Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | Paolo Bonafede, «Connessioni e Relazioni» – Di Daniela Larentis

Paolo Bonafede, «Connessioni e Relazioni» – Di Daniela Larentis

Il saggio presentato lo scorso dicembre all’Associazione culturale «A. Rosmini» di Trento parla delle nuove sfide della società digitale – L’intervista

image

Immagine tratta dalla copertina del libro «Connessioni e Relazioni»

Presentato lo scorso dicembre all’Associazione culturale Antonio Rosmini di Trento, nell’ambito di un’interessante conferenza sulle nuove sfide della società digitale, l’ultimo libro di Paolo Bonafede, ricercatore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Moderatore dell’incontro il prof. Claudio Tugnoli, Presidente dell’Associazione.
Il volume intitolato «Connessioni e Relazioni - Filosofia dell’educazione e socialità digitale» (Edizioni Anicia) focalizza l’attenzione sull’uso delle tecnologie digitali.
Nonostante le nuove tecnologie della comunicazione siano entrate da tempo nelle nostre vite noi non dovremmo darle per scontate, al contrario dovremmo valutarne gli utilizzi con senso
critico.
I nuovi media digitali sono considerati il luogo dell'esperienza contemporanea, ci offrono la possibilità di costruire relazioni sociali attraverso internet, ma non sono privi di rischi.Le tecnologie di per sé sono neutre, tuttavia gli usi che se ne fanno possono avere degli effetti sia positivi che negativi.
 
Alcune brevi note biografiche prima di passare all’intervista.
Paolo Bonafede è ricercatore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.
Dottore di ricerca, indaga il rapporto tra ICT, identità e socialità umana, affrontato secondo uno sguardo filosofico-educativo («Frammenti di lettura e di memoria: imparare nella scuola della contemporaneità digitalizzata», in «Studium Educationis, 3/2020).
Compie inoltre studi storico-pedagogici sulle teorie filosofiche del XIX secolo («L’altra pedagogia di Rosmini», Trento UP, 2019) e sulla filosofia dell’educazione del XX secolo («Kritik und Grund: indagine su alcune linee di filosofia dell’educazione italiana», in «I Problemi della pedagogia», 1/2020).
Socio della Siped e del CIRSE, è infine membro del CEMET (Centro di ricerca su Educazione, Media e Tecnologie) dell’Università di Bologna.
Abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
 

 
Che cosa si intende per «stile di vita always on»?
«Già una decina di anni fa se ne parlava nel saggio La mente accresciuta di D. De Kerckhove. L’idea è quella di considerare l’epoca degli smartphone un’epoca di grande cambiamento rispetto al passato.
«La generazione always-on è caratterizzata appunto dall’essere sempre raggiungibile grazie al proprio dispositivo mobile, in dialogo costante con il mondo.
«È una generazione iperstimolata che costruisce la propria identità attraverso i social media. Lo smartphone non permette di non essere reperibili, le notifiche costanti che noi riceviamo non ci consentono in qualche modo di creare e vivere uno spazio di riflessione personale al di fuori di quella che è la vita digitale, siamo costantemente collegati e connessi.»
 
Quando nasce la «Media Education» e quale obiettivo si pone?
«La Media Education è una disciplina giovane e in costante evoluzione che nasce ufficialmente negli anni Settanta del XX secolo e che si colloca tra le Scienze dell’Educazione e della Comunicazione.
«L’intento è quello di educare a quella che è la lettura del sistema mediale; inizialmente l’attenzione è focalizzata sugli aspetti semiotici, d’interpretazione e analisi del linguaggio cinematografico e della televisione.
«È chiaro che diventa qualcosa di diverso a partire dagli anni 2000, prima con i computer e poi con gli smartphone.
«L’obiettivo che si pone è quello di progettare un sistema olistico, complesso e integrato di azioni, ambienti e programmi di insegnamento e apprendimento per tutti, che consegni, come spiego nel libro, un efficace e sano equilibrio per la crescita formativa anche attraverso l’uso dei dispositivi digitali.
«Un aspetto interessante della Media Education, essendo legata ai media, alle diverse tipologie di forme di comunicazione, è che si tratta di una disciplina in evoluzione tanto quanto lo è la tecnologia che ci permette di comunicare determinati messaggi.
«Ci sono figure che possono essere ricondotte, anche se non in maniera diretta, a questa disciplina, in particolare don Lorenzo Milani e il pedagogista Celestine Freinet, entrambi da considerarsi dei padri putativi che hanno fornito l’ispirazione per una proposta educativa costruttiva e di apprendimento dei linguaggi mediali.»
 
