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DNA e distrofie retiniche – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con dott. Andi Abeshi, giovane ricercatore in servizio presso il reparto di oculistica dell’Ospedale San Paolo di Milano

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Prosegue il nostro viaggio di esplorazione nel mondo della ricerca medica in Italia: un argomento quanto mai serio e delicato, in particolare nel nostro Paese dove la ricerca è affidata quasi esclusivamente a realtà private e che nei prossimi anni potrebbe vedere risultati straordinari per il miglioramento della nostra salute.
Basti pensare che i trattamenti di oggi considerati di routine (come la chemioterapia, i trapianti di organi, cure retrovirali per malattie come l’Aids) erano impensabili 20 o 30 anni fa, ma oggi grazie ai farmaci e tecniche salvavita hanno reso innocue, o comunque arginabili, malattie che un tempo corrispondevano ad una vera e propria condanna a morte.
Tutto questo ora è possibile grazie a migliaia di giovani scienziati che dopo innumerevoli tentativi e anni di studio riescono a scovare quel gene, quel batterio, quel composto chimico, che ribalta per sempre la nostra visione della salute umana.
 
Ma la storia non la fanno solo le grandi scoperte: l’invenzione dei raggi X o la scoperta del DNA sono state clamorose, ma dietro queste svolte nel mondo della scienza si nascondono anni di ricerche, fallimenti, false piste, centinaia di anonimi studiosi che hanno speso anni e anni della loro vita magari senza mai raggiungere un risultato, ma sapendo di aver contribuito ad avvicinarsi all’obiettivo.
Per questo motivo il soggetto del progetto di ricerca di cui parleremo oggi potrebbe sembrare minimo, una minuzia nel grande panorama della scienza, ma in realtà soprattutto nella ricerca genetica (quindi legata al nostro patrimonio genetico, al DNA, al linguaggio con cui è scritta la vita) sono questi piccoli traguardi a fare la differenza.
  

 
Andi Abeshi è un giovane ricercatore albanese di stanza al reparto di oculistica dell’Ospedale San Paolo di Milano diretto dal prof Luca Rossetti ed è inserito in un team di ricerca tra il reparto e il laboratorio di genetica medica.
Il progetto su cui lavora il dottor Abeshi consiste nello studio delle distrofie retiniche in particolare le loro caratteristiche molecolari a livello del DNA e la cosiddetta correlazione clinica, ovvero caratteristiche come l’età di esordio, la gravità, l’associazione con altri sindromi o la predominanza in qualche popolazione.
Su queste malattie dell’occhio, e in particolare della retina, il gruppo di ricercatori MAGI ha già su internet e in forma cartacea, un manuale, il primo in Italia, composto da diversi articoli scientifici per ogni malattia genetica oculare (vedi).
 
Un esempio di quanto scoperto dagli studi del giovane ricercatore, e dei suoi colleghi, si trova nell’ultimo studio pubblicato che dimostra come i fratelli affetti dalle stesse mutazioni hanno una progressione molto variabile negli anni della malattia oculare, portando a pensare che un DNA simile non comporti una progressione identica della malattia.
Recentemente Abeshi sta studiando diversi temi legati alle distrofie retiniche, come la correlazione tra le varie tipologie delle mutazioni nel gene USH2A, le retinopatie autoimmuni, la scoperta di un nuovo gene malattia e la scoperta di una nuova mutazione unica in tutto il mondo per le distrofie retiniche.

 Chi è il dott. Andi Abeshi
Nato in Albania nel 1991, finisce il liceo scientifico a Tirana per conseguire poi la laurea a pieni voti presso l'Università «Nostra Signora del Buon Consiglio» a Tirana - Tor Vergata, Roma e l'abilitazione presso l'Università degli studi di Bologna Alma Mater Studiorum.
Dal 2017 inizia un percorso di formazione clinica e scientifica sullo studio genetico delle distrofie della retina, presso il laboratorio MAGI di Rovereto e l'ospedale San Paolo di Milano.
Attualmente ricercatore per lo studio delle malattie rare e genetiche con particolare interesse per le malattie ereditarie della retina, cardiovascolari e uditive.

