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Ala, Bosco dei Poeti: mostra imperdibile – Di Daniela Larentis

«Memorie. 43 artisti e il mondo del tessuto tra storia, arte e costume» sarà inaugurata l’8/7/22 a Palazzo Pizzini, in occasione della 25ª edizione di Città di Velluto

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Opera di Giovanni Cappelli.

Ad Ala prenderà il via a breve, nella sede di Palazzo Pizzini, in via Santa Caterina 2, un’interessante mostra dal titolo «Memorie. 43 artisti e il mondo del tessuto tra storia, arte e costume», curata dall'Associazione Bosco dei Poeti, con la regia del direttore artistico Riccardo Ricci. Verrà inaugurata il prossimo 8 luglio alle ore 18.00 in occasione della 25° edizione di Città di Velluto, manifestazione che si svolgerà l’8-9-10 luglio 2022. L’esposizione resterà aperta tutto il mese di luglio.
Prima di parlare della mostra, un breve cenno su «Città di Velluto», manifestazione di turismo culturale promosso dal Comune di Ala e organizzato dall’Associazione per il Coordinamento Teatrale Trentino.
La venticinquesima edizione rende omaggio alla storia della città di velluto, alle persone e ai luoghi.
 
Tra i numerosi appuntamenti in programma si propongono la partecipazione degli artisti più rappresentativi, la rivisitazione di eventi significativi presentati ad Ala dal 1998 ad oggi e la presenza dell’arte contemporanea e di spettacoli nuovi scelti come proposta alternativa affiancata alla tradizione e alla storia della città.
A Città di Velluto gli spettacoli di teatro e danza, le visite ai palazzi, i concerti, le mostre d’arte e i laboratori per bambini contribuiscono a far vivere l’affascinante esperienza e ad immergersi in un fantastico barocco, degustando i tipici prodotti enogastronomici del territorio, tra cortili del centro storico.
 

Opera di Vanni Viviani.
 
Quest’anno ricorre anche il duecentocinquantesimo anniversario dalla seconda visita del giovane Mozart ad Ala, un momento per ricordare l’importante incontro con la città.
In occasione dei venticinque anni della manifestazione viene pubblicato un catalogo della memoria, con contributi di alcuni dei principali protagonisti che hanno seguito la nascita e l’evolversi di Città di Velluto.
Per quanto riguarda la mostra organizzata dall'Associazione Bosco dei Poeti, le opere esposte sono afferenti alla «Storia dell'Arte e Costume nell'Industria Tessile» (1983, Edizioni Omar Aprile Ronda), interpretata da famosi artisti del '900 italiano; si tratta di una straordinaria raccolta impreziosita dai testi del prof. Mauro Vercellotti, studioso di storia della cultura tessile, tirata in soli 150 esemplari numerati (più una decina di copie per i musei delle principali città tessili del mondo).
 
Le quarantatré opere sono state realizzate da grandi Maestri che hanno dedicato un loro lavoro alla produzione del tessuto nei secoli e precisamente: Valerio Adami, Fabrizio Clerici, Remo Brindisi, Giuseppe Zigaina, Bruno Cassinari, Floriano Bodini, Federica Galli, Valeriano Trubbiani, Enrico Paulucci, Ernesto Treccani, Luciano Minguzzi, Antonio Possenti, Lucio Del Pezzo, Vanni Viviani, Emilio Greco, Pietro Annigoni, Giuseppe Ajmone, Antonio Bueno, Domenico Purificato, Bruno Caruso, Arnaldo Pomodoro, Tono Zancanaro, Giovanbattista De Andreis, Giovanni Cappelli, Giuseppe Giannini, Francesco Tabusso, Enzo Bellini, Mario Calandri, Renzo Biasion, Giuseppe Migneco, Concetto Pozzati, Arturo Carmassi, Giancarlo Cazzaniga, Robert Carroll, Enrico Baj, Franco Rognoni, Franco Rognoni, Francesco Casorati, Orfeo Tamburi, Ugo Nespolo, Ennio Morlotti, Emilio Tadini, Giuseppe Guerreschi e Gianni Dova.
È estremamente interessante ripercorrere le tappe principali della storia della produzione tessile, attività manifatturiera dalle origini antichissime.
 

