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«Sono russo o Ucraino?» – Di Nadia Clementi

Intervista a Pavlo Polyev, portavoce dei due fronti, quello Russo e quello Ucraino

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La notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022 veniva annunciata l’invasione militare russa in Ucraina, conflitto che preoccupa tutti e in particolare l’Europa ma che la guerra tra Israele e Hamas ha fatto passare in secondo piano, almeno sui media.
In solidarietà al popolo ucraino abbiamo raccolto la testimonianza di Pavlo Polyev che dal 2003 vive in Italia e da due anni si è trasferito a Trento.
Pavlo Polyev è nato nel 1999 a Luhanes’k una città filo-russa dell’Ucraina capoluogo dell’omonima Oblast nella regione storica del Donbass ricca di giacimenti di carbone e madre di tutte le battaglie per Vladimir Putin.
 
Dal 2005 al 2019 è tornato varie volte sia in Russia che in Ucraina in visita ai suoi parenti ora sente il bisogno di raccontare la sua vita contesa in una guerra assurda tra fratelli della stessa patria: «Prima l’Ucraina era un’unica nazione con cultura, lingua e confini uguali ma ora non è più.
«Negli anni ’90 nell’ex-URSS arrivano crisi di vario tipo, conflitti armati, ribellioni e miseria.»
 

La famiglia in Ucraina.
 
«Mia madre è ucraina e mio padre e russo si sono sposati nell’84; vita, università, famiglie, lavoro e cultura erano un’unica cosa, vivevano discretamente, ma poi dal 1991 tutto è cambiato.
«Il dramma della contesa dei territori inizia nel 2014, in un primo momento non si capiva cosa stava succedendo: la Crimea ad esempio diventava russa sotto forma di un referendum e la gente nel Donbass delle città di nascita di Luhansk e Donetsk si trovano in una situazione tra cielo e terra non facendo parte ne della Russia e nemmeno dell'Ucraina.
«In quel periodo iniziai a percepire una crisi identitaria, non capivo più chi fossi: ucraino o russo? Ma quando il popolo del Donbass decise di ribellarsi per spaccare la stabilità di quella regione mi resi conto dell’importanza delle mie origini ucraine e della mia contrarietà ai conflitti.»
 
«Nel 2016 mi recai nel Donbass a rinnovare il passaporto ucraino, nel breve soggiorno, ricordo che i media russi dicevano che i cittadini ucraini erano dei nazisti vittime di una un golpe organizzato dall'occidente.
«Ma, non tutti i cittadini del Donbass sia della città di Lugansk sia quella della provincia erano d'accordo con il fatto di unirsi alla Russia.»
«A quel tempo avevo 17 anni, ero un ragazzino come tanti altri, vivendo in Italia non tutti capivano la mia preoccupazione rispetto a quando succedeva nel mio paese di nascita.»
 

La casa di nascita Lungansk.
 
«Crescendo mi sentivo parte del processo, gli anni passavano ma la vicenda del Donbass, sembrava non avere una fine, sia il popolo russo che quello ucraino si stavano abituando all'idea di vivere in quella nuova realtà.
«Nel 2019 partecipai per la prima volta alle elezioni in Ucraina tramite il consolato di Napoli, in quell’occasione mi resi conto e non ci fu alcuna discriminazione nei miei confronti nonostante le mie origini russe.
«Questo mi fece comprendere che il popolo ucraino non aveva nulla contro la Russia, era la stessa propaganda russa a mettere il popolo l’uno contro l’altro.»
 

La Città Voronež (Russia).
 
«Il 2016 fu l'ultimo anno in cui visitai i parenti in Russia ed Ucraina pur rimanendo sempre in contatto con entrambi.
«Poi nel 2020 i miei genitori si separarono, mio padre ritornò a Voronez in Russia e mia madre è rimase con me in Italia.
«el 2021 ci siamo trasferiti da Salerno a Trento in cerca di una nuova vita e un futuro migliore.»
 

In Piazza Duomo a Trento.
 
«Il 24 febbraio 2022 i media annunciavano l’inizio della guerra, ma già a settembre del 2021 il presidente Biden avvisava l'Ucraina di un attacco da parte della Russia.
«Notizia che mi veniva comunicata da parenti russi che vivono in una cittadina della provincia di Voronezh distante 16 km dal confine ucraino, gli stessi vedevano dirigersi verso il confine numerosi carri armati.
«Inoltre tramite whatsApp veniva chiesto ai cittadini russi di preparare delle tende per accogliere un grande numero di rifugiati cittadini del Donbass.
«A gennaio 2022, nella mia città, non lontano dalle linee del fronte tra l'Ucraina e dalla zona separatista i nostri parenti sentivano degli spari. Pensavano ad un’altra guerra civile anche perché da mio padre in Russia, i media smentivano gli attacchi. Non era così, purtroppo!»
 

Gli amici di scuola.
 
«Prima del 24 febbraio, per tutti erano giornate come le altre dove nessuno avrebbe mai immaginato lo scoppio di una guerra.
«All’arrivo delle prime immagini di palazzi rasi al suolo, morti, feriti, carri armati non riuscivo a credere a ciò che sentivo e vedevo.
«Fin da subito la nostra preoccupazione più grande era per i parenti che vivevano in Ucraina, chiedevo continuamente a mia madre di aggiornarmi sulla situazione che per fortuna non ci vedeva coinvolti direttamente.»
 

