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Flavio Demattè, omaggio alla sua terra – Di Daniela Larentis

In «Nel nome del padre, della vite e del vino», illustrato da Giuliano Pradi, l’autore racconta il ciclico ripetersi del lavoro dei vignaioli – L’intervista

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Flavio Demattè, insegnante di scuola primaria e appassionato viticoltore, è l’autore del volume intitolato «Nel nome del padre, della vite e del vino», EffeErre Edizioni (2021), un omaggio alla sua terra e ai vignaioli che, come suo padre Federico a cui il libro è dedicato, hanno speso le loro vite in campagna, fra i vigneti.
È la storia di un territorio e della sua gente, fra tradizioni, ricordi e curiosità. Il volume è impreziosito dalle splendide illustrazioni a china di Giuliano Pradi, pittore e illustratore trentino.
È un libro da «degustare», assaporandone i diversi aromi: racconto, testimonianza, ma anche strumento pratico per meglio comprendere l’affascinante mondo dei vigneti.
Prestandosi a più letture, è anche uno stimolo a una riflessione profonda sul legame con l’ambiente naturale e le sue implicazioni e sulla necessità di ritornare a una vita più sobria e più autentica.
 
Sottolinea Walter Nicoletti, giornalista e divulgatore agricolo, nella prefazione: «Nel nome del padre, della vite e del vino è il racconto di una educazione sentimentale intesa come intreccio virtuoso fra vite e vita, fra autobiografia e diario di campagna, fra storia umana e storia rurale.»
Qui i vignaioli sono i contadini di un tempo che producevano ognuno il proprio vino all’interno di cantine ricavate nella terra.
Locali profondi e bui che corrispondevano al luogo più defilato e riservato della dimora rurale quasi a proteggersi, oltre che dal freddo invernale o dalla calura estiva e dai raggi del sole, anche dalle avversità del mondo degli uomini.
Il vino narrato da Flavio Demattè diventa pertanto una sorta di fluido caratteriale del contadino, una parte di sé dell’agricoltore di montagna dove il gusto, il colore e i profumi corrispondono ancora oggi, nel bene quanto nel male, alla personalità di chi sta offrendo quel prezioso bicchiere […].»
 
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista.
Flavio Demattè è un insegnante di scuola primaria appassionato di viticoltura; vive e lavora a Vigolo Vattaro sull’Altopiano della Vigolana a dodici chilometri da Trento.
Si è occupato di politiche giovanili e di teatro come attore e regista.
Ha scritto numerosi testi teatrali umoristici in dialetto trentino e in lingua italiana; alcune opere sono state premiate in varie edizioni del Concorso Autori «Teatro per Idea» e sono state pubblicate nella Collana del Teatro trentino. Questo volume è la sua prima opera letteraria.
Giuliano Pradi è un poliedrico artista, pittore e illustratore. Vive a Vigolo Vattaro sull’Altopiano della Vigolana. Le tavole che illustrano il libro di Demattè sono state realizzate con la tecnica del pennello sottile e china nera acquarellata.
 
Abbiamo incontrato Flavio Demattè, rivolgendogli alcune domande.
 

Illustrazioni di Giuliano Pradi ©.
 
Come è nata l’idea del libro e come è strutturato?
«Il libro è un omaggio alla figura di mio padre, lui era una persona comune, mi ha trasmesso valori forti, io stesso sono viticoltore part time, sono insegnante ma appena posso mi dedico alla campagna, lo faccio per passione.
«Volevo ricordare lui e le persone che ha conosciuto, frequentato, soprattutto volevo tramandare il ricordo dei suoi insegnamenti.
«Prendendo spunto dalle fasi di un’annata agraria ho voluto raccontare la vita nei vigneti, toccando vari aspetti, come la vita nel paese, le tradizioni di tutto l’arco alpino.
«È un ringraziamento indirizzato a varie persone di cui parlo nel libro e anche alla campagna. La sensibilità e l’attenzione rivolta alle piante dimostrata da molti scienziati contemporanei è la stessa dei nostri padri.»
 