Opera di Antonio Bueno.
 
Evidenzia Mauro Vercellotti nel passo iniziale del suo intervento critico: «Il piccolo edificio di tre piani, che Thomas Cotchett fece costruire nel 1702, lungo il fiume Derwent a Derby (Inghilterra), doveva semplicemente ospitare una filatura azionata da energia idraulica; coll'andar del tempo divenne qualcosa di molto più importante, un vero «monumento» nella storia del lavoro umano: la prima fabbrica, il primo resto fisico di un processo tutt'ora in atto.
Il lungo cammino della cosiddetta cultura materiale conquistava un'altra grande tappa, propiziata da scoperte ed innovazioni tecnologiche, da applicazioni sempre più perfezionate e creative di materiali e di procedimenti: passò molto tempo prima che il fenomeno fosse capito in tutta la sua portata, complice una cultura classico/idealistica che non seppe, o forse non volle accorgersi dei profondi muta menti economici, sociali, antropologici che stavano maturando.
Scelte quali quella di Cotchett divennero un fenomeno più evidente e generalizzato nel secolo successivo, l'Ottocento: lo sviluppo e le innovazioni di una attività apparentemente stabile e radicata nella realtà quotidiana quale quella tessile, comportò una tale serie di modificazioni, da influire non solo su tutti gli altri settori di produzione, ma anche da sconvolgere la vita di ogni giorno, nelle sue più semplici abitudini […].»
 
Ed è ancora Vercellotti a commentare le tavole dei singoli artisti, spiegando, per esempio, nel testo che accompagna la litografia di Giovanni Cappelli, quando avvenne la definitiva affermazione del telaio orizzontale: «Durante il Medio Evo – scrive – si ebbe il perfezionamento e la definitiva affermazione del telaio orizzontale: attraverso l’aggiunta di un maggior numero di licci e di pedali si tentò di accrescere la velocità, la facilità operativa e la gamma di disegni ottenibili.
«Per sveltire l’azione di intreccio si utilizzò la NAVETTA, un pezzo di legno incavato contenente il filo di trama, avvolto su di una bobina o spola; i licci e la navetta erano inizialmente azionati a mano, poi, attraverso leve e pedali, vennero meccanizzati, permettendo di diminuire via via il numero di addetti ad un solo telaio.
«Studi per il perfezionamento del movimento della navetta furono portati avanti anche da Leonardo da Vinci, che progettò un sistema per automatizzare l’azionamento.»
 

Opera di Bruno Caruso.
 
E ancora, mettendo in luce, nel commento associato alla litografia «L’arcolaio» realizzata dall’artista Antonio Bueno, i cambiamenti sociali avvenuti nel tempo:
«Dall’immagine calma e distesa della vita in famiglia, che pur tra mille difficoltà e sacrifici sapeva dare il calore di molte presenze amiche, si passò alla vita anonima dell’industria.
«Nuovi ritmi di lavoro, dunque di vita, misero in crisi le figure domestiche, portando cambiamenti di ruoli e di prestigio nell’ambito del gruppo: furono gli uomini i primi a pagare il prezzo della distanza da casa, alla ricerca di un posto e di un salario sicuro, ma le crisi ricorrenti, anche nell’industria, portarono ulteriori motivi di inquietudine.
«Rodeva l’assillo della conservazione del posto di lavoro, appena conquistato e già in pericolo: l’uomo, all’inizio aiutato, incominciava a sentirsi in opposizione alla macchina, che lentamente lo espropriava dei suoi tempi e della sua libertà… erano queste solo le prime avvisaglie di ben più gravi e nuovi problemi.»
 
