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Come sarà il mondo culturale dopo la crisi del Covid-19?

Ne abbiamo parlato con Alfredo Giacchetto, Cultural Manager – Di Nadia Clementi

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L’intero Paese, impegnato a combattere una guerra durissima nei confronti di un nemico invisibile e terribile.
Un nemico che costringe il mondo culturale così come quello politico, industriale e produttivo in generale, a trovare soluzioni nuove per andare comunque avanti, tra telelavoro, concerti sui balconi e in streaming, nell’attesa di ritornare a riempire di nuovo i nostri teatri, le nostre sale da concerto, i nostri musei, i nostri festival.
Come sarà il mondo culturale dopo la crisi del Covid-19? Sarà certamente diverso. Ma come? In che direzione andrà il cambiamento? A fronte di queste domande, alcuni ricordano che ogni crisi ha in sé delle possibilità. E che, anche in questo caso, dovremmo riconoscerle e svilupparle.
Ne parliamo insieme con il Cultural Manager Alfredo Giacchetto. Nato a Catania nel 1988, ha studiato Comunicazione nella sua città ed Economia e Management Culturale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha vissuto e lavorato fino al 2016.
È stato coordinatore arti visive per un festival internazionale a Taormina ed è esperto di organizzazione di mostre d’arte e nuove tecnologie per i beni culturali. Attualmente vive nel Gargano, in Puglia, dove dirige il Museo Storico dei Pompieri e della Croce Rossa Italiana.
 

 
Di cosa ti occupi nella tua attività professionale?
«Cultural management, organizzazione di eventi e comunicazione culturale sono le mie tre parole magiche. Dal 2012, anno in cui ho organizzato una prima mostra d’arte con finalità benefiche, condividendo adrenalina, estro creativo e notti insonni con l’art director catanese Serena Leonardi.
«Da allora, tra Sicilia e Veneto, la progettazione e gestione culturale è stata per me quasi una naturale prosecuzione sino al momento attuale, in cui mi occupo di dirigere un museo in Puglia e della comunicazione per un’azienda lombarda che sviluppa app per la fruizione digitale di musei e mostre.»
 
Qual è il percorso che ti ha portato a divenire manager culturale?
«Nel mio percorso di studi mi sono dedicato alla comunicazione e all’economia della cultura, ma in questo settore ritengo fondamentale l’esperienza sul campo. Difatti, gli anni trascorsi a Venezia mi hanno permesso di conoscere da dentro il modo di operare di prestigiose istituzioni come Fondazione Prada, Palazzo Grassi, Punta della Dogana ed alcune sedi della Biennale d’Arte.»
 
Quanto ti è stato effettivamente utile operare in queste realtà?
«Moltissimo, perché mi ha consentito di osservare tanto. In generale credo che ogniqualvolta si abbia l’opportunità di visitare una mostra, si debba deviare un occhio sull’esposizione e l’altro sullo sguardo degli altri visitatori: partire dal fruitore finale aiuta a far bagaglio di tante informazioni che si rivelano poi utili nelle strategie di progettazione all’interno di un museo o nella curatela di una mostra d’arte.»
 
Quale ritieni sia la principale differenza tra un manager tradizionale e uno culturale?
«Ad esser differenti sono più che altro le logiche dei contesti in cui operano. Un manager d’azienda si occupa della gestione di un’impresa e della sua crescita, prettamente orientata al profit.
«Musei e teatri, invece, operano su dinamiche di tipo diverso, orientate ad una crescita che non può esser monitorata esclusivamente sul parametro del profitto. La cultura ha valore intrinseco di patrimonio collettivo, che deve esser garantito intra e intergenerazionalmente: la sua economicità è, dunque, legata anche ai suoi scopi sociali e di formazione.»
 
Esiste una questione «caratteriale» nel definire un manager culturale?
«Sicuramente la velocità di adattamento. I trend di fruizione culturale variano molto più rapidamente di quanto immaginiamo. E l’arte spesso precede la direzione in stiamo andando. Ma la dinamicità è, allo stesso tempo, uno dei fattori più stimolanti in questo settore.»
 

