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Inaugurate al Mart tre nuove mostre – Di Daniela Larentis

La prima è dedicata ad Albrecht Dürer, la seconda a Bartolomeo Bezzi e la terza alla pittura cinese contemporanea – Sono visitabili fino a marzo-aprile 2024

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Bartolomeo Bezzi, Sulle rive dell'Adige, 1885, Mart, di Trento e Rovereto.

Inaugurate il 7 dicembre al Mart Rovereto tre nuove importanti mostre, accompagnate da esaustivi cataloghi: la prima, «Dürer, Mater et Melancholia», a cura di Daniela Ferrari e Stefano Roffi, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, sarà visitabile fino al 3 marzo 2024 (il progetto di allestimento è firmato dagli architetti Michelangelo Lupo e Giovanni Wegher).
Provenienti dalle prestigiose collezioni della Fondazione Magnani Rocca, giungono al Mart la celebre «Madonna col bambino», eseguita alla fine del XV secolo nel corso di uno dei noti viaggi di formazione in Italia, e una serie di incisioni tra le quali spicca Melencolia I.
 
Attorno a queste opere universali, scelte per rappresentare i temi ricorrenti della maternità e della melanconia, si sviluppa il percorso espositivo pensato dai curatori.
Articolato in cinque sezioni – Maternità, Malinconia, Malinconie della stanza e dalla partenza, Malinconie dell’artista, Opere al nero – è costituito da circa 70 opere provenienti da collezioni private e pubbliche, come il Museo Segantini di Saint Moritz, la Galleria dell’Incisione di Brescia, il Castello del Buonconsiglio di Trento, la collezione UniCredit, il Museo Morandi di Bologna e la Galleria d’Arte Moderna di Milano.
 

Feng Zhijia, Van Gogh’s room, 2023.
 
I prestigiosi prestiti dialogano con una selezione di opere provenienti dalle Collezioni Mart.
Oltre alla possibilità di ammirare i capolavori di Dürer, eccezionalmente prestati dalla Fondazione Magnani Rocca e posti in dialogo con vere e proprie pietre miliari della storia dell’arte italiana, in mostra sono esposte due preziose incisioni di Giorgio Morandi: «Natura morta con pane e limone» del 1921 e «Grande natura morta scura», del 1934.
Esposta un’altra opera straordinaria: l’«Autoritratto con il fratello» di Giorgio de Chirico, eseguito nel 1924.
L’opera, che da decenni non viene esposta al pubblico, è recentemente entrata a far parte delle Collezioni del Mart a seguito di un’acquisizione della collezione tedesca VAF-Stiftung.
 
Per quanto riguarda il percorso espositivo, nella prima sezione, Maternità, il pubblico incontra la Madonna col Bambino di Dürer e una Madonna col Bambino in trono, proveniente dal Castello del Buonconsiglio, eseguita nella seconda metà del XV secolo da un non meglio identificato scultore sudtirolese.
Queste maternità dialogano con i lavori di Giovanni Segantini, Max Klinger, Otto Greiner, Medardo Rosso, Adolfo Wildt, Umberto Boccioni, Gino Severini, Felice Casorati, Lucio Fontana, Giannetto Fieschi, Jean-Pier Velly, Hubert Kostner e Andrea Mastrovito, che per la mostra ha realizzato un’opera site specific.
 

Albrecht Durer, Madonna col Bambino, 1495, olio su tavola.
 
In Malinconia l’incisione di Dürer è messa in relazione con l’opera seicentesca di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto e con lavori di Achille Funi, Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Giovanni Colacicchi, Arturo Martini oltre al già menzionato Boccioni.
La sezione Malinconie della stanza e della partenza ospita Alberto Savinio, Felice Casorati, Emanuele Cavalli e ancora di de Chirico e Wildt.
In Malinconia dell’artista sono raccolte opere di Lino Frongia, Carlo Maria Mariani, Fabrizio Clerici, Carlo Guarienti, Stanislao Lepri e nuovamente Alberto Martini. Il percorso si conclude con la preziosa sezione dedicata alle Opere al nero.
Qui le incisioni di Dürer dialogano con quelle straordinarie di Rembrandt, Giorgio Morandi e Giovanni Segantini. Chiudono la mostra due dipinti di Gaetano Previati e Michele Parisi.
 