Dottor Abeshi quali sono le più importanti ricerche che lei e il gruppo di Milano state svolgendo?
«Il nostro gruppo è specializzato per lo più nello studio delle distrofie retiniche (DR), in altre parole malattie generalmente ereditarie della retina con evoluzione progressiva verso la perdita parziale o totale della vista. Le DR sono un gruppo di malattie composte da più di 35 entità cliniche e ognuna può essere causata da diversi geni.
«La nostra ricerca si focalizza su diversi aspetti e in particolare sullo studio dell’entità clinica più frequente, la Retinite Pigmentosa (RP). Aspetti principali riguardano lo studio di nuovi geni causativi, gravità clinica, interposizione di altri fattori non genetici, ruolo degli integratori e potenziali terapie. In particolare recentemente stiamo studiando le differenze cliniche e genetiche tra RP e una forma più complessa di RP definita sindrome di Usher II.
«Altro ambito d’interesse è lo studio e creazione di una casistica per la sindrome di Bardet Biedl, malattia anch'essa complessa e rara che si esprime con una moltitudine di sintomi clinici tra cui anche con distrofia retinica di grado variabile.
«Oltre alle distrofie ereditarie, ci sono anche quelle acquisite, come le forme autoimmuni. L'oggetto principale di studio è di trovare un marker sierologico per queste forme e quindi diagnosticarle attraverso un esame semplice del sangue.
«Per tutte le malattie ereditarie noi siamo in continua ricerca per nuovi geni malattia e mutazioni e ultimamente siamo in fase di pubblicazione di una nuova mutazione per un raro disordine genetico definito malattia di Oguchi.
«Infine stiamo lavorando anche per un progetto molto interessante che riguarda l'utilizzo dell’estratto di una pianta endemica del mio paese di origine del genere Sideritis, la quale secondo una ricerca bibliografica sembrerebbe abbia potenziali effetti terapeutici sulle DR.»
 

 
Ci spiega meglio che cos’è la distrofia retinica? Si tratta di una malattia rara o comune?
«Innanzitutto non si tratta di un’unica malattia, ma di un gruppo di disordini ereditari che colpiscono i fotorecettori e l'epitelio pigmentato della retina, portando a perdita graduale della vista. Nell'ambito delle distrofie rientrano numerose entità cliniche, alcune abbastanza note e altre meno note.
«Le forme gravi e chiaramente ereditarie, la retinite pigmentosa (RP) e varie degenerazioni maculari (parte centrale della retina), colpiscono circa 1 persona su 3.000. I pazienti con RP presentano campi visivi restringenti e cecità notturna, mentre quelli con malattie della macula perdono prima la visione centrale.
«Anche prima dell'avvento della genetica molecolare era evidente che si trattava di disordini eterogenei, con ampie variazioni di gravità, modalità di ereditarietà e fenotipo.
«Tuttavia, con l'applicazione varie tecniche di rilevamento delle mutazioni, è stata ora rivelata una complessa patologia sottostante. In totale, più di 66 diversi geni sono stati implicati nelle varie forme di distrofia retinica, con più segnalazioni regolari in letteratura.
«La RP viene classificata in forme non sindromiche e sindromiche. Nelle forme non sindromiche, i sintomi sono esclusivamente oculari. Invece le forme sindromiche si presentano anche con altri sintomi extraoculari, come la sindrome di Usher che si associa con perdita dell’udito, la sindrome di Bardet Biedl, la Nefronoftisi etc.
«Le distrofie retiniche ereditarie sono una delle principali cause di perdita grave della vista, con un profondo impatto sui pazienti e sulla società. Singolarmente, ogni forma di distrofia rappresenta una malattia rara, pero insieme comportano una frequenza non trascurabile nella popolazione generale.»
 