Ricorda, poi, nel testo che accompagna l’acquatinta di Francesco Casorati «Primi scioperi dei tessili», le implicazioni sociali della nuova organizzazione del lavoro: «La nuova organizzazione del lavoro – scrive – provocò all’inizio momenti di forte disoccupazione, poiché l’uso delle macchine riduceva il numero degli addetti: la rabbia dei lavoranti si scagliò contro telai e filatrici, sfasciati a colpi di martello.
Nel 1779, da una violenta reazione di Ned Lud contro le macchine, nacque una società segreta, che in Inghilterra su assunse il compito di organizzare le prime agitazioni; il movimento prese il nome di «luddismo».
 

Opera di Francesco Casorati.
 
Gravi e numerosi furono i tumulti del 1811 e del 1816, che provocarono durissime reazioni, deportazioni e impiccagioni. Nell’insurrezione di Lione, del 1831, per la prima volta gli operai si batterono per i loro interessi. I tessitori lavoravano 17/18 ore al giorno, in tuguri dove non entrava mai il sole, non avevano un domicilio proprio o vivevano ammucchiati con le famiglie in poveri alloggi di una o due stanze. Per tener testa alla concorrenza, gli industriali non avevano esitato a ridurre le tariffe del cottimo; gli operai chiesero allora un salario minimo, al di sotto del quale non si potesse scendere. Dopo mesi di trattative, durante il fuoco sui dimostranti: 400 furono i morti.»
 
Il commento alla litografia di Vanni Viviani, intitolata Il filo di Arianna, rinvia invece alla mitologia greca: «[…]Il mostro non può uscire dal labirinto, ma vuole sette ragazzi e sette ragazze in sacrificio: Arianna aiuta l’amato Teseo, abbandona per lui Creta natìa e segue il bel seduttore.
Ma nella notte l’ingrato fugge, dimentico del filo liberatore: ucciso il Minotauro, usa l’astuzia di Arianna per cogliere la gloria, e abbandona la giovane nella disperazione dell’inganno patito.»
 

Opera di Giuseppe Ajmone.
 
Abbiamo citato solo alcune opere, in mostra sarà possibile ammirarle tutte.
Questa è una mostra che sorprenderà il visitatore, il tema affrontato a noi ricorda fra l’altro l’argomento trattato in un libro che parla di una forma di produzione tanto importante quanto spesso dimenticata, quella del lavoro a domicilio di donne che, all’interno delle loro case, hanno lavorato e lavorano per l’industria manifatturiera.
A parlarne in maniera esaustiva è Tania Toffanin nel volume intitolato «Fabbriche invisibili - Storie di donne, lavoranti a domicilio» (Edizioni Ombre Corte), una lettura che abbiamo trovato estremamente interessante, ricca di spunti di riflessione, che sottolinea il legame, come la stessa autrice evidenzia nella sua analisi, tra lavoro produttivo, retribuito, e lavoro riproduttivo, del tutto privo di riconoscimento, che avviene nella completa invisibilità dell’ambiente domestico (la zona geografica da lei presa in esame è in particolare l’area della Riviera del Brenta).
 
Toffanin spiega nel capitolo «Industrializzazione e ideologia della domesticità»:
«Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, l’attività lavorativa retribuita delle donne riguarda principalmente il lavoro industriale, in particolar modo nell’industria tessile […]».
Sottolineando qualche pagina dopo, in un altro passo della sua disamina: «L’attività lavorativa delle donne si intensifica, poi, durante il periodo bellico: durante la Prima guerra mondiale migliaia di donne sono impiegate nella confezione di abbigliamento militare e in tutte le posizioni lavorative che prima del conflitto interessano esclusivamente la forza-lavoro maschile.
«L’industria delle confezioni si sviluppa all’interno di piccoli laboratori di matrice artigianale e all’interno delle abitazioni. Vi lavorano ragazze occupate come cucitrici, ricamatrici, stiratrici e sarte. Le sartine, in particolare, sono tra le meno pagate […]».
 
Ma qui ci fermiamo, sperando di aver solleticato la vostra curiosità, invitandovi a visitare la mostra a Palazzo Pizzini e ad accogliere inoltre le tante altre allettanti proposte legate a «Città di Velluto».

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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