A che pubblico si rivolge e che messaggio veicola?
«Si rivolge a un pubblico eterogeneo, sia a persone esperte in materia che neofite, è un libro popolare che contiene indicazioni pratiche, ciò che racconto è però legato soprattutto alle persone, agli animali e alle piante.
«L’intento è anche quello di non fermarsi al puro ricordo, che è bello, giusto e doveroso, ma di sollecitare una riflessione sul futuro.
«Il messaggio che ho voluto in qualche modo veicolare è legato alla necessità di dover ascoltare di più la natura e le persone, soprattutto gli anziani. Hanno molto da raccontare.
«Per fortuna i giovani stanno capendo l’importanza di ritornare alla campagna, come dimostra la tendenza di questi ultimi anni.»
 
Nel capitolo dedicato alla potatura, lei scrive che «potare è un’azione che contiene in sé un’apparente contraddizione. È l’atto del togliere per dare». Può spiegarci brevemente questo pensiero?
«È un’indicazione pratica che può essere letta in chiave filosofica. Di solito togliere indica un deprivare; in questo caso, invece, la potatura serve per rinvigorire la pianta. Simbolicamente rappresenta il bisogno, nell’era del consumismo, di dover fare a meno del superfluo per poter stare meglio.»
 
La vendemmia è un momento festoso, come lei scrive offre l’opportunità di rinsaldare i vincoli di parentela e amicali, visto che spesso ci si aiuta vicendevolmente durante la raccolta, ricambiandosi il favore. Ma è anche un’occasione per relazionarsi con gente nuova, per intessere nuovi legami…
«È una tradizione che continua a perpetuarsi negli anni. Una volta era molto sentita da tutti, la vendemmia era un momento che si viveva in tutte le case; ora le cose non sono poi tanto cambiate.
«Noi abbiamo sul territorio delle aziende agricole molto piccole, la viticoltura è un po’ il residuo di quella di sussistenza, finalizzata spesso a farsi il vino in casa, portando avanti la tradizione.
«Della vendemmia di un tempo è restata l’allegria e la voglia di fare festa insieme. È un momento bellissimo, in cui si stemperano le ansie accumulate durante l’annata agraria, un momento di condivisione e di aiuto reciproco. Mentre si lavora si parla, si rinsaldano vecchi legami e se ne creano di nuovi.»
 

Illustrazioni di Giuliano Pradi ©.
 
La vita di paese è tanto diversa, a suo avviso, da quella della città?
«Credo che anche se la distanza fra paese e città dal punto di vista geografico è irrisoria, soprattutto oggi con i mezzi di trasporto di cui disponiamo, si viva un ritmo di vita diverso in paese.
«Non è come una volta, certo, qualcosa è cambiato anche nei paesi, ovviamente, girando non si vedono più gli anziani seduti sulle panchine a chiacchierare come erano soliti fare un tempo, stanno un po’ tutti tappati in casa, sono più isolati ma sempre meno che in città.
«Da noi si vive ancora una dimensione fortemente contadina con quello che ne consegue, il paese pur avendo subito dei cambiamenti mantiene ancora la tradizione.»
 
Lei da insegnante nota nei bambini delle differenze sostanziali rispetto ai decenni precedenti?
«Se osservo i loro cognomi mi rendo conto che c’è stato, nel tempo, un bel rimescolamento. Però, per quanto riguarda le abitudini devo dire che sono i bambini di sempre, nel rapportarsi fra loro e con l’ambiente naturale, qui hanno peraltro la possibilità di seguire l’orto didattico della maestra Paola, la nostra è una scuola green.
«I genitori hanno sostenuto le spese per la casetta, questo significa che credono in questo progetto, è una bella occasione offerta ai bambini che hanno così modo di vivere un’esperienza molto arricchente. Quest’anno hanno a disposizione anche il parco Malfatti, grazie a un accordo fra Comune e proprietà.»
 
Lei fin da piccolo coltivava le viti con suo padre, come racconta nel libro. Brevemente, che ricordo conserva di lui?
«Mio padre aveva sempre la battuta pronta, la parola giusta al momento giusto, ricordava proverbi e modi di dire. Una dote ereditata dal nonno. Pur avendo vissuto diverse traversie, anche nella difficoltà riusciva sempre a mantenere una leggerezza e uno stato d’animo positivo.
«Un dettaglio che non ho inserito nel libro è che amava usare i francesismi, era stato in Francia per un certo periodo, imparando espressioni e modi di dire. È stato lui a trasmettermi la passione per il teatro, è rimasto nella filodrammatica fino a quando si è sentito troppo stanco per proseguire.
«La lezione più grande che mi ha trasmesso è quella di prendere le cose dal verso giusto, guardando sempre il bicchiere mezzo pieno, imparando sempre da tutti con umiltà.»
 
Ritiene che nella società contemporanea si sia perso, almeno in parte, lo spirito comunitario e il legame con il territorio, tipico di un modo di vivere in fin dei conti non troppo lontano dal punto di vista temporale?
«Purtroppo è accaduto, adesso i contadini sono numericamente meno rispetto a un tempo, tuttavia si sta assistendo a un ritorno alla campagna, soprattutto dei giovani, c’è quindi il desiderio di recuperare certi valori.
«Nell’ultimo capitolo del libro sottolineo l’importanza degli insegnamenti dei nostri padri e dei nostri nonni, occorre prendersi cura della propria terra, mai come in questo periodo storico c’è stata la consapevolezza dei rischi a cui va incontro l’umanità se non si mettono in atto correttivi di rotta urgenti.»
 

Illustrazioni di Giuliano Pradi ©.
 
La foglia di vite ha un simbolismo universale, rinviando a significati profondi. Quali valori può richiamare?
«È ricca di simbolismi, tralasciando i molti significati che le vengono solitamente attribuiti, direi che può richiamare un senso di protezione, la pergola ha anche una funzione di ombreggiamento.
«Con il cambiamento climatico in atto, con queste estati torride, si sta un po’ rivalutando la pergola trentina, in grado di offrire ombra pur non richiedendo quantità eccessive d’acqua.
«È una foglia che rimanda a un concetto di protezione e resistenza…»
 
A proposito dell’antica usanza nei paesi di affibbiare alle persone i soprannomi…
«Qui è un’usanza ancora molto viva, già i bambini amano affibbiarsi dei soprannomi talvolta molto buffi…»
 
È ormai evidente la necessità di ridurre gli sprechi, di consumare meno e meglio, così come lo sono i danni causati dalle attività umane al pianeta. Si sta facendo abbastanza, in campo agricolo, per promuovere nuovi modelli di sviluppo sostenibile? Cosa pensa a riguardo?
«Il cambiamento in agricoltura come in altri ambiti è da tempo in atto, anzi, è all’avanguardia, cambiare significa mettersi in discussione, non è mai un processo facile anche se indispensabile.
«Si è capito che si può continuare a portare avanti un’alleanza con la natura, non occorre distruggere in maniera indiscriminata, nel tentativo di eliminare ciò che è dannoso per le piante.
«Oggi come oggi si dispone di strumenti davvero utili, grazie anche, e soprattutto, all’impegno e al lavoro di chi ci ha creduto e si è speso per questo, pensiamo a persone come Carlo Bridi che hanno ridisegnato la storia dell’agricoltura trentina.»
 
Lei si è occupato anche di teatro, ricoprendo il ruolo di attore e regista…
«Nei paesi la filodrammatica ha sempre rivestito un ruolo importante, anche di aggregazione, è una grande tradizione viva ancora oggi.
«Il mio stesso nome mi è stato dato perché in quel periodo mio padre interpretava la parte di un soldato romano, questo per dire come facesse parte della vita quotidiana delle persone.
«Io ho iniziato come suggeritore, proprio su suo suggerimento, successivamente sono diventato attore, frequentando poi corsi di regia e scrivendo alcuni testi teatrali.»
 
Quando verrà presentato il libro?
«È stato presentato alla stampa il 24 giugno alla Cantina sociale di Trento. È in programma una presentazione al pubblico il prossimo 3 agosto 2021 al Parco Malfatti di Vigolo Vattaro, nella serata dedicata ai salotti letterari

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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