 
E qual è, invece, il ruolo delle nuove tecnologie nella gestione culturale?
«È fondamentale: ce ne stiamo rendendo conto, forse, solo in questi giorni in cui, costretti tra le mura di casa nostra, ci stiamo riscoprendo lettori, spettatori e visitatori virtuali. La tecnologia ci aiuta a non perdere la conversazione con i nostri musei, nella speranza che questo contatto possa tornare umano al più presto e che le nuove tecnologie possano fungere da fattore complementare, e non sostitutivo, nell’ampliamento dei pubblici di riferimento.»
 
Ti spaventa, dunque, questa direzione virtuale nel contatto con i luoghi della cultura?
«No, da sostenitore delle nuove tecnologie per i beni culturali, la trovo estremamente interessante. Al contempo, però, penso che oggi la maggior parte dei musei abbia un deficit di conoscenze in tal senso. Dobbiamo sfruttare l’occasione per comprendere meglio come le nuove tecnologie possano tornarci utili.»
 
In che modo?
«Pongo l’esempio delle mostre virtuali. Ci siamo chiesti a chi ci stiamo rivolgendo attualmente? Per lo più ai nostri affezionati, ai pubblici che già in qualche modo conosciamo. Ma dovremmo chiederci se non sia il caso, invece, di sperimentare linguaggi e contenuti che possano consentirci di rivolgerci ai nostri attuali non pubblici, a chi non frequenta ancora il nostro museo, con un tone of voice, se necessario, meno specialistico o calato dall’alto
 

 
Ci sono degli aspetti negativi nelle visite museali online e sui social?
«Sicuramente ci si dovrà confrontare sulla sostenibilità di una strategia del genere sul lungo periodo. Pongo l’esempio, in ambito librario, delle grandi case editrici che possono permettersi in questi giorni di offrirci ebook gratuitamente, con il contraltare delle librerie fisiche che, invece, risentono fortemente di questa drammatica situazione.
«Dobbiamo educare i nostri visitatori, facendo capire loro che anche per i contenuti online debba esser previsto un certo corrispettivo economico, anche per garantirne la qualità, che sia sotto forma di donazione, di abbonamento a contenuti speciali, di membership online o di acquisto di gadget in bookshop che potranno esser allestiti virtualmente.»
 
Su cosa bisognerà puntare di più, invece, alla riapertura dei luoghi della cultura?
«Gli spunti sono molti, sicuramente sarà necessario stabilizzare i tanti professionisti che da tanti anni lavorano in ambito culturale con competenze di livello, seppur retribuiti in modo precario. È sotto gli occhi di tutti la situazione di tanti lavoratori che hanno visto decimare le proprie entrate a causa del virus se non, addirittura, ritrovarsi senza occupazione.
«Sarà, dunque, fondamentale puntare sulle conoscenze e sulla formazione del personale, per evitare che questo settore si sorregga sulle spalle dell’inesperienza o del volontariato che, seppur pregevole, rimane una modalità cui non si può far uso in modo sistematico. Pertanto, saranno solo le competenze a far crescere realmente i nostri luoghi della cultura, per riportarci sul livello degli standard europei ed internazionali.»
 
A tal proposito, gli ultimi dati ISTAT evidenziano come il Coronavirus potrà avere una ricaduta di 10,8 miliardi sul mondo dello spettacolo (musei, cinema e teatri) e sui relativi operatori. Come si fronteggerà questa crisi e con quali strumenti?
«Con il d.l. 17 marzo 2020 n. 18, noto come Decreto Cura Italia, il Governo ed il MiBACT hanno già attivato una serie di strumenti per fronteggiare la situazione, prevedendo delle indennità straordinarie e delle tutele anche per i lavoratori del settore privi di ammortizzatori sociali. Al contempo, è stata prevista la sospensione dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi per chi gestisce biblioteche, musei, cinema e teatri.
«Per i lavoratori dello spettacolo è stato previsto anche un fondo emergenziale pari a 130 milioni di euro per l’anno corrente. Una soluzione è stata trovata anche per il rimborso dei biglietti per cinema, teatri, concerti e musei, prevedendo dei voucher da poter utilizzare entro un anno dalla ripresa delle attività. Si parla anche di una massiva campagna di promozione che sarà condotta a livello internazionale per rilanciare l’immagine turistica dell’Italia all’estero.»
 
