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La scomparsa di Siniša Mihajlović – Di Nadia Clementi

Cosa sappiamo della leucemia acuta che ha colpito il campione? Ce ne ha parlato il prof. Luca Vago, ematologo presso l’Ospedale San Raffaele di Milano

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Foto scattate al Festival dello Sport - Trento 2021.

Due giorni fa, in una clinica di Roma, l'ex allenatore del Bologna Siniša Mihajlovi? ha perso la dura battaglia contro la malattia che lo aveva colpito tre anni fa. Proprio lui che ci aveva insegnato a non smettere mai di lottare e combattere, qualunque cosa accada.
A luglio 2019 aveva annunciato alla stampa: «Ho la leucemia, ma la batterò giocando all'attacco, sconfiggerò il male e lo farò per mia moglie, per la mia famiglia, per chi mi vuole bene».
Il 29 ottobre 2019 dello stesso anno, Mihajlovi? viene sottoposto ad un trapianto di midollo osseo al Policlinico Sant'Orsola di Bologna.
 
Subito dopo iniziò un ciclo di cure che gli permisero di riprendersi e di presentarsi davanti alle telecamere dimostrando il suo carattere forte, dichiarando apertamente: «Sono ancora qua. Non sono un eroe ma un uomo con le sue fragilità. Ora mi godo ogni minuto della giornata.»
Ad ottobre 2021, Siniša Mihajlovi? partecipava alla quarta edizione del Festival dello Sport a Trento.
Davanti a una folla di fan e spettatori ripercorse la sua vita e i momenti più difficili della malattia.
 
«La partita della vita» era il nome dell’evento corrispondente al titolo del suo libro, un intreccio di pallone, emozioni, successi, schiaffi del destino e coraggio.
Una vita intensa, quella di Siniša, che non si è fatto mancare nulla fin da bambino, tra guerre, parenti diventati nemici/amici pericolosi, fino alla prova più dura con la leucemia.
Mihajlovi? si è aggrappato con tutte le sue forze alla famiglia e anche al pallone per uscire dal tunnel, per restare vivo, ma, all’inizio del 2022, la leucemia è ritornata, mettendolo nuovamente a dura prova.
Dopo alti e bassi, speranze di guarigione e ricadute, Siniša non ce l’ha fatta a vincere quella che era diventata la partita più importante della sua vita.
Ed oggi siamo qui a commemorare un grande sportivo, un uomo coraggioso che ha combattuto fino alla fine contro la malattia con la stessa energia che metteva in campo, circondato e sostenuto dall’amore della sua famiglia e dai tanti che facevamo il tifo per lui.
 

 
Che cos'è la leucemia mieloide acuta?
«La leucemia mieloide acuta (LMA) è un tumore aggressivo delle cellule del sangue relativamente raro, rappresenta il 3-4% di tutti i tumori». – Afferma Luca Vago, professore presso l’Università Vita-Salute ed ematologo presso l’Ospedale San Raffaele di Milano.
In un’intervista su OMAR - l’osservatorio delle malattie rare - il prof. Vago spiega come la leucemia può insorgere principalmente negli individui in età compresa tra i 60/70 anni.
I principali sintomi, sono il sanguinamento, l’astenia e la dispnea da sforzo.
 
L’elenco di sintomi e i risultati dell’emocromo costituiscono il primo valido indizio della presenza di una leucemia mieloide acuta: la gran parte dei pazienti versa in uno stato di pancitopenia [carenza di globuli rossi e bianchi e di piastrine, NdR] dovuto al fatto che le cellule immature nel midollo osseo rubano spazio ai progenitori sani.
La successiva conferma diagnostica giunge poi dall’esame del midollo osseo, indispensabile anche per stabilire il profilo della malattia.
 
«La leucemia mieloide acuta – spiega il prof. Vago – è stata la prima neoplasia ad essere studiata dopo il sequenziamento del genoma umano dal punto di vista del profilo delle sue mutazioni.
«Oggi, sono disponibili pannelli di analisi di oltre 40 geni associati alla LMA, grazie ai quali è possibile comprendere nel dettaglio i meccanismi di origine della patologia.
«Di fatto, la leucemia mieloide acuta mostra una prognosi ben diversa da un paziente all’altro. Quindi è possibile disporre della sua “carta d’identità completa” per distinguere coloro che hanno possibilità di guarire con il trattamento standard da coloro che necessitano invece di terapie mirate.
«Le informazioni sui geni permettono di evidenziare se la malattia è tra le più aggressive e per alcuni casi offrono dei bersagli terapeutici.»
 