 
In che modo la ricerca scientifica sta lavorando per risolverla?
«La gestione clinica delle DR è concentrata sulla diagnosi e sulla consulenza genetica specializzata. Le opzioni terapeutiche ad oggi sono limitate e un ruolo importante lo ricopre la riabilitazione visiva optometrica (ad es. l’uso di ausili per l'ipovisione).
«Sebbene ad oggi le terapie siano limitate, i progressi significativi verso le strategie terapeutiche per le distrofie hanno segnato gli ultimi due decenni.
«Questi progressi si sono basati su una migliore comprensione dei percorsi fisiopatologici e dei progressi tecnologici.
«I progressi nelle tecnologie delle cellule staminali, del riparo con la metodica CRISPR) / Cas9 o sostituzione dei geni tramite i vettori virali, sono i fattori catalizzatori nello sviluppo di terapie geniche o altri opzioni terapeutiche per le DR.
«Ci si aspetta che i miglioramenti nelle tecnologie diagnostiche e nella comprensione della patogenesi molecolare diminuiscano il tempo necessario per raggiungere una diagnosi molecolare e quindi inizino un trattamento prima della ulteriore progressione della malattia.
«Ad esempio, gli studi clinici sulla terapia sostitutiva del gene RPE65 somministrata tramite vettori virali hanno mostrato risultati promettenti nei bambini affetti da Amaurosi congenita di Leber seguiti per tre anni dopo il trattamento, tutti con miglioramenti della funzione dei fotorecettori.
«Nei pazienti con malattia in fase avanzata, è probabile che un approccio di terapia genica non sia altrettanto efficace a causa dell'estensione del deterioramento. In questi casi, è probabile che una sostituzione cellulare o un approccio con impianto retinico sia più appropriato, in quanto le cellule staminali o una protesi visiva vengono posizionate sulla retina degenerata.
«Gli impianti o le protesi retiniche, a volte indicati come occhi bionici, sono un'area che viene attivamente esplorata con il potenziale di trattare le DR. I pazienti portano questi dispositivi elettronici inseriti nella retina e utilizzano la restante rete neurale intatta per trasmettere i segnali ai centri visivi del cervello. Il rilevamento della luce viene eseguito tramite un microchip inserito nel campo visivo centrale o periferico.
«A causa della natura piuttosto intrusiva della chirurgia richiesta, le applicazioni sono spesso limitate a preservare qualsiasi visione residua che il paziente possa avere.»
 

 
Quali sono le prospettive per il futuro?
«Per le malattie genetiche in generale la prospettiva più sicura è quella della prevenzione, la quale con i mezzi d'oggi e fattibile e in molti casi basta fare il test genetico. Risulta di fondamentale importanza la consulenza genetica familiare specialmente quella preconcezionale, cioè prima di intraprendere una gravidanza.
«Invece riguardo le terapie specifiche, sebbene la questione sia molto complessa proprio per il coinvolgimento di tanti genti, la cosiddetta eterogenicità, e altri fattori definiti epigenetici, abbiamo qualche terapia approvata e tanti altri studi clinici in corsi che potenzialmente possono arrivare a una conclusione.
«La più promettente delle tecnologie è la metodica CRISPR / Cas9 la quale modifica il genoma attraverso l'induzione di rotture del doppio filamento e la successiva riparazione in sede.
«Ciò è particolarmente importante in quanto impedisce livelli di espressione scorretti o inappropriati del gene appena modificato. Recentemente, la specificità dell'approccio della tecnica CRISPR / Cas9 è stata migliorata proprio a Trento.
«L'applicazione del CRISPR / Cas9 in combinazione con le tecnologie delle cellule staminali aprirà probabilmente la strada alla medicina di precisione e catalizzerà la futura comprensione e trattamento delle malattie genetiche.
«Si prevede che il futuro sarà della terapia individualizzata, in cui al paziente li viene raccolto un campione di sangue e una frammento di cute per identificare la mutazione e generare una linea cellulare di fibroblasti.
«Una volta identificata la mutazione, è possibile osservare l'effetto della terapia e delle opzioni di trattamento nella linea cellulare dei fibroblasti estratti dalla cute.
«In malattie genetiche altamente eterogenee come le DR, dove la causa genetica sottostante è molto probabile che sia unica, questo approccio è una delle vie più promettenti per la ricerca e l'esplorazione future.»
 
