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Liberio Furlini a Trento con «PietrArte» – Di Daniela Larentis

A Palazzo Trentini è da poco stata inaugurata la personale dell’artista dedicata ai graffiti e alle pitture rupestri, a cura di Claudio Mattè – La doppia intervista

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Libero Furlini.
 
Da poco inaugurata a Trento, nella suggestiva ambientazione di Palazzo Trentini, «PietrArte», la mostra personale di Liberio Furlini curata da Claudio Mattè. Presenti, oltre all’artista e al curatore, gli autori dei testi critici in catalogo: Tullio Pasquali, Andrea Angheben e Marcello Farina.
Dedicata ai graffiti e alle pitture rupestri, nel tempo e nel mondo, è visitabile con Green Pass dal 3 dicembre2021 fino all’8 gennaio 2022.

Sottolinea il Presidente del Consiglio provinciale di Trento Walter Kaswalder, dando il benvenuto al folto pubblico presente in sala, rispettosamente munito di mascherina.
«L’idea sviluppata da Liberio Furlini, questa sua arte applicata alla pietra e alle più antiche espressioni artistiche – rinvenute dagli archeologi e paleontologi in tutti i continenti e a tutte le latitudini – merita di essere divulgata e di essere fatta conoscere, penso in particolar modo ai nostri studenti.»
Le opere dell’apprezzato artista trentino permettono infatti al visitatore di compiere un viaggio tra le manifestazioni artistiche rupestri in Europa, Africa, Asia, Americhe e Australia, rappresentate su pietre provenienti dal nostro territorio, porfidi della Val di Cembra e graniti della Val Rendena.
 

Il curatore della mostra Claudio Mattè e l'artista Liberio Furlini.
 
Evidenzia Tullio Pasquali, conservatore onorario del Muse, nel suo intervento critico, parlando dell’esposizione.
«Addentrarsi nelle tematiche riguardanti le manifestazioni artistiche del passato che hanno contribuito alla crescita dell’umanità, non è compito di questa mostra.
«Ma solo far conoscere la pittura e il graffito attraverso la visione artistica di Liberio Furlini, che forse è l’ultimo erede di infinite generazioni che nell’arco dei millenni hanno lasciato i propri disegni sulle superfici rocciose.
«Di certo per l’artista dominare questa materia deve aver comportato più fatica e tempo di quanto si possa immaginare. In questa mostra, anziché quadri su tela vengono usati dei pannelli in pietra che danno una ideale interpretazione del luogo dove l’opera si trova. […].»
 
Interessante l’aspetto messo in luce da don Marcello Farina.
«Incisioni e dipinti della preistoria mettono in evidenza che quell’universo di arte senza tempo apre alla comprensione di un umano che porta con sé, fin da subito, una singolare relazione con la natura, un senso del vivere che è capace di controllare la durezza dell’esistenza singola e collettiva.
«Liberio Furlini mette in evidenza anche la grande abilità tecnica con cui vengono realizzati quei dipinti e quelle incisioni, tanto che viene da pensare che essi siano ben poco primitivi.
«Già negli esemplari, ad esempio, si ravvisano tridimensionalità, prospettive insolite, maestria nell’uso del colore.
«Del corpo umano, oltre alle parti legate alla fertilità (soprattutto femminile), vengono disegnate mani e impronte dei piedi, quasi ad anticipare, per così dire, il bel pensiero di Anassagora, filosofo greco del V sec. a.C., per il quale l’uomo è tale perché ha le mani.
«La mostra di Liberio Furlini avvicina, perciò, i tempi, dilata la storia e il suo giro intorno al mondo arricchisce la nostra umanità.»
 

 
Andrea Angheben ricorda le qualità del porfido, definendolo «tanto duro e tenace da essere la pietra che i progettisti di tutto il mondo preferiscono per la pavimentazione di strade, viali e piazze.»
In un passo del suo intervento, osserva: «Liberio Furlini non poteva che lanciare il guanto di sfida a questa incomparabile roccia generata dal suo Trentino e dimostrare che ogni singola lastra poteva essere una tela perfetta con cui intraprendere il suo personalissimo viaggio alla scoperta delle pitture rupestri.
«Un viaggio certamente non facile, fatto di studio e di tecniche in parte riprese dalla storia, in parte rielaborate per adattarle alla specifica e difficile struttura geologica del porfido ed avere la meglio anche sulla sua naturale rugosità […]»
Alcune note biografiche, prima di passare ad intervistare l’artista e il curatore della mostra.
 