 
«Alcune mutazioni, infatti, – riferisce ancora il prof. Vago – hanno un forte valore prognostico, come quelle che interessano i geni CEBPA, MLL e RUNX1, che interferiscono con il processo di trascrizione, o come quelle a danno dei geni NPM1, CEBPA, MLL, RAS, WT1, RUNX1 e FLT3, che interferiscono con il ciclo cellulare e il processo di apoptosi. Ad esempio, le cellule leucemiche con una mutazione in FLT3 crescono più in fretta.
«Attualmente, però, – prosegue il prof. Vago – sono disponibili dei farmaci che inibiscono la proteina FLT3 per cui, qualora l’analisi genetica porti alla luce questa mutazione, oltre ai trattamenti standard per la LMA, ai pazienti vengono somministrati anche degli inibitori di FLT3 per rendere più efficace la prima linea terapeutica.
«Nonostante la validità della terapia il rischio di recidiva esiste anche dopo il trapianto di midollo osseo, come nel caso di Mihajlovi?.»
 
«Di fatto, nel 70% dei pazienti si osserva una remissione clinica dopo la prima linea di trattamento poiché, di norma, la LMA risponde bene alla chemioterapia di induzione.
«Purtroppo, però, in circa il 40% dei casi la malattia tende a ripresentarsi in forma più aggressiva. In questo contesto si colloca il ricorso al trapianto di midollo osseo, che ha la funzione di intensificare il trattamento dopo che la chemioterapia ha ridotto ai minimi termini la leucemia.
«In pratica, prima la chemioterapia ad elevate dosi bombarda a tappeto le cellule leucemiche residue e poi una nuova fonte di cellule staminali viene infusa per ripopolare il midollo osseo.
«Inoltre, con il trapianto non solo si sostituisce il midollo del malato con quello di un donatore sano, ma gli si trasferisce anche un sistema per riconoscere ed eliminare le cellule leucemiche, che faccia da barriera contro il ripresentarsi della LMA.»
 
«Se la malattia manda segnali di ricomparsa anche dopo il trapianto, come sembra sia accaduto nel caso di Mihajlovi?, – riferisce il prof. Vago – la strategia attualmente adottata è quella di potenziare il sistema immunitario con infusioni aggiuntive di linfociti T ottenuti da un donatore.
«In alcuni pazienti ciò è sufficiente, in altri purtroppo no perché le cellule leucemiche, già resistenti alle chemioterapie, trovano il modo di “difendersi” anche dal sistema immunitario del donatore, esse celano gli antigeni utili ad eliminarle, diventando “invisibili” ai linfociti T e riprendendo a crescere.
«Fortunatamente – conclude il prof. Vago – si stanno conducendo studi clinici per produrre nuove cellule immunitarie potenziate in grado di riconoscere quelle tumorali ed attaccarle.»
 

 
Vedi Osservatorio malattie rare.
 
Secondo i dati dell'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) riportati da AIRC, ogni anno in Italia si possono stimare poco più di 2.000 nuovi casi di leucemia mieloide acuta: 1.200 tra gli uomini e 900 tra le donne.
I fattori di rischio per la malattia, come riporta l'Associazione Italiana per la Ricerca sui Tumori, alcuni comportamenti, personali e ambientali, sono considerati fattori di rischio per lo sviluppo della malattia, ed esattamente:
•    il fumo di sigaretta;
•    l'esposizione a certe sostanze chimiche come il benzene e i suoi derivati;
•    trattamenti oncologici, come i farmaci alchilanti e quelli a base di platino utilizzati per la chemioterapia, e le radiazioni usate nella radioterapia.
 
Inoltre, come per altri tipi di tumori, anche per la LMA vi sono fattori di rischio non modificabili, sui quali cioè non è possibile intervenire:
•    essere maschio;
•    età superiore ai 60 anni;
•    malattie genetiche (anemia di Fanconi, sindrome di Bloom, atassia-telangiectasia, sindrome di Li-Fraumeni, neurofibromatosi eccetera);
•    anomalie cromosomiche (Sindrome di Down, trisomia del cromosoma 8)
•     malattie del sangue (disturbi mieloproliferativi cronici e sindrome mielodisplastica).

Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it


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