Il rapporto fra l’uomo e la tecnologia può essere inteso in diversi modi. Come lo ha declinato nel saggio?
«A me sembra che, spesso e volentieri, il rischio che corriamo è quello di una polarizzazione tra chi considera solo la tecnologia come foriera di tutti i mali, e pertanto la vuole escludere, e dall’altro chi vede l’essere umano come colui che ha generato il male, quindi la considera come ciò che ci salverà. Dal mio punto di vista è chiaro che dobbiamo provare a percorrere la via del camminare insieme, la via dell’et…et.
«L’essere umano ha delle caratteristiche antropologiche uniche, non sostituibili; pensiamo alle ultime tecnologie, agli influencer virtuali che stanno emergendo soprattutto in Oriente, e che, sostanzialmente, svolgono il compito di esseri umani, coprendo il ruolo di alcune professioni.
«L’obiettivo è chiaramente quello di sostituirsi all’essere umano per contenere i costi di determinate aziende.
«Qui manca e mancherà sempre quella dimensione umana che travalica l’aspetto della programmazione; le tecnologie si fermano laddove c’è la nostra capacità di programmarle e di definirle per quelli che sono i loro compiti, c’è quindi uno scarto che non può essere mai, a mio avviso, superato.
«Dall’altra parte l’essere umano deve sempre più cercare di comprendere il suo ruolo all’interno di questo mondo tecnologico e informazionale, e qui entra in gioco anche il compito dell’educazione e della formazione.»
 
Su quale aspetto ha voluto focalizzare maggiormente l’attenzione?
«Ho voluto focalizzare l’attenzione su diversi aspetti, legati al processo di costruzione dell’identità, al concetto di socialità legato all’utilizzo delle tecnologie come strumenti per generare forme di comunicazione e per consolidare rapporti.
«Dovremmo, cioè, tornare a utilizzare questa capacità di creare ponti, creare connessioni che portino alle relazioni significative, autentiche. Il testo recupera anche alcuni autori della filosofia e della filosofia dell’educazione che hanno lavorato molto sul tema delle relazioni, come Buber e Rosmini.»
 
Quale obiettivo si è posto principalmente nella stesura del libro?
«L’obiettivo del volume è quello di offrire una base solida alla realtà educativa utilizzando la metodologia critico-ermeneutica propria della filosofia dell’educazione.
«L’intenzione è quella di invitare gli studenti e i lettori a una riflessione sul loro modo di intendere l’uso della tecnologia, ragionando su quanto questo uso influisca sulla loro capacitò di rapportarsi a sé stessi e agli altri.
«Perché a me sembra evidente che rispetto a un decennio fa ci siano stati dei cambiamenti nel modo di relazionarsi che dipendono non tanto dal tempo trascorso ma soprattutto dalla tecnologia che è stata utilizzata e che ha modificato in parte questi rapporti.
«L’interesse centrale, da questo punto di vista, è poter sollecitare una riflessione su quello che è il proprio stile di comunicazione, sulla costruzione di sé e delle relazioni con gli altri.»
 
La Rete genera tutta una serie di opportunità relazionali e commerciali ma costituisce anche una forma di potere. Può condividere un breve pensiero a riguardo?
«È chiaro che le intenzioni con cui nascono determinate piattaforme che in qualche modo ci dominano, dominano il mercato e la nostra modalità di interazione, non sono certamente neutre.
«La logica della quantificazione nasce con il pollice di Facebook. La spettacolarizzazione di diversi ambiti della nostra vita si basa su questa ricerca del successo, però le nostre relazioni non sono generate e non si vivono sulla base di un successo o di una popolarità, almeno le relazioni significative, le relazioni autentiche.
«L’obiettivo secondo me è scardinare questi meccanismi dal basso, in senso non ovviamente rivoluzionario, ma con l’obiettivo in qualche modo di fare di noi uno dei laboratori di relazioni significative.»
 
Frequentare in modo assiduo Facebook o altri social media può portare a quello che uno studioso di comunicazione, Lovink, ha definito «ossessione collettiva» per la gestione dell’identità personale. Lei cosa ne pensa?
«Dal mio punto di vista esiste effettivamente un’ossessione collettiva per la gestione dell’identità personale, ed è una delle cifre con cui possiamo leggere la contemporaneità; ciò comporta da un lato una generale tendenza all’immaturità, cioè l’adulto sparisce come figura di riferimento, come figura capace di conoscere i propri limiti, capace di essere in qualche modo anche portatore di un’umanità fragile, ferita.
«Ci sono poi gli adolescenti da considerare, il rischio è soprattutto nella fase tra la preadolescenza e la prima adolescenza, quindi tra i 12 e i 15 anni, quando spesso e volentieri gli smartphone sono già in mano ai ragazzi; in questa fase il rischio è proprio quello di vedere situazioni in cui il social media di riferimento può diventare un luogo pericoloso per la costruzione di sé.
«II volume vuole in qualche modo essere un invito a scardinare queste dinamiche, non privandosi di questi strumenti che possono essere utili se usati correttamente.»
 
Progetti editoriali futuri?
«Collaboro con alcuni studiosi di un centro di ricerca presso l’Università di Bologna sul tema del benessere digitale e degli usi degli strumenti digitali degli adolescenti durante e dopo la pandemia.
«Un tema su cui abbiamo fatto numerose ricerche, anche a livello statistico; proveremo a pubblicare un testo nei prossimi mesi, entro il prossimo anno. Io lavoro nell’ambito della filosofia dell’educazione, ho diverse idee in testa che vorrei sviluppare, in particolare sul tema della nostra realtà e della costruzione dell’identità all’interno del contesto odierno.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande