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Il punto sulle malattie cerebrovascolari – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con la dottoressa Anna Cavallini, direttore SC Malattie Cerebrovascolari e Stroke della IRCCS e responsabile dell’UOSD della Stroke II IRCCS

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Istituita formalmente nel 1917 a Pavia, la Fondazione Mondino è il più antico istituto Neurologico Nazionale di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS).
Rappresenta il punto di riferimento nazionale e internazionale per la ricerca, la diagnosi e cura delle malattie cerebrovascolari, delle patologie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer e malattie del motoneurone), della sclerosi multipla, delle cefalee e dell’epilessia dell’adulto e dell’infanzia/adolescenza.
Gli ulteriori ambiti di elezione sono la neuropsichiatria infantile, le patologie neuromuscolari, i tumori cerebrali, la neuroftalmologia, la medicina del sonno, le disfagie neurogene, le malattie rare di interesse neurologico dell’adulto e del bambino.
 
Per quanto riguarda l'ictus ischemico le due tematiche principali sono rappresentate da: ruolo del neuroimaging avanzato (vessel wall MRI) nella diagnostica dell'ictus embolico a sorgente non determinata (ESUS) e ricerca di biomarcatori in fase acuta predittori di prognosi.
Mentre per l'ictus emorragico l’equipe di ricercatori sta lavorando sul ruolo dell’iperglicemia da stress e dell'infiammazione sistemica quali marcatori di prognosi e fattori di rischio di espansione dell'ematoma e dell'edema.
Ad oggi sono in corso studi multicentrici volti a valutare l'efficacia della trombectomia meccanica in emergenza in quelle aree grigie quali per esempio l’occlusione di M2, la disabilità pre-stroke di grado moderato, i grandi anziani e trial clinici sull’efficacia di nuovi farmaci nella prevenzione della recidiva nell’ictus ischemico non cardioembolico.
 
Di tutto questo ne parliamo direttamente con la dr.ssa Anna Cavallini direttrice della Stroke Unit di II livello IRCCS Policlinico San Matteo e Pavia, nella seguente intervista.

 Chi è la dottoressa Anna Cavallini  
Nel 1984 Anna Cavallini ha conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia e nel 1988 la specializzazione in Neurologia. Dal 1990 al 1996 è stata responsabile del Laboratorio di Informatica Medico-Scientifica presso la Direzione Scientifica dell’IRCCS C. Mondino. Dal 1996, all’apertura della Stroke Unit, ha lavorato come medico presso l’UC Malattie Cerebrovascolari del Mondino, nel 2001 le è stato assegnato l’incarico di alta specializzazione con attività di coordinamento e di qualificazione professionale del team multidisciplinare afferente alla Stroke Unit.

Nel 2007 è stata nominata Direttore dell’UC Malattie Cerebrovascolari e dal 1° giugno 2017 è anche responsabile della Stroke Unit di II livello Mondino-San Matteo collocata presso il DEA dell’IRCCS Policlinico San Matteo. Dal 1 novembre 2020, con l’accorpamento delle UC Malattie Cerebrovascolari e Neurologia d’Urgenza, riveste il ruolo di Direttore dell’UC Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit e di responsabile dell’UOSD Stroke Unit di II livello.

All’inizio della sua attività assistenziale e ricerca si è occupata di cefalee e disturbi del sistema nervoso vegetativo per poi dedicarsi alla patologia cerebrovascolare acuta a partire dagli inizi degli anni ’90. Ha partecipato a numerosi trial clinici e a progetti Finalizzati Ministero della Salute e Regione Lombardia nel campo della patologia cerebrovascolare e della neurologia d’urgenza. Ha collaborato alla realizzazione e implementazione del registro Stroke Regione Lombardia. Ha partecipato in qualità di relatore a numerosi convegni sulla patologia cerebrovascolare, le cefalee e i disturbi del sistema nervoso vegetativo.

E’ autore/co-autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali. E’ istruttore di simulazione avanzata in medicina e ha collaborato alla realizzazione di corsi di simulazione avanzata in neurologia d’urgenza e stroke. E’ stata professore a contratto della Scuola di Specializzazione in Neurofisiopatologia e della Scuola di Laurea per tecnici dei Neurofisiopatologia. E’ professore a contratto della Scuola di Specializzazione in Neurologia.

E’ membro di numerose società scientifiche nazionali e internazionali, socio fondatore dell’Associazione Neurologia dell’Emergenza-Urgenza (ANEU) all’interno della quale svolge attualmente il ruolo di tesoriere.



Dottoressa Cavallini, quali sono i principali disturbi cerebrovascolari?
«Disturbi cerebrovascolari è un termine generico che sta ad indicare tutte quelle condizioni che colpiscono i vasi sanguigni nel cervello. Cerebro si riferisce infatti al cervello e vascolare ai vasi sanguigni (arterie e vene).
«Le malattie cerebrovascolari possono causare una riduzione del flusso sanguigno al cervello (ischemia) o sanguinamento (emorragia) in una parte del cervello. Entrambe le condizioni sono generalmente definite ictus.
«Le malattie dei vasi sanguigni nel cervello possono portare a ictus, così come a molte altre patologie. Le alterazioni del flusso sanguigno possono essere determinate da un restringimento del lume del vaso (stenosi), della formazione di coaguli all’interno del vaso (trombosi), dall’ostruzione del lume del vaso da parte di un coagulo a partenza per esempio dal cuore (embolia) o dalla rottura della parete di un vaso (emorragia).
«Sia l’occlusione che la rottura di un vaso determinano l’insorgenza di un ictus che è la manifestazione clinica più frequente della patologia cerebrovascolare. Altre patologie cerebrovascolari sono per esempio le malformazioni arterovenose, i cavernomi, le fistole arterovenose, gli aneurismi cerebrali, le stenosi carotidee e la sindrome da vasocostrizione cerebrale reversibile.»
 
L’ictus cerebrale è tra le principali cause di mortalità e disabilità a livello globale che cos’è esattamente e quali sono i principali fattori e le persone più a rischio?
«L’ictus si distingue in ictus ischemico (85-87% dei casi), dovuto alla chiusura di un vaso più frequentemente un’arteria al collo o intracranico e più raramente una vena (trombosi venosa cerebrale), e l’ictus emorragico (13-15% dei casi) quando il vaso invece di chiudersi si rompe.
«Colpisce a qualsiasi età sia gli uomini che le donne anche se l’età avanzata è sicuramente un importante fattore di rischio non modificabile così come la familiarità. I fattori di rischio più comuni sono il fumo, l’eccessivo consumo di alcol, l’ipertensione arteriosa, il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia e la fibrillazione atriale.
«La mortalità per ictus è più alta nel sesso femminile per la maggiore aspettativa di vita, si stima che nel 2050 la mortalità sarà del 30% più alta nelle donne dove, già ora, rappresenta la terza causa di morte quando negli uomini è la quinta. Inoltre nel sesso femminile l’epidemiologia dell’ictus, i fattori di rischio, le caratteristiche cliniche e prognostiche sono modulate sui cambiamenti della vita riproduttiva.
«Nelle giovani donne l’ictus ha una incidenza maggiore per la presenza di fattori di rischio peculiari quali emicrania con aura, terapia estroprogestinica, gravidanza e puerperio. Nell’età intermedia gli estrogeni endogeni possono svolgere un ruolo protettivo e l’incidenza dei fattori di rischio vascolare è più basso così la frequenza di ictus è più elevata negli uomini.
«Con la menopausa, la terapia ormonale sostitutiva e il frequente incremento ponderale, che favorisce lo sviluppo dell’ipertensione arteriosa e della sindrome metabolica, determinano un progressivo incremento del rischio di ictus. Infine, nell’età più avanzata nel sesso femminile vi è un aumento di frequenza della fibrillazione atriale che di per sé è in grado di aumentare di circa 5 volte il di ictus ischemico.»
 
Avete riscontrato un aumento di casi negli ultimi anni, se sì in quali fasce di età?
«L’ictus rimane ancora la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità. A livello mondiale dal 1990 al 2019 la sua incidenza è passata dal 67 al 73% e la sua prevalenza dall’83 all’88%, con un significativo aumento nella fascia di età inferiore a 70 anni, aumento che è diventato più rapido a partire dal 2010.
«Questi dati suggeriscono che le attuali strategie e misure di prevenzione primaria dell’ictus non sono sufficienti e che gli sforzi per implementare strategie di prevenzione primaria a livello di popolazione devono essere rafforzati.
«Va poi ricordato che un trend in aumento sia dell’incidenza che della prevalenza dell’ictus è stato osservato anche nei soggetti di età<14 anni a sottolineare la necessità di interventi mirati di prevenzione primaria anche in questa fascia d’età.
«La mortalità per ictus ha presentato, almeno nei paesi industrializzati, un lieve progressivo declino da mettere verosimilmente in relazione con l’avanzamento delle terapie disponibili nella fase iperacuta dell’ictus ischemico.»
 

 
Che differenza c’è tra ictus ed ischemia?
«Il termine ictus indica sia la forma ischemica che quella emorragica e spesso viene anche detto stroke. Alla parola ictus viene poi aggiunto il termine ischemico o emorragico per caratterizzarne la causa, da ostruzione o rottura del vaso.
«Con ischemia si intende invece la solo forma dovuta ad occlusione del vaso. L’ictus ischemico o ischemia può poi essere transitorio (attacco ischemico transitorio o TIA) quando i sintomi durano meno di 24 ore, solitamente meno di 60 minuti perché dopo l’ora aumentano progressivamente le probabilità che l’occlusione del vaso abbia determinato un danno definitivo del tessuto cerebrale visibili con la TAC o ancora meglio con la Risonanza Magnetica.»
 
Cosa succede in caso di Ictus? Quali sono i primi segnali d’allarme e successivi sintomi?
«L’ictus si caratterizza per la comparsa improvvisa di sintomi che vengono definiti focali in quanto rispettano le caratteristiche delle aree del cervello irrorate dal vaso che si è chiuso.
«I sintomi più frequenti sono: improvvisa perdita di forza/sensibilità ad una parte del corpo (faccia e/o braccio e/o gamba), difficoltà a parlare o a capire quello che viene detto, perdita della visione parziale o totale in uno o entrambi gli occhi.
«Nel sesso femminile sono più frequenti sintomi d’esordio atipici o rari quali nausea e vomito, convulsioni, singhiozzo, difficoltà respiratorie, dolore, astenia generalizzata, perdita/alterazioni dello stato di coscienza (confusione, disorientamento, non responsività, allucinazioni, agitazione) che rendono più difficile la diagnosi.
«Nell’ictus ischemico un sintomo d’allarme è la comparsa di sintomi focali di breve durata e a risoluzione spontanea (TIA) che possono ripetersi a breve intervallo di tempo e preludere alla comparsa di un ictus ischemico nei giorni successivi e che quindi necessitano una valutazione neurologica urgente.
«Anche una cefalea molto intensa, ad esordio improvviso e scarsamente responsiva agli analgesici può rappresentare un campanello d’allarme, questa volta per un ictus emorragico in particolare un’emorragia subaracnoidea. Anche in questo caso è necessaria una immediata valutazione neurologica.
«Riconoscere i sintomi di un ictus e chiamare immediatamente il 118 è molto importante perché il tempo è cervello ogni 15 minuti risparmiati il rischio di morte e di disabilità si riduce del 4%!
«Attualmente per l’ictus ischemico abbiamo a disposizione trattamenti per la fase acuta quali la trombolisi sistemica e la trombectomia meccanica in caso di occlusione di un grosso vaso. Questi interventi possono essere eseguiti entro 24 ore dall’esordio dei sintomi, in particolare la trombolisi sistemica entro 9 ore e la ricanalizzazione meccanica fino a 24 ore in soggetti adeguatamente selezionati anche utilizzando esami neuroradiologici più avanzati, quali la TC perfusione, in grado di distinguere tra tessuto cerebrale non più recuperabile (core ischemico) e quello non funzionante ma recuperabile (penombra ischemica).
«Il tempo di intervento rimane comunque un elemento chiave in quanto più tempo passa dall’esordio dei sintomi e maggiore sarà la porzione di cervello non recuperabile rispetto a quella recuperabile. »
 
