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Al Mart, retrospettiva su Alceo Dossena – Di Daniela Larentis

Il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto apre al pubblico «Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento»

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Al Mart di Rovereto, lo splendido Museo di arte moderna e contemporanea progettato dall’archistar Mario Botta, ha preso il via la nuova stagione con la retrospettiva ideata dal Presidente Vittorio Sgarbi su Alceo Dossena (1878-1937), «autentico falsario» e autore di una ricca produzione di opere scultoree realizzate nello stile e con le tecniche dei maestri antichi e rinascimentali.
La mostra, a cura di Dario Del Bufalo e Marco Horak, è visitabile dal 3/10/21 al 9/01/2022.
Lo scultore esegue veri e propri capolavori capaci di ingannare l’occhio dei più esperti, che li attribuirono a Donatello, Simone Martini, Giovanni e Nino Pisano, Andrea del Verrocchio e ad altri celebri artisti del passato.
 
Quella in mostra al MART è la più vasta selezione di sue opere finora esposta al pubblico: oltre cento pezzi provenienti da collezioni pubbliche e private.
Alla presentazione alla stampa è seguito lo spettacolo «Le vie del Buddha» di Stefano Sabelli, che già nel nell’estate del 2020 aveva fatto il tutto esaurito sulle Terrazze del Mart.
Anche in quel caso Sabelli era stato introdotto dal Presidente del Mart con cui, nel 2001, aveva partecipato a una missione culturale italiana in Afghanistan.
Solo pochi mesi prima, nella valle del Bamiyan, i talebani avevano distrutto i Buddha scolpiti nella roccia: due statue simbolo delle culture millenarie che hanno abitato a lungo la Via della Seta, scomparse in un attimo a causa della guerra contro l’idolatria.
 

 
Da quel viaggio nasce un diario che raccoglie le sensazioni e restituisce lo sgomento davanti a uno scenario di distruzione. Un capitolo del diario, intitolato «Le Vie del Buddha», si trasforma in un «reading» che è una riflessione sulla fragilità del patrimonio culturale mondiale.
Ad accompagnare lo spettacolo, la musica di Giuseppe Spedino Moffa, cantante e polistrumentista dalle sonorità folk.
Ma chi è Alceo Dossena, una delle figure più affascinanti del secolo scorso?
L’artista inizia a lavorare giovanissimo nella bottega di un marmista della sua città natale, Cremona, dopo essere stato espulso dalla Scuola d’arte a causa di uno scherzo da vero «falsario in erba»: aveva nascosto sottoterra una piccola Venere scolpita da lui e aveva rivelato di esserne l’autore solo dopo che il suo professore l’aveva dichiarata antica.
 
Nel 1908 si trasferisce a Parma per lavorare presso Umberto Rossi, uno scalpellino che aveva acquisito una certa fama come restauratore e copista di marmi antichi.
Nel 1912 i due fondano la ditta Dossena e Rossi e a quel periodo risalgono alcune opere scolpite nello stile gotico di Benedetto Antelami.
Durante gli anni della guerra, a Roma, Alceo conosce gli antiquari Alfredo Fasoli e Alfredo Pallesi che gli commissionano decine di sculture in stile antico, riconducendole poi al finto ritrovamento di un’antica cattedrale.
Molte di queste opere vengono vendute negli Stati Uniti ma intorno al 1926 cominciano a circolare i primi sospetti circa l’esistenza di un artista italiano autore di falsi greci, etruschi, gotici e rinascimentali.
 

 
Lo scandalo scoppia nel 1928, quando Dossena interrompe ogni rapporto con gli antiquari e apre le porte del suo studio romano a H.W. Parsons, storico dell’arte e consulente di numerosi musei americani, mostrandogli le fotografie che documentavano tutta la sua produzione.
Da questo momento, comincia a firmare e datare i suoi lavori, alternando la creazione di opere in stile antico e altre di gusto contemporaneo.
La notorietà raggiunta grazie allo scandalo gli consente di affermarsi come uno dei maggiori virtuosi della scultura ma si tratta di una fama di breve durata e, nel 1937, l’artista muore povero e dimenticato.
Capace di falsificare tutti gli stili, dagli Etruschi ai contemporanei; le sue opere vennero acquistate dai più grandi musei del mondo, per il tramite di antiquari che gli suggerivano soggetti e modelli e gli fornivano, oltre al denaro, materiali e locali.
 
Le sue realizzazioni avevano un punto di forza, l’originalità, poiché spesso non si trattava di copie di esemplari noti, ma di modelli originali creati ex novo, realizzati secondo i dettami stilistici e le tecniche esecutive dell’antichità classica, del Due-Trecento o del Rinascimento.
Dossena possedeva un’eccellente tecnica, abilità nel disegno, velocità di esecuzione e sapeva lavorare tutti i materiali scultorei: dalla creta al legno, dal gesso al marmo.
La sua dote migliore, dal punto di vista artistico, era quella di riuscire a imitare uno stile piuttosto che un’opera in particolare, talvolta miscelando dettagli tratti da artisti diversi.
Ciò che rende i suoi falsi così convincenti è anche la sua capacità di trattare la materia nelle fasi di finitura, conferendo alle sculture la «patina del tempo».
 

 
A titolo di curiosità, va detto che un consistente nucleo di sue sculture è appartenuto a Carlo Francesco Ansaldi, un avvocato toscano appassionato collezionista di opere d’arte.
Trasferitosi a Roma nel 1908, Ansaldi milita nel Partito repubblicano e si distingue per i suoi numerosi articoli che rivendicano i diritti democratici negli anni in cui si afferma la dittatura fascista.
Nel corso della sua vita raccoglie numerose opere di artisti della scena romana, ma la considerevole quantità di lavori di Dossena fa pensare a un rapporto privilegiato tra lo scultore e il collezionista.
 
La collezione Ansaldi ben documenta quella vena creativa originale che Dossena sviluppa soprattutto negli anni Trenta, nei soggetti sacri di piccolo formato pensati per la devozione privata o nei ritratti di Giuseppe Verdi.
Offerta allo Stato italiano dal figlio dell’avvocato Ansaldi alla metà degli anni Settanta, questa raccolta non trova collocazione nei musei della capitale e viene destinata, invece, al Museo civico di Pescia, paese natale del collezionista.
 

Alceo Dossena, Madonna con bambino, 1932, Ente Museo Palazzo Costa, Piacenza.
 
Completano il percorso espositivo due confronti con «falsi» recenti.
Trovano infatti collocazione in mostra le celebri teste realizzate per protesta dallo scultore Angelo Froglia e per scherzo da Pietro Luridiana, Pier Francesco Ferrucci e Michele Ghelarducci, autori della «beffa delle false teste di Modì».
Come ricorda il Presidente Vittorio Sgarbi nel suo intervento critico, circa trent’anni fa, durante le ricerche di alcune sculture che una leggenda voleva fossero state gettate nel Fosso Reale di Livorno da Modigliani stesso, uno scultore e tre giovani, con motivazioni diverse, realizzarono e buttarono nel fossato cittadino tre teste. Ritrovate, furono attribuite al noto artista e messe in mostra.

Il secondo confronto è con alcune opere del pittore Lino Frongia, a cui il Mart ha recentemente dedicato un Focus espositivo.
In anni recenti, l’artista è stato accusato di aver realizzato e contribuito alla vendita di alcuni falsi acquistati da musei francesi. Il processo è tutt’ora in corso.

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

Lino Frongia, San Giuseppe e il bambino, 2003, Fondazione Cavallini Sgarbi.

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