Ci parli ora di lei: come è approdato a lavorare per MAGI? E come descriverebbe la vita da ricercatore?
«Direi che è stato per puro caso. Io mi sono laureato presso l'Università cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana e uno dei miei ex professori, dott Natale Capodicasa, mi ha informato di questa opportunità. Sebbene si trattasse di un campo su cui io avevo poche conoscenze, ho deciso di presentarmi al colloquio e l'ho vinto.
«La vita da medico ricercatore è un po’ diversa da quella del clinico tradizionale che ha contatto quotidiano con il paziente e le malattie. C’è molto meno clinica, però ti offre più possibilità di crescita professionale accademica.
«Completare una ricerca è difficile, ma è anche un processo molto gratificante. Ho lavorato a più progetti di ricerca su più argomenti nel corso di questo periodo, il che mi ha sfidato intellettualmente e creativamente, ha ampliato la mia prospettiva su molte questioni e mi ha reso più appassionato nei miei campi di studio.
«Non è sempre facile spiegare cosa mi occupo esattamente. Ma mentre alcune persone potrebbero pensare che facciamo fantascienza, in realtà stiamo studiando malattie rare che seppur rare individualmente, in totale comportano una prevalenza paragonabile a una malattia comune.
«Spesso pubblichiamo articoli di ricerca su riviste scientifiche cui la maggior parte delle persone non sa l'esistenza. Come ricercatori, cerchiamo sempre di imparare da ciò che accade sul campo, in pratica e amiamo discutere il nostro lavoro con chiunque sia interessato, specialmente con i pazienti i quali trovano nella nostra ricerca un filo di speranza per la risoluzione della loro malattia.»


La Dott.ssa Giulia Torregrossa, specializzanda in oftalmologia; il Dott. Paolo Ferri, responsabile del centro Ipovisione e Riabilitazione Visiva; il Dott Leonardo Colombo, responsabile del centro Distrofie Retiniche; la Dott.ssa Flavia Bancheri, ortottista specialista in distrofie retiniche; il Dott. Andi Abeshi, ricercatore nell'ambito delle distrofie retiniche.

Lei è di origine albanese. Che differenze ha trovato tra il mondo accademico del suo Paese d’origine e dell’Italia?
«Senza dubbio esiste una grande differenza e le cause sono tante. La ricerca in Albania è modesta e in alcuni casi anche di qualità non proponibile per il mondo accademico. Negli ultimi anni si sta cercando di migliorare la condizione anche grazie al rientro di giovani accademici laureati all'estero nei centri più prestigiosi d'Europa.
«Si tratta della mia stessa aspirazione, quella di conseguire una formazione professionale e accademica in Italia per poi dare il mio contributo allo sviluppo della ricerca nel mio paese. Auspico che le pubblicazioni attuali e quelle future possano aprire la strada verso per diventare uno specialista per le malattie rare.
«Grazie a questa esperienza di ricerca scientifica con MAGI e alla collaborazione con il centro di distrofie retiniche, ho avuto l'opportunità di aiutare alcuni connazionali affetti dalle DR che non erano riusciti ad avere diagnosi o informazioni in merito a queste malattie nel nostro paese.
«In un caso concreto abbiamo aiutato una famiglia da una zona molto povera albanese e attraverso il test genetico e consulenza pre e post test siamo riusciti a fornire una diagnosi genetica definitiva.»

Consiglierebbe ad un giovane di intraprendere la carriera della ricerca?
«Dipende molto dalle aspettative individuali. La maggioranza dei giovani medici è orientata per lo più verso le materie cliniche.
«La ricerca offre ai giovani professionisti l'opportunità di conoscere qualcosa che li interessa maggiormente e di prendere in considerazione il pensiero, la scoperta e l'innovazione nel loro campo di studi.
«Nel mio caso, la ricerca nell’ambito delle DR mi ha permesso di esplorare le implicazioni nella clinica quotidiana della genetica e biologia molecolare.
«Con abbastanza pensiero e sforzo investiti nella ricerca e nell'obiettivo, la ricerca può essere coinvolgente e gratificante anche perché ti permette di fondare un CV solido grazie alle pubblicazioni ed in tempo più breve rispetto a una carriera professionale tradizionale.
«Pertanto consiglio a tutti i giovani professionisti specialmente a chi desidera perseguire una carriera accademica di considerare importante l'ambito della ricerca proprio per i vantaggi che comportano le pubblicazioni scientifiche nella vita professionale.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it

Dott. Andi Abeshi - genetica.clinica@assomagi.org 
Ambulatorio Distrofie retiniche - distrofie.retiniche.hsp@asst-santipaolocarlo.it

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