Quali sono le complicanze a seguito di ictus?
«Nei primi giorni dopo un ictus le complicanze più frequenti sono quelle cardiache e quelle neurologiche, nei giorni successivi prevalgono quelle infettive in particolare a livello polmonare.
«Il ricovero in reparti dedicati, le Stroke Unit, garantisce un’assistenza ottimizzata al paziente riducendo del 25% il rischio di morte e/o disabilità residua.
«I punti di forza di queste strutture sono la presenza di personale medico, infermieristico e di un’équipe riabilitativa multidisciplinare adeguatamente addestrati alla cura di questi pazienti e l’approccio multidisciplinare.
«Il monitoraggio in continuo dei parametri vitali garantisce un precoce riconoscimento delle complicanze e un loro tempestivo trattamento, l’applicazione rigorosa di scale di screening per l’individuazione di disturbi della deglutizione e per la prevenzione delle trombosi venose profonde/embolia polmonare riducono significativamente il rischio di eventi avversi.
«La mobilizzazione precoce, infine, riduce il rischio di lesioni da decubito e favorisce il recupero funzionale. Una particolare attenzione viene anche dedicata ai disturbi della comunicazione, con interventi anche educazionali per aiutare il paziente a superare le difficoltà, e a quelli dell’umore.
«Il paziente con ictus si ritrova improvvisamente a vivere limitazioni pesanti sia da un punto di vista motorio che di comunicazione che hanno un forte impatto negativo sulla sua visione di sé e anche sugli aspetti relazionali.
«Aiutare il paziente, con interventi farmacologici e di supporto psicologico, ad affrontare al meglio questa nuova realtà è molto importante non solo per la sua qualità della vita ma anche perché una depressione reattiva influenza negativamente la sua partecipazione agli interventi riabilitatavi limitandone l’efficacia.»



Come possiamo prevenirlo?
«Si ritiene che circa l’80% degli ictus sia prevenibile con un adeguato controllo dei fattori di rischio sia farmacologico che intervenendo sullo stile di vita. Il sovrappeso, la vita sedentaria e una dieta ricca di grassi e di sale, il fumo di sigaretta e l’eccessivo consumo di alcolici sono tutti fattori in grado di aumentare il nostro rischio.
«È importante svolgere un’attività fisica regolare (anche solo una camminata di 30 minuti al giorno a passo veloce), sospendere il fumo e non bere più di 1-2 bicchieri di vino al giorno. La dieta deve poi essere povera di carni rosse, limitata nell’assunzione di formaggi e povera di sale prediligendo le carni bianche, i pesci magri, la frutta e la verdura.
«Dobbiamo controllare il nostro peso e mantenerlo nella norma anche eventualmente facendoci aiutare da un dietologo. La pressione va controllata regolarmente, meglio se con un apparecchio in grado anche di identificare un eventuale polso aritmico, se maggiore di 130/80 mmhg ci si deve rivolgere al proprio medico.
«Almeno 1 volta all’anno, o più frequentemente se il medico lo suggerisce, vanno controllati i livelli di grasso e zuccheri nel sangue. In particolare il livello di colesterolo LDL, quello cattivo, deve essere mantenuto <70 mg/dl inizialmente adeguando la dieta e se non sufficiente, inserendo una terapia farmacologica.
«Eventuali altri accertamenti dovranno essere valutati dal medico, per esempio lo studio ecografico delle arterie che portano il sangue al cervello.
«Se si ha già avuto un ictus è fondamentale essere assolutamente rigorosi nell’assunzione dei farmaci non effettuando variazioni se non su indicazione del medico ed effettuare tutti i controlli strumentali prescritti.»
 