Spiega il presidente Vittorio Sgarbi, a proposito di «Madonna col Bambino» di Albrecht Dürer: «Proveniente dal Monastero delle Cappuccine di Bagnacavallo, istituito nel 1774, il dipinto è attestato presso quella sede dalla fondazione del convento.
«Rimase sconosciuto fino al 1961, quando don Antonio Savioli sul Bollettino diocesano di Faenza ne diede segnalazione, citando l’indicazione attributiva di Roberto Longhi ad Albrecht Dürer, basata su una fotografia.
«Il Savioli, per documentare l’antichità della presenza del quadro nel convento, ricorda una mediocre copia neoclassica, colà conservata, eseguita probabilmente per salvare il dipinto, certo tenuto in grande stima, dalle espropriazioni napoleoniche; ricorda inoltre che nella prima metà dell’Ottocento l’artista faentino Angelo Marabini ne trasse una debole incisione, sulla quale si legge la denominazione Madonna del Patrocinio, che indica una consuetudine devozionale di antica data.»


Bartolomeo Bezzi, Riva di Trento, 1886 - Collezione privata. Courtesy Enrico Gallerie d'arte.
 
«Il Longhi, che immediatamente dopo pubblicò il dipinto su Paragone, con l’accertata attribuzione al maestro tedesco, soggiunse alcune osservazioni sui restauri subiti dall’opera per denotarne le più remote origini: “L’uno, forse inteso ad ovviare gli effetti di una vecchia bruciatura, comprende un’intera ciocca della chioma ricadente sulla destra del volto della Vergine e, per la notevole perizia della esecuzione, mostra di essere stato condotto da mano «filologicamente” addestrata e pertanto, direi, non prima del secolo dei lumi; l’altro, più che un vero restauro, è un’aggiunta che, provvedendo a mascherare certe parti del Bimbo, mostra di essere stata indotta da scrupoli moralistici post-tridentini e infatti, anche tecnicamente, denota il tardo Cinquecento.
«Sarà dunque stato bene tramandarne notizia ed immagine prima che la giusta pulitura provveda a rimuoverla; anche perché gli scrupoli che la provocarono suggeriscono che già molto per tempo l’opera fosse entrata in un convento di clausura femminile, anche senza voler affacciare l’eventualità che essa fosse destinata per un ritiro emiliano piuttosto che per Venezia, città di cultura più libera e di meno stretta osservanza tridentina
 
«Quando il dipinto, con il pieno consenso delle autorità ecclesiastiche e degli uffici regionali delle Belle Arti, giunse nella raccolta Magnani, si provvide alla giusta pulitura e le condizioni originali furono mirabilmente risarcite grazie a un intervento dell’Istituto Centrale del Restauro nel 1970.
«Nel saggio il Longhi conferma la sua prima impressione che la Madonna del Patrocinio sia stata eseguita dal Dürer al tempo del secondo viaggio in Italia, dal 1505 al 1507, tra Venezia e Bologna [...]»
 

Albrecht Dürer, Melencolia I, 1514, Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR).
 
«Il sentimento del tempo», dedicata all’artista trentino Bartolomeo Bezzi (1851-1923), è la seconda straordinaria mostra proposta dal Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, visitabile fino al 3 marzo 2024.
Dopo una mostra a Castel Caldes, organizzata dal Castello del Buonconsiglio, curata da Roberto Pancheri, e una seconda al Palazzo Assessorile del Comune di Cles, il progetto arriva al Mart con un ultimo appuntamento espositivo.
A cura di Margherita de Pilati, la rassegna ospitata a Rovereto presenta 17 opere di grandi dimensioni con cui l’artista, tra i più importanti pittori trentini dell’Ottocento, di cui ricorre quest’anno il centenario della morte, si fece conoscere e amare dai collezionisti e dai critici d’arte del suo tempo, grazie al forte impianto compositivo di paesaggi e vedute.
 
