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Il linguaggio del mondo vegetale – Di Daniela Larentis

Gli autori del volume «Verde brillante» spiegano come le piante comunicano tra loro

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Forse non tutti sanno che le piante sono in grado di comunicare fra loro. È quello che dimostrano due autori, Stefano Mancuso e Alessandra Viola, nel volume intitolato «Verde brillante – Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale» (2013), edito da Giunti.
Un linguaggio composto da migliaia di molecole chimiche che vengono liberate nell’aria o nell’acqua, contenenti informazioni di diverso tipo, e la cui emissione rappresenterebbe il mezzo di comunicazione privilegiato delle piante, come lo sono i suoni per noi umani.
Gli uomini però, come viene messo in evidenza, sono in grado di comunicare anche attraverso il linguaggio non verbale.
 
Effettivamente se pensiamo alla prossemica, quella disciplina che si occupa di studiare i gesti e il significato delle distanze fra le persone nell’interazione, ci rendiamo conto che è molto più quello che comunichiamo agli altri attraverso il nostro corpo piuttosto che attraverso le nostre parole, le quali hanno comunque la loro importanza, soddisfacendo la parte logica del nostro cervello (anche se non sempre ne siamo consapevoli).
Pensiamo, tanto per fare un semplice esempio, a chi si accarezza i capelli durante una conversazione, indicando inconsciamente un’emozione positiva o chi, allo stesso modo, mentre parla gioca con la collana o il proprio braccialetto, trasmettendo all’interlocutore un certo gradimento (al contrario, chi parla con le braccia conserte comunica un segnale di chiusura e chi si gratta la testa dimostrerebbe imbarazzo; naturalmente occorre di volta in volta valutare il contesto).
 

 
«Anche le piante sono in grado di comunicare toccandosi (generalmente con le radici, ma a volte anche con la parte aerea) o assumendo particolari posizioni rispetto alle loro vicine.
«È il caso – spiegano gli autori – di quelle che entrano in competizione nel corso della fuga dall’ombra, durante la quale assumono diverse posizioni l’una rispetto all’altra con l’intento di primeggiare nella gara per la conquista della luce.»
 
Altro esempio di comunicazione attraverso i gesti è quello che un botanico francese, Francis Hallé, definì «timidezza delle chiome».
Mancuso e Viola lo descrivono così nel loro saggio.
«Questo fenomeno, per il quale alcuni alberi tendono a evitare che le chiome si tocchino nonostante crescano molto vicine, non riguarda tutte le specie, anzi.
«Di solito gli alberi non sono per nulla timidi e intrecciano le loro chiome liberamente. Ma esemplari di certe famiglie quali le Fagaceae, le Pinaceae e le Mirtaceae – per citarne alcune fra le più comuni – sono al contrario piuttosto riservati e non gradiscono sconvenienti intrecci di chioma.»
 
Un’altra particolarità che ha destato il nostro interesse riguarda le interazioni fra piante, le quali, come del resto gli animali, evidenzierebbero diverse personalità (ne esisterebbero di più collaborative, di timide, di aggressive e via di questo passo).
Molte sarebbero le somiglianze a livello comportamentale con il mondo animale.
«La cosa non deve sorprenderci – ci avvisano Mancuso e Viola, – in fondo gli scopi verso cui tendono tutti gli esseri viventi sono gli stessi, ed è presumibile che in qualche modo si assomiglino anche i mezzi adoperati per cercare di raggiungerli.»
Rimaniamo sbalorditi nell’apprendere che anche le piante hanno dei comportamenti parentali, nel libro è descritto uno studio condotto nel 2007.
«L’esperimento consisteva nel far crescere in un vaso trenta semi figli della stessa pianta e in un altro vaso, identico al primo, trenta semi figli di piante diverse.»
 
Dall’osservazione dei campioni durante la loro crescita è emerso che nei vegetali si sono verificati comportamenti che si credevano riservati agli animali.
«Le trenta piante figlie di madri diverse si sono comportate infatti come previsto, sviluppando un numero di