Liberio Furlini, pittore, nasce il 16 ottobre 1956 a Riva del Garda. Vive e opera a Lavis, dove in via Roma ha il suo studio.
Allievo del prof. Luigi Senesi durante gli studi magistrali, sperimenta nel tempo diverse tecniche pittoriche: ad olio, pigmenti (terre, ossidi), tempera all’uovo, su sottofondi a base di sabbia, calce e polvere di marmo o stucchi di calce.
Dipinge su pietre, granito e porfido. Esperto nelle tecniche dell’affresco e murales.
Partecipa a numerosi concorsi, vincitore di diversi premi, fra i quali ricordiamo il Premio Internazionale Affreschi a Polpenazze del Garda (Bs) del 2018.
Conta al suo attivo numerose esposizioni e realizzazioni di murales fra i quali: al Centro Documentazione e Istituto Cimbro di Luserna, ad Azzinano di Tossicia (TE), a Sant’Eufemia a Maiella (PE) in Abruzzo, a Polpenazze sul Garda (Bs), a Roncone di Trento, a Pergine Valsugana, a Stenico, per citarne alcuni a titolo esemplificativo.
 

 
La prima domanda la rivolgo a lei, Claudio. Come nasce l’idea di questa mostra?
«La mostra nasce da un progetto di lavoro lungo e faticoso di Liberio, iniziato cinque anni fa. Un lavoro per lui molto impegnativo, sia dal punto di vista economico che fisico: non dipinge, infatti, sulla tela ma su pietre, anche del peso di 40 kg, provenienti dal Trentino, dando vita a più di duecento opere, gran parte delle quali esposte qui.
«Vorrei fare un inciso; Liberio è un artista molto conosciuto in particolare per i suoi murales e affreschi. Questo lavoro arriva dopo una lunga esperienza maturata in questo ambito.
«Quella dei murales è una tecnica affascinante ma più semplice; l’affresco, proprio per i tempi strettissimi di esecuzione, viene realizzato sulla malta fresca, è una tecnica complicata che richiede grande esperienza. Attraverso i suoi lavori artistici, Liberio ritorna a considerare le più antiche forme di espressione, non semplicemente riproponendole, ma reinterpretandole, trasformando i graffiti in pittura, usando la materia naturale, la sola che l’uomo primitivo aveva a disposizione.
«Ed è così che dall’unione di pietre naturali colorate ridotte in polvere, ossidi, acqua, olio, uova, nasce una materia che lui utilizza per riproporre forme dell’arte rupestre presenti nelle più remote zone geografiche del mondo, dall’Europa, all’Asia, all’Africa.»
 
Come è organizzato il percorso espositivo?
«Le opere sono state divise in base alla loro provenienza geografica, raggruppate per continenti, dall’Europa all’Asia, all’Africa, all’Oceania, all’America del Nord e del Sud. La sala principale è dedicata all’Europa, alle opere che riproducono i ritrovamenti dei vari Paesi, principalmente Spagna, Francia, Italia, ma anche Bulgaria, Germania, Repubblica Ceca, Svezia. Per quanto riguarda il nostro Paese, al quale è dedicato uno spazio generoso, sono esposte opere che rinviano ai graffiti e alle pitture rupestri rinvenuti fra l’altro in val di Fiemme, in Valsugana e in altre zone del territorio.»
 

 
Sono riproduzioni fedeli?
«Tutte le riproduzioni in mostra sono frutto di uno studio approfondito dei graffiti e delle pitture rupestri originali rinvenute in grotte di vari continenti, di una lunga ricerca portata avanti in modo sinergico con il supporto dello storico Tullio Pasquali, insieme al prof. Andrea Angheben e don Marcello Farina, ma sono al contempo anche un’interpretazione dell’artista.»
 
Quale potrebbe essere l’importanza dell’arte rupestre di Liberio Furlini, da un punto di vista didattico?
«Enorme! Poter osservare i tori della grotta di Altamira o le splendide raffigurazioni rupestri di Chauvet, per citare alcuni siti famosi, è estremamente interessante, così come poter ammirare i ritrovamenti delle grotte in Russia risalenti a 40.000 anni fa fino ad arrivare ai ritrovamenti relativamente più recenti, quelli del 300 d.C. in Africa.
«L’uomo di ogni continente ha sempre dato testimonianza del proprio passaggio attraverso l’arte rupestre, qui abbiamo esposto un corposo nucleo di opere che rinviano a quei ritrovamenti.»
 
I lavori in mostra coprono un arco temporale molto ampio…
«Sì, sono la testimonianza di come i nostri antenati abbiano cercato, attraverso queste forme d’arte, di trasmettere informazioni di varia natura, di comunicare le difficoltà e i modi per superarle lasciandone traccia.»
 