Si tratta di quei dipinti che hanno decretato la fortuna e la fama dell’autore all’estero e in Italia, aggiudicandosi premi prestigiosi nelle più importanti competizioni artistiche dell’epoca.
Originario di Ossana in Val di Sole, dove nacque nel 1851, Bartolomeo Bezzi intraprese la propria formazione artistica all’Accademia di Brera e divenne ben presto una figura di spicco dell’ambiente artistico milanese.
Trasferitosi a Venezia nel 1890, contribuì in modo determinante alla fondazione della Biennale, che gli dedicò una mostra personale nel 1914.
Negli ultimi anni di vita si ritirò a Cles, nel suo Trentino, dove morì l’8 ottobre 1923 dopo un lungo periodo di inattività.
 

Bartolomeo Bezzi, Giorno di magro, 1895, Palazzo Reale di Napoli.
 
I suoi temi preferiti furono il paesaggio e la veduta, ma occasionalmente si cimentò anche con il ritratto e le scene di genere, con una particolare propensione alla rappresentazione della figura umana dal vero.
Tra i celebri paesaggi che hanno contribuito alla fama dell’artista, sono presenti in mostra il dipinto con cui Bezzi si affacciò sulla scena artistica nazionale «La valle di Rabbi» (1878), l’opera dal tocco leggerissimo e dal vasto impianto spaziale «Sulle rive dell’Adige» (1885) e tre dipinti dedicati alla rappresentazione del cielo, «Raggio di luna» (1899 c.), «Amori dell’aria» (1899 c.) e «Fantasie dell’aria» (1905).
Nel percorso espositivo si incontra anche uno dei lavori veneziani più celebri di Bezzi: «Giorno di magro» (1895), acquistato alla Biennale di Venezia da re Umberto I e premiato con medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi.
Il dipinto raffigura le donne al mercato del pesce in Campo Santa Margherita e rappresenta una delle sporadiche testimonianze di opere dell’artista legate alla vita quotidiana della città lagunare.
 
La terza mostra dal titolo «Global Painting - La nuova pittura cinese» è dedicata alla pittura cinese contemporanea, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e Silvio Cattani, a cura di Lü Peng e Paolo De Grandis con Carlotta Scarpa e Li Guohua. In collaborazione con Moca Yinchuan e PDG Arte Communications.
Si tratta di una mostra internazionale sui pittori emergenti provenienti dalla Cina. Ventiquattro giovani interpreti di un paesaggio storico e sociale in cambiamento, i cui lavori non sono mai stati presentati in Italia. A dieci anni esatti dalla presentazione di Passage to History: 20 Years of La Biennale di Venezia and Chinese Contemporary Art alla 55. Biennale d’Arte, una nuova generazione di artisti cinesi si presenta all’Europa con una mostra itinerante.
Dal 7 dicembre al 14 aprile 2024 il Mart di Rovereto ospita la prima tappa del progetto che, nel corso del prossimo anno, sarà presentato a Belgrado, Praga e Londra.
 

Xu Dawei, Red sun, 2023.
 
Esponenti di un movimento artistico identificato nel contesto cinese come «Nuova pittura», i protagonisti di questo orientamento professano il ritorno alla pittura come linguaggio artistico privilegiato.
Come spiega il curatore Lü Peng nel catalogo che accompagna la mostra, edito da Skira:
«Ho cominciato a utilizzare l’espressione Nuova pittura cinese nel 2007, collocandola nell’intersezione tra Realismo cinico e Pop politico.
«Ciascuna di queste correnti rinuncia alle riflessioni sull’esistenzialismo per rivelare problemi reali, si allontana dagli standard puramente occidentali per abbracciare un atteggiamento universale e globale.
«Nella Nuova pittura non ci sono più critiche a ideali condivisi, ognuno esprime il suo particolare conflitto; non si discute più di cosa sia l’arte, ma si sostengono le posizioni della storia dell’arte; non esistono interpretazioni univoche della realtà ma concetti espressi in modo chiaro e limpido.»
 
La Nuova pittura cinese favorisce le espressioni dell’individuo, osserva le differenze e il particolare, vive nel presente e nell’immediato.
I curatori della mostra sottolineano come questa nuova corrente non agisca all’interno di un contesto puramente cinese, ma piuttosto in uno scenario globale in cui, pur toccando temi tipicamente cinesi, li reinterpreta alla luce di valori universali e condivisi.
In questo contesto, il rapporto tra individuo e collettività evolve, influenzato dalla globalizzazione, dalle interconnessioni e dalle rivoluzioni tecnologiche.

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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