Lo ritiene sufficiente? Quali altre strategie potranno esser attivate?
«Le prime misure sono state accolte bene dal mondo della cultura, seppur costituiscano solo un primo passo nella giusta direzione. Bisogna considerare, difatti, che il settore viveva di problemi strutturali già da prima del virus.
«Il dibattito sul tema è ancora in atto: si è partiti il 26 marzo da un appello di Pierluigi Battista sulle pagine del Corriere della Sera, in cui si stimolava la riflessione sull’eventuale istituzione di un Fondo Nazionale per la Cultura.
«La proposta di Battista ha trovato accoglimento in una petizione lanciata da Federculture, firmata ad oggi da oltre 3.000 persone. A ruota sono arrivate le diverse proposte degli assessori alla cultura italiani, Confindustria, ICOM Italia, FAI, Italia Nostra, ConfCultura, Fondazione Fitzcarraldo, Cultura Italiae e Culturmedia, solo per citarne alcune.
«Sostanzialmente si dividono in due scuole di pensiero: chi ritiene che lo Stato debba aiutare il settore attraverso la creazione, per l’appunto, di un fondo (o taluni immaginando persino dei culturebond) a sostegno delle istituzioni culturali, e chi ritiene, invece, che l’intervento pubblico debba esservi attraverso la formulazione di misure e politiche specifiche.
«Tra le misure, ad esempio, gli assessori alla cultura italiani chiedono di dichiarare lo stato di crisi per l’intero comparto; estendere gli strumenti di tutela dell’occupazione a tutti i lavoratori del settore, a prescindere dalla tipologia di contratto in essere; rendere disponibile temporaneamente l’accesso al reddito di cittadinanza agli operatori culturali ed ampliare la platea di beneficiari del FUS. Tra le politiche, invece, l’economista Stefano Monti cita la creazione di partnership tra pubblico e privato per la gestione di beni ed aree culturali; detrazioni totali per chi investe in cultura e maggiore autonomia gestionale per i musei.
«Citare qui l’intero dibattito è impossibile, personalmente ritengo utile la costituzione del fondo, a patto che ciò non costituisca un alibi per il persistere di logiche assistenziali e/o emergenziali. Opto maggiormente, pertanto, per uno studio sistematico di nuove misure e politiche, per poter riformare totalmente la gestione del nostro patrimonio culturale da qui in avanti. Sono convinto che il ministro Franceschini potrà far tesoro dell’enorme fucina di idee che il virus ha casualmente generato.»
 
Provando ad immaginare il futuro, come saranno i nuovi fruitori dei musei?
«Molto più curiosi e con una grande voglia di riscoperta della bellezza di cui siamo circondati e che per troppo tempo abbiamo trascurato. Son certo che li asseconderemo senza annoiarli, puntando a forme accattivanti di edutainment, per rendere davvero il museo un nuovo spazio di aggregazione sociale, alla pari di cinema, teatri e persino ristoranti.»
 
Che messaggio si sente di dare, infine, a chi opera quotidianamente in questo settore?
«Mi sento di esser ottimista. Ancora una volta l’arte, in tutte le sue declinazioni, ci è stata vicina in questo momento di crisi anche interiore. Abbiamo riletto I promessi sposi di Manzoni e il Decameron di Boccaccio, straordinariamente attuale a quasi sette secoli di distanza; abbiamo scoperto La peste di Camus e Cecità di Saramago, schizzati alle stelle tra le vendite di Amazon.
«Abbiamo visitato online le collezioni di musei d’oltreoceano, che forse mai avremmo varcato in vita nostra. Abbiamo ripreso in mano vecchi film sui nostri lettori multimediali, o ne abbiamo visti di nuovi sulle piattaforme di streaming delle nostre smart TV. Abbiamo ascoltato su Facebook o Instagram i nostri cantanti preferiti, che hanno provato a tenerci compagnia intonando i loro brani più noti dal divano di casa propria.
«Infine, abbiamo udito dai nostri balconi alle 18 il Nessun dorma dalla Turandot di Puccini, che i massimi teatri italiani hanno riproposto sul web per risvegliare i nostri animi. Mi sento di dire, pertanto, che se questa passione rinata per le arti perdurerà anche alla fine di questa crisi, andrà davvero tutto bene.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Alfredo Giacchetto - a.giacchetto@arte-cultura.it
www.arte-cultura.it - +39 346 6099882

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