendini delle braccia con lame costruite artigianalmente con forchette o pezzi di pavimento.
Il giorno si sopporta, la notte, invece, diventa ancora più tragica, le celle gelide si popolano dei fantasmi di ciascuno e nei corridoi risuonano urla di dolore e pianti soffocati, – racconta Raffaele. – C’è chi approfitta delle tenebre per togliersi la vita come può, il suicidio per qualcuno rappresenta l’unico modo per andare oltre le sbarre, per uscire fuori da quella condizione, da quel limbo.»
«Non posso accettare di vivere in una società dove si decide della vita e della morte delle persone come è successo nel mio caso: con estrema leggerezza, perpetuando colpevoli omissioni, amnesie investigative e soggiogando la scienza ai propri scopi pur di dimostrare un teorema sbagliato e impossibile.
«Voglio che tutti sappiano in quale Paese viviamo e quali sono i meccanismi della nostra società in tema giudiziario, perché sono certo che se la gente si rendesse conto di come funziona e quello che succede non accetterebbe mai e poi mai di vivere in questo modo.»
 

 
Con il supporto di Cristina, Raffaele prende fiato e spiega al pubblico, alcuni dei tanti errori commessi nelle indagini accusatorie: come la valutazione delle impronte di sangue riconducibili alle scarpe da ginnastica nike, che lui indossava ma che non combaciavano con le sue, così come la traccia del DNA trovata sul gancetto del reggiseno di Meredith, risultata poi fallace, lo sperma sul cuscino non refertato, il sequestro di un coltello preso a caso nel cassetto della sua abitazione, indicato come arma del delitto, dove poi vennero rilevate solo tracce di amido di patate, la mancanza dell’ora esatta del delitto etc. Indagini che non hanno portato a nulla.
«Anzi, fin da subito sono emerse una serie di defaillance investigative prive dei minimi requisiti di protocollo scientifico di sicurezza necessari per non contaminare la scena del crimine.»
 
«Oggi – afferma Sollecito – ho la possibilità di parlare e voglio farmi conoscere per quello che sono veramente. Mi sono riscattato dal processo giudiziario ma non da quello mediatico è una constatazione colma di amarezza.
«Ancora oggi, vedo nello sguardo delle persone che mi riconoscono per strada il pregiudizio di colpevolezza nei miei confronti: per aver fumato uno spinello mi hanno trasformato in un tossicodipendente e per aver collezionato qualche manga giapponese violento, mi hanno dipinto come una persona dall’indole aggressive.
«In questi anni ho visto distrutti i miei sogni, sto facendo una fatica immensa per ricostruire la mia vita e non mi viene riconosciuto alcun risarcimento per ingiusta detenzione. Ho già sostenuto negli anni passati 400mila euro di spese legali, ho dovuto vendere beni di famiglia.
«Ma devo ancora ai miei avvocati, Giulia Bongiorno e Luca Maori, circa 500mila euro di parcelle. Con il mio lavoro non ce la farò mai a ripianare il debito.»
 
Per fare fronte a tante ingiustizie, Raffaele è impegnato in prima linea per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle criticità del nostro sistema penitenziario.
Nel 2015, pubblica il libro: Un Passo fuori dalla Notte in cui racconta tutta la sua esperienza degli ultimi anni, passando da Perugia al processo, al carcere e alla catarsi lavorativa.
Ha dedicato il libro alla sua famiglia ma soprattutto a sua madre, scomparsa nel 2005, che da lassù lo ha aiutato sopportare tanto dolore:
«Alla mia mamma, che mi ha sempre tenuto per la mano e ha sconfitto la paura. A mio padre, alla mia famiglia, per tutte le lacrime, per tutta la speranza, per tutto l’amore.»

Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it

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Piera Marchiori 12/12/2022
Dura esperienza, in tutto il suo complesso ...
Ero presente in libreria a Riva del Garda ed è stato commovente il racconto di Raffaele.
Non sono un'esperta in materia giudiziaria, sono una mamma, una mamma che lavora ... e che "coglie" il significato di quella dedica.
Cerchiamo tutti di essere più responsabili e consapevoli ed educare al rispetto, verso tutti.

Buona serata
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