 
Sono già stati esposti prima d’ora?
«In rare occasioni. Una parte dell’intera produzione è stata esposta a Lavis, dove Liberio abita e dove il Comune gli ha concesso gli spazi espositivi per iniziare a far conoscere il progetto; una parte anche al Centro Documentazione Luserna.
«L’artista ha voluto esporle a lavoro completato. Vorrei sottolineare il fatto che Liberio le ha realizzate utilizzando materiali originali, basandosi sui materiali esistenti nel periodo e nel luogo preso in esame, come ho accennato poco fa.
«Quindi, mantenendo la tecnica primitiva, sostanzialmente utilizzando l’uovo, resine, macinando le pietre per ricavarne i vari colori.»
 
Fra tutte, quale le piace maggiormente?
«Un’opera che sicuramente ha colpito la mia attenzione è quella da me proposta per la copertina. Si tratta dei cervi della grotta di Lascaux, in Francia.»
 
Progetti futuri da realizzare il prossimo anno?
«Proseguirò con la mostra d’arte QuadriNomi, un progetto a cui sono affezionato, importante per il territorio. C’è poi la speranza e l’ambizione di voler far conoscere questa mostra, allestita ora a Palazzo Trentini, anche altrove, in altre importanti realtà.»


 
E ora vorrei porgere qualche domanda a lei, Liberio. Dipingere sulle facciate delle abitazioni è un po’ come svelare l’anima più profonda di un luogo. Fra gli affreschi da lei realizzati quale ritiene il più emblematico?
«Direi Il pastorello a Balbido di Bleggio Superiore, realizzato nel 2005, ripreso dalla RAI sede di Trento con un documentario di 30 minuti.»
 
Può fare un breve accenno alle tecniche da lei utilizzate?
«Mi piace sperimentare la materia, la sabbia, la calce, anche i pigmenti che utilizzo, terra e ossidi, sono delle pietre colorate, poi macinate, che vengono diluite per fare un impasto.
«Nell’affresco i pigmenti vengono diluiti con acqua; nel caso dei murales, dipingendo sull’intonaco secco, viene utilizzato anche un legante.
«L’affresco, naturalmente, ha una durata maggiore, non permette errori; inoltre, dopo anni si può staccare dalla propria sede, riposizionandolo una volta restaurato. Il mio primo murales l’ho dipinto 40 anni fa.
«Qualcuno all’epoca mi fece presente che passavo troppo tempo in studio; fu allora che mi venne la voglia di uscire all’aperto, a contatto con la gente, in un ambiente artisticamente e umanamente per me più stimolante.»
 
In Abruzzo ha realizzato il celebre Risiko, sulla Piazza dell’Emigrante a Sant’Eufemia a Maiella…
«Francesco Crivelli, Sindaco di Sant’Eufemia, ha voluto richiamare l’attenzione sul tema dell’emigrazione, facendo realizzare sulla pavimentazione della piazza un’opera dedicata agli emigranti che hanno lasciato il Pescarese per cercare fortuna altrove. Ho dipinto per l’occasione la plancia di un enorme Risiko, ora peraltro utilizzata per i campionati italiani del famoso gioco di strategia.»
 

 
Un breve cenno sulla mostra di Lavis…
«Per la mia prima mostra sui graffiti e le pitture rupestri ho voluto partire da Lavis: nel 2020 ho esposto 220 opere dislocate fra Palazzo de Maffei, il giardino dei Ciuciói e il rifugio antiaereo del Pristol. È piaciuta molto.»
 
Quante opere sono esposte attualmente a Palazzo Trentini?
«Sono esposte 150 opere provenienti in parte dalla mostra di Lavis, in parte da Luserna; recentemente ho esposto le mie opere alla Pinacoteca Rheo Martin Pedrazza. Sono la raffigurazione di scene originali di pittura rupestre e graffiti, interpretate da me; ho cercato nella realizzazione di trasmettere un senso di rotondità e movimento.
«Per quanto riguarda i graffiti, non ho inciso la pietra, ma con una pittura materica ho creato un effetto tridimensionale.»
 
Quali opere giudica particolarmente interessanti da un punto di vista antropologico?
«Quelle della sezione dedicata all’Africa. Sono spesso raffigurate figure femminili, segno che all’epoca erano socialmente considerate.»
 
Da artista come ha vissuto la pandemia?
«Bene, nonostante il periodo per molti aspetti difficile. Io ho avuto la fortuna di trovare rifugio nella mia arte.»
 
Progetti futuri/sogni nel cassetto?
«Essere qui, in mostra a Palazzo Trentini, un luogo istituzionale importante dove ho già esposto nel 2015, è già la realizzazione di una parte del mio sogno. Questa sarà una mostra itinerante, l’idea sarebbe quella di portarla in altri luoghi. Vedremo…»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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