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Il pensiero di Steve Jobs a proposito del rischio di fallire – Di Daniela Larentis

Nell’era della solitudine e dell’individualismo esasperato si teme più di tutto il fallimento

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Viviamo in mondo difficile dove regna la contraddizione e dilaga un individualismo esasperato, dove c’è ancora chi sogna, fortunatamente, ma anche chi, al contrario, rinuncia alle proprie aspirazioni in partenza per paura di un’eventuale disfatta; è un mondo complesso dove si vive costantemente sospesi nell’incertezza, dove si cerca disperatamente di avere un minimo controllo sulla propria esistenza e dove talvolta è arduo immaginare di poter spendere una vita futura serena; è anche un luogo dove sempre più riveste importanza la capacità di saper gestire ciò che è diverso da noi stessi, un «non-luogo» dove abbiamo smarrito anche la nostra identità, il nostro senso di appartenenza.
Non si dovrebbe mai, però, rinunciare a realizzare i propri sogni. I sogni sono l’unica cosa che ci resta, è ciò che dà sapore alla vita, poco importa se poi riusciremo a realizzarli o meno.
Quanto meno ci avremo provato. Il rischio di fallire lo dobbiamo mettere anche in conto, certo, ma con la consapevolezza che siamo qui solo di passaggio, accettando anche la possibilità che qualcosa possa andare storto, senza per questo lasciarsi portar via la speranza.
Occorre accettare il rischio che ogni scelta comporta, del resto lo insegna anche la saggezza popolare: «chi non risica non rosica».
La domanda che sorge spontanea è: «siamo davvero liberi di scegliere?»
E chi lo sa, difficile è stabilire cosa si nasconda dietro ogni scelta.
Una volta c’era chi sognava il matrimonio, impegnandosi poi nel cercare di onorare la promessa fatta con convincimento, ora non solo molti non desiderano più nemmeno sposarsi, ma chi lo ha già fatto e vorrebbe disimpegnarsi non arriva nemmeno a sognare il divorzio, poiché arriva in tempi troppo brevi.
Questa è l’era del tutto e subito e del veloce cambio d’abito. I sogni, a ogni modo, di qualsiasi natura possano essere, crescono sul terreno fertile del tempo.
 
Non lasciamoci derubare dei nostri sogni, della voglia di immaginare un futuro anche quando tutto attorno a noi va nella direzione contraria.
Non siamo venuti al mondo per accumulare una gran quantità di cose spesso inutili, non siamo venuti al mondo per arraffare il più possibile, non siamo venuti qui per arrivare primi in una gara a cui non abbiamo chiesto di partecipare; forse si è qui semplicemente per impegnarsi in qualcosa che dia senso alla propria esistenza, forse si è qui per affinare il gusto di mettere in gioco le proprie capacità, forse si è qui per aiutarsi l’un l’altro e per cercare di dare una risposta a bisogni ben più profondi dell’accumulo seriale.
Forse si è qui solo per imparare a sognare. Rinunciare a un sogno è rinunciare alla parte migliore di se stessi e, diciamolo, il fallimento può fare molto male, ma non lo si deve temere.
Nei momenti di difficoltà può essere d’aiuto il pensiero che a ogni rigido inverno segue sempre la primavera. Èmeglio abituarsi a guardare sempre avanti con coraggio, sviluppando un approccio alla vita gioioso che sappia però accettare anche l’insuccesso, del resto l’esistenza di tutti è più o meno costellata di problemi da affrontare, di eventi lieti e frustrazioni che si alternano (se è vero che la felicità è questione di attimi e che la gioia ha breve durata, nemmeno la sfortuna può durare in eterno), l’importante è «non gettare la spugna» e non perdere la voglia di vivere.
 

 
A proposito del rischio di un eventuale fallimento, ecco qual era il pensiero di Steve Jobs (Brent Schlender, «The Three Faces of Steve», Fortune, 9 novembre 1998, riportato nella pubblicazione a cura di George Beahm dedicata a Steve Jobs, edita da Bur, Rizzoli, dal titolo «Siate affamati siate folli»): «Uno dei miei modelli di riferimento è Bob Dylan. Mentre crescevo imparai a memoria i testi di tutte le sue canzoni e vidi che non restava mai immobile.
«Se osservi gli artisti, quando diventano veramente bravi, a un certo punto si rendono invariabilmente conto che possono fare quella stessa cosa per il resto della vita, e possono essere davvero vincenti agli occhi del mondo esterno senza esserlo davvero ai propri.
«È in quel momento che un artista decide chi è. Se continua a rischiare di fare fiasco, rimarrà un artista. Dylan e Picasso rischiavano sempre. Questa storia di Apple è proprio così, per me. Non voglio fallire, ovviamente. Ma anche se non sapevo quanto era grave la situazione in realtà, ho dovuto comunque rifletterci su a lungo prima di dire di sì.
«Ho dovuto considerare le implicazioni per Pixar, per la mia famiglia, per la mia reputazione. Ho deciso che non m’importava, in realtà, perché questo è ciò che voglio fare. Se faccio del mio meglio e fallisco, beh, avrò fatto del mio meglio.»
 
Una precisazione: Steve Jobs, fondatore della Apple insieme a Steve Wozniak, agli inizi degli anni Ottanta creò con John Lasseter la compagnia Pixar, la quale debuttò con Toy Story, il celebre lungometraggio (un cartoons realizzato mediante la tecnica digitale) ambientato in un mondo in cui i giocattoli prendono vita.
L’inventore dell’I-pod divenuto leggenda, l’uomo che ha trasformato il computer in uno strumento di comunicazione e divulgazione di massa, ha avuto grande fama e riconoscimenti, ha collezionato enormi successi, ma anche delusioni e qualche flop; nei primi anni del 2000, tanto per fare un esempio, la Apple mise fuori produzione un piccolo gioiello lanciato da Jobs solo dodici mesi prima, il Cube (Power Mac G4 Cube), un computer che, grazie al suo splendido design, ottenne certamente degli elogi, ma che non piacque al pubblico (pare fosse troppo costoso).
Questo insuccesso non fermò certo Jobs, il quale arrivò dove tutti sanno.
Come lui stesso affermò, l’importante in ogni situazione è fare del proprio meglio: se facendolo si fallisce, pazienza, ci si potrà consolare pensando di aver fatto il possibile.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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