Riguardo l’ictus, quale percorso è possibile attivare presso la Stroke Unit da lei diretta?
«La nostra Stroke Unit è in grado di garantire la completa presa in carico del paziente dalla fase dell’emergenza in Pronto Soccorso ai controlli a lungo termine per prevenire le recidive. Ai pazienti con ictus ischemico acuto entro 24 ore dall’esordio dei sintomi sono garantite le terapie di ricanalizzazione, sia la trombolisi che la trombectomia meccanica.
«Nell’ictus emorragico attuiamo tutti gli interventi necessari per ridurre il rischio di espansione dell’ematoma e siamo in grado di garantire gli interventi neurochirurgici e/o endovascolari se indicati. Durante il ricovero in Stroke Unit, oltre a mettere in atto tutte le procedure necessarie per ridurre il rischio di complicanze e per garantire un loro tempestivo controllo, sottoponiamo il paziente alle indagini diagnostiche più avanzate per definire la causa del suo ictus ed impostare una terapia di prevenzione personalizzata.
«Nel corso del ricovero vengono attuati interventi educazionali sia per il paziente che per i familiari per supportarli al meglio nell’affrontare i problemi connessi con l’evento. Gli interventi riabilitativi vengo iniziati entro 48 ore dal ricovero.
«Alla dimissione concordiamo con il fisiatra le necessità riabilitative al fine di garantire il percorso riabilitativo più indicato. Al paziente viene organizzato, al momento della dimissione, il percorso successivo per garantire un accesso nei tempi previsti alle visite neurologiche di controllo e agli eventuali accertamenti strumentali necessari.
«Abbiamo poi un percorso dedicato ai pazienti che necessitano di ulteriori approfondimenti per meglio definire i meccanismi responsabili di un precedente evento cerebrovascolare o di un quadro di danno vascolare identificato alle neuroimmagini.
«Ci occupiamo di determinare il possibile ruolo patogenetico del forame ovale pervio e di identificare quei casi che necessitano di essere sottoposti alla sua chiusura percutanea e della identificazione e classificazione clinica dell’angiopatia amiloide cerebrale, della quantificazione del rischio emorragico e dell’identificazione di interventi terapeutici mirati.
«Queste attività, dedicate a pazienti non acuti, possono svolgersi o in regime ambulatoriale o di ricovero. E’ comunque sempre necessaria una visita neurologica iniziale per definire la presa in carico più adeguata.»
 

 
Come si fa la diagnosi e quali sono i trattamenti e le terapie per l’ictus?
«La diagnosi è inizialmente clinica, basata sui segni e sintomi presenti, ma successivamente necessita del supporto delle neuroimmagini per distinguere l’ictus ischemico da quello emorragico e per definire tipo e sede della/delle lesioni e presenza assenza di altro danno cerebrovascolare.
«Nella fase dell’emergenza si utilizza principalmente la TAC, per il controllo durante il ricovero è preferibile utilizzare la Risonanza Magnetica che fornisce informazioni più utile nella definizione della causa dell’ictus. Vanno poi valutati i vasi intra ed extracranici con l’angio-TAC, angio-RMN o ecocolor doppler tronchi sovraortici e doppler transcranico.
«Gli esami ematochimici, in particolare glicemia ed emoglobina glicata e quadro lipidico completo sono necessari per l’identificazione di eventuali fattori di rischio. In casi selezionati, soprattutto nei soggetti più giovani, si esegue uno screening per i disturbi della coagulazione.
«È necessario effettuare un monitoraggio ECG della durata di ameno 24 ore e un ecocardiogramma transtoracico. Nel sospetto di embolia paradossa la presenza di un forame ovale pervio può essere esplorata inizialmente con il doppler transcranico e, se l’esame è positivo, andrà eseguito un’ecocardiogramma transesofageo per valutare le sue caratteristiche anatomiche necessarie per definire il suo reale ruolo patogenetico
«L’ecocardiogramma trans esofageo consente anche di identificare una patologia ateromasica emboligena dell’arco aortico o la presenza di trombi in auricola. In casi selezionati potrà essere necessario sottoporre il paziente a angio-RMN encefalo con studio di parete, angiografia cerebrale, angio-TC torace, esame del liquor, screening per patologia tumorale non nota.
«Nel sospetto di patologia cerebrovascolare monogenica sarà necessario effettuare un consulto multidisciplinare con il genetista per definire il pannello di geni da analizzare, un colloquio psicologico e quindi procedere all’esecuzione dell’indagine genetica.
«La terapia di prevenzione secondaria dell’ictus ischemico prevede sempre un trattamento antiaggregante o anticoagulante. La terapia antiaggregante è indicata per le forme non-cardioemboliche e prevede l’uso di un solo antiaggregante, più frequentemente l’aspirina un dosaggio variabile da 100 a 300 mg die. In casi particolari e per un periodo di tempo breve può essere indicata la prescrizione di una terapia con due anti-aggreganti (aspirina e clopidogrel).
«Nell’ictus cardioembolico è indicata la terapia anticoagulante che, a seconda della sorgente emboligena, può essere attuata con gli anticoagulanti vitamina K dipendenti o gli anticoagulanti diretti.
«In casi specifici quali ictus da embolia paradossa per forame ovale pervio ed età inferiore ai 60 anni si provvederà alla chiusura percutanea del forame ovale, ictus da ateromasia dei vasi extracranici con stenosi >70% o placca ad elevato potenziale emboligeno potrà essere necessario sottoporre il paziente a tromboendoartectomia carotidea oppure a posizione di stent. Infine nell’ictus cardioembolico da fibrillazione atriale con controindicazione alla terapia anticoagulante orale potrà essere necessario procedere con la chiusura percutanea dell’auricola.
«Alla terapia antitrombotica vanno sempre associati gli interventi farmacologici e non indicati per il corretto controllo dei fattori di rischio.
«Nell’ictus emorragico in presenza di malformazioni vascolari sarà necessario provvedere alla loro correzione o neurochirurgica o endovascolare. Nell’emorragia intraparenchimale in sede tipica che riconosce nell’ipertensione arteriosa la causa principale sarà necessario instaurare un’adeguata terapia antipertensiva in associazione con la correzione degli altri eventuali fattori di rischio presenti.»
 