L’aeroporto di Donetsk, prima e dopo.



«Le prime reazioni alla guerra in famiglia furono molto divisive. In primis la mia contrarietà alla violenza e nello specifico al fatto di uccidere la gente per interessi economici.
«Rispetto al mio pensiero alcuni familiari russi mi incolparono di tradimento verso la patria Russa, dicendomi che ero un nazista ucraino e che non avrei potuto più tornare da loro.
«Ma, tale condanna non rendeva giustizia, visto che sono un regolare cittadino ucraino cresciuto in Italia, come avrei potuto essere un traditore della patria!»
 
«Nel frattempo appresi con soddisfazione che non tutti i russi erano favorevoli al conflitto, alcuni scesero in piazza e iniziarono a protestare contro al governo a grande voce.
«Per informare i miei parenti russi, inviai le immagini dei media occidentali, ma gli stessi mi incolparono del fatto che per loro si trattava di fake news e mi bloccarono su whatsApp.»
«Nonostante tutto rimasi in contatto con mio padre che mi diceva che molti cittadini russi erano completamente impazziti dall'euforia di questa guerra e delle compensazioni economiche che il governo prometteva in cambio del loro sacrificio.»
 

La foto ricordo del papà.
 
«Mio padre essendo pacifista non si fece coinvolgere nella propaganda russa. Fu chiamato a partire per il fronte, essendo stato un militare in epoca sovietica (aveva prestato servizio militare nell'Ucraina Centrale) ma per fortuna riuscì a presentare un certificato falso di invalida che gli permise di non combattere contro i suoi amici ucraini.»
 
«Il pensiero a quello che stava succedendo al mio popolo mi rendeva di una tristezza e di una desolazione incredibile mi sentivo impotente. Ascoltavo i racconti dei parenti che mi chiamavano in vari modi possibili e immaginabili dicendomi che i russi promettevano ricchezze ma erano li ad uccidere, ed io qui in Italia pensavo come potevo rendermi utile.
«Mia madre manteneva i contatti con tutti i parenti per monitorare la situazione per tenermi aggiornato.»
 

Aiutiamo il popolo Ucraino.
 
«A marzo 2022 inizia a concretizzarsi l’azione umanitaria per la quale rischiavo di perdere la speranza, quella di fare qualcosa di concreto per la mia gente distrutta dalla guerra, nasce il progetto Aiutiamo il popolo ucraino che consisteva nella raccolta di beni di prima necessità.
«Grazie alla collaborazione di volontari, attivisti politici e rifugiati ucraini e russi abbiamo inviato generi alimentari, vestiario, medicine etc. al popolo ucraino stremato dal conflitto.»
 
«La cosa più gratificante di questa esperienza è stata quella di vivere in prima persona l’aiuto e la solidarietà dei trentini nei confronti del mio popolo.
«In questi due anni ho notato che ci sono ucraini che capiscono la situazione e che non se la prendono con quelli di origine russa che vivono qui in Italia ma ci sono anche quelli che odiano le persone russe indipendentemente dal loro vissuto.
In merito ai rifugiati provenienti dalla Russia ne ho notato di vari tipi, quelli che sono neutrali e non vogliono alzare l'argomento in nessuna maniera e non sentono nessuna responsabilità collettiva e altri invece che sono contrari alla dittatura e per questo hanno deciso di intraprendere una nuova vita in occidente.»


Qui e nelle foto seguenti, Luhansk oggi.
 
«Dal 2014 al 2022 nel Donbass la situazione era tale che molti avevano paura di raccontare al telefono quello che stava succedendo perché si sentivano spiati dalle forze dell'ordine delle repubbliche popolari, temevano di essere arrestati o di perdere la loro casa.
«Chi veniva scoperto con le bandiere o qualche altro simbolo ucraino veniva dichiarato terrorista.»
 

 
«Sono un ragazzo fortunato, vivo con la mia mamma, la persona più cara della mia vita, ma nello stesso tempo penso anche alle persone ai bambini e ai miei coetanei morti in guerra voglio fare qualcosa di più per loro per questo ho pensato ad un nuovo progetto chiamato Il testimonial per dare voce a tutte quelle persone vittime innocenti di una strage senza fine.
«Sono certo che il supporto psicologico sia fondamentale per poter lenire le cicatrici che la guerra lascia, inevitabilmente, a chiunque ne abbia fatto esperienza, come vittima, familiare, soldato o soccorritore che sia.»
 

 
«Con questo racconto vorrei ringraziare in primis i miei genitori che mi hanno portato via da quel territorio altrimenti avrei dovuto partecipare alla guerra per l'Ucraina o per la Russia.
«Stare sull'uno o sull'altro fronte per me equivale a mettere un pugnale contro me stesso.
«In questa guerra muoiono tutti senza distinzione. Il governo russo ha fatto morire prima i cittadini del Donbass e solo dopo i soldati giovani russi mandati al fronte contro l'Ucraina.»
 

 
Per la mia età mi sarei augurato e lo spero ancora, un ventunesimo secolo dove siamo noi giovani a scrivere la storia da Occidente a Oriente, una storia senza guerre, uniti nelle diversità in un clima di pace mondiale.
«Al momento purtroppo non è così, e si è aggiunta anche la guerra tra Israele e Hamas. Non ci rimane altro che combattere per un futuro migliore, come dice sempre la mia mamma: finché c'è vita c’è speranza!»

Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it

La video intervista a questo link.

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