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Le «Morbide Tarsie» di Anna Lorenzetti – Di Daniela Larentis

La personale dell’artista è allestita al Grand Hotel Trento ed è visitabile fino al 10 maggio 2022 – L’intervista

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È visitabile nelle splendide sale del Grand Hotel Trento «Morbide Tarsie» la personale di Anna Lorenzetti, apprezzata artista di lungo corso nata nelle Marche ma di adozione trentina.
Inaugurata lo scorso 25 febbraio alla presenza di un entusiasta pubblico (con intervento critico di Giuliana Adamo, docente al Trinity College di Dublino, progetto artistico di Nicola Cicchelli), rimarrà aperta fino al 10 maggio 2022.
 
Quelle a cui ha dato vita nel tempo usando aghi e fili, accostando tessuti diversi, sono opere vibranti che trasudano vitalità: arazzi dal forte impatto visivo che non stancano al primo sguardo e che è bello osservare attentamente, cogliendone via via tutti i particolari: sono lavori di grande suggestione che rinviano a un mondo gioioso popolato da sogni, dove l’immaginazione può perdersi nel mare delle possibilità.
 
Quando parla del suo lavoro le si illumina lo sguardo.
«Le stoffe – ama sottolineare l’artista – hanno natura varia. Ci sono le sete sottili, quelle operate, le mussole fini, i cotoni opachi, il chintz lucido e le sintetiche, versatili e innovative.
«Loro, le stoffe, si adeguano al pensiero e si distendono docili. Si lasciano sovrapporre, tagliare, bucare.»
In mostra è possibile ammirare opere afferenti a cicli passati e opere più recenti, molte delle quali realizzate durante il periodo di confinamento legato alla pandemia.
 

 
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista.
Anna Lorenzetti nasce a Senigallia. Studia pittura a Fano e a Urbino, diplomandosi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.
La sua attività professionale ed artistica si articola dagli anni Settanta in poi tra l'impegno dell'insegnamento e quello artistico con mostre personali e collettive in Italia e all'estero.
Si occupa di elaborazioni decorative attraverso l’utilizzo di tecniche e materiali diversi: dalla ceramica alla tessitura, dal mosaico all’affresco, dalle sperimentazioni su vetro, stoffa, lacca e legno alla pittura.
 
Progetta ed esegue nel tempo numerose scenografie per spettacoli teatrali.
Dagli anni Ottanta realizza murales utilizzando tecniche miste (graffito, acrilico, alchidico, incrostazioni musive).
Sue opere si trovano in spazi pubblici sia in territorio nazionale che oltreconfine.
L’artista vive e lavora a Rovereto dove ha insegnato discipline pittoriche all’Istituto d’Arte Fortunato Depero.
Abbiamo avuto il piacere di rivolgerle alcune domande.
 

 
Fra le varie tecniche utilizzate nel tempo, quali preferisce e perché?
«La mia formazione include le tecniche pittoriche classiche, tuttavia da sempre mi piace sperimentare. Dai primi anni Ottanta ad oggi ho utilizzato tecniche e materiali diversi: dalla ceramica alla tessitura, dal mosaico all’affresco, al graffito, dalle sperimentazioni su vetro, stoffa, lacca e legno alla pittura.»
 
Lei conta all’ attivo la realizzazione di murales. Può accennare a questo tipo di lavori artistici, condividendo qualche ricordo?
«Ho iniziato a realizzare i miei primi graffiti già a 20 anni, all’Accademia di Belle Arti.
«Successivamente, nei lunghi anni di insegnamento, quello che ho cercato sempre di trasmettere ai miei ragazzi è di non aver paura né del foglio bianco né del muro bianco: ognuno deve cercare di essere sé stesso, di esprimere la propria originalità senza timore. Peraltro molti dei miei alunni del Liceo artistico di Rovereto sono poi diventati artisti.
«Oggi viviamo in un mondo dove chiaramente la tecnica è importante, ma non è tutto. Quello che conta è emozionare. Lavorare sulle grandi dimensioni, misurandosi con la spazialità, è divertente e liberatorio.»
 

 
Come nascono gli arazzi? Quali sono le fasi di realizzazione?
«Quello delle stoffe è un mondo che mi appartiene da sempre. Avevo tre cugine sarte molto più grandi di me, spesso da piccola stavo da loro e avevo modo di osservarle.
«La mia mamma in estate mi mandava a ricamare dalle suore, avevo più o meno dieci anni ma ricordo ancora quelle suggestioni. Per quanto riguarda le fasi di realizzazione degli arazzi, parto da un bozzetto, un dipinto da cui traggo ispirazione. Apro il baule delle stoffe e inizio a immaginare.
«Ogni stoffa ha una natura diversa, ognuna ha delle peculiarità. Mi piace sovrapporle e decidere, osservandole, quale elemento far emergere di volta in volta.
«Buco e faccio i sottopunti, è tutto fatto a mano, i ricami sono come segni, io utilizzo fili diversi, di differente colore, per creare dei lavori che abbiano carattere, che trasmettano gioia di vivere, energia positiva.»
 
Quanto impiega più o meno a realizzare una singola opera?
«Mediamente due mesi e mezzo, per le opere di media-grande dimensione, anche di più.»
 
Quante opere sono esposte e a quale periodo sono afferenti?
«Una ventina di lavori, realizzati a partire da metà degli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni nostri.»
 

 
Molti lavori prendono ispirazione dalle opere di suo marito, l’affermato artista di fama nazionale e internazionale Silvio Cattani: quando è nato il vostro sodalizio artistico?
«Ho iniziato a realizzare i primi arazzi molto tempo fa, agli inizi degli anni Ottanta, prendendo spunto dalle opere di Silvio Cattani, mio marito. I lavori che riportano la doppia firma prendono ispirazione dalle sue opere, dalle sue suggestioni.
«I suoi bozzetti vengono naturalmente da me reinterpretati. Il nostro sodalizio artistico parte da lontano. Io e mio marito ci siamo conosciuti all’Accademia di Belle Arti di Urbino, io avevo 19 anni e lui 20. Al terzo anno di Accademia ci siamo sposati, poi abbiamo finito gli studi a Venezia.»
 
Ci sono stoffe e materiali che predilige?
«Mi piacciono tutte le stoffe leggere, la seta è la più bella di tutte, la più versatile.»
 
Da artista come ha vissuto il difficile periodo legato alla pandemia?
«Durante il lockdown ho lavorato molto, ho avuto questa grande fortuna.»
 
Progetti futuri/sogni nel cassetto?
«Riprendere a viaggiare.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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