A che punto siete con la ricerca?
«Negli ulti anni la ricerca nel campo delle malattie cerebrovascolare ha raggiunto importanti traguardi soprattutto nella gestione dell’ictus ischemico in fase acuta che ha consentito di modificare significativamente la prognosi di questi pazienti.
«Si sta lavorando molto per cercare di arrivare a una più precisa definizione eziopatogenetica dell’ictus ischemico, campo in cui il nostro Istituto sta attivamente lavorando per arrivare a una medicina sempre più di precisione con l’obiettivo di arrivare ad un approccio sartoriale adattato al profilo del singolo paziente.
«Per esempio noi stiamo lavorando per definire la durata necessaria della doppia antiaggregazione nell’ictus aterotrombotico da placca intracranica instabile utilizzando l’angio-RMN con lo studio di parete in quanto in grado di identificare le placche ancora instabili rispetto a quelle spente. Questo consentirebbe di garantire al paziente la massima protezione minimizzando il rischio di eventi emorragici.
«Un’altra necessità senza risposta è quella della definizione della prognosi in fase acuta per poter identificare fin da subito le prospettive di recupero e le necessità del singolo paziente. Il pannello di biomarcatori che stiamo valutando in questo momento va in questa direzione e ad oggi i dati sono molto promettenti.
«Infine vi sono svariati trial clinici in corso che hanno l’obiettivo di ampliare il numero di farmaci antitrombotici a disposizione per ridurre quel 30% di recidive ischemiche che ancora gravano sulla storia naturale di questi pazienti.
«L’emorragia cerebrale intraparenchimale è sicuramente la cenerentola delle patologie cerebrovascolari in quanto ad oggi non abbiamo a disposizione alcuna terapia specifica. In questa forma il rischio di una prognosi negativa è principalmente trascinato dall’espansione dell’ematoma nelle prime ora dopo l’esordio dei sintomi.
«Tanti sforzi si stanno facendo per cercare di identifica re quali pazienti sono effettivamente a rischio di espansione.
«Noi, in collaborazione con il laboratorio di Informatica Biomedica, dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia, stiamo studiando l’utilità di applicare strategie di eXplainable AI alle immagini della TAC cerebrale eseguita in emergenza al fine sviluppare un sistema automatico di lettura dei predittori neuroradiologici di espansione dell’ematoma facilmente interpretabili dall’utente clinico finale e quindi utilizzabili nella comune pratica clinica.
«I dati di radiomica vengono integrati con i dati clinici e le concentrazioni sieriche di biomarcatori selezionati per meglio caratterizzare il rischio di espansione con l’obiettivo di realizzare un modello prognostico della fase acuta più preciso e accurato ritagliato sulle specifiche caratteristiche del singolo paziente.»
 
Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it
Dott.ssa Anna Cavallini
Direttore UO Neurologia d'Urgenza e Stroke UnitIRCCS
Fondazione Mondino-IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia https://www.mondino.it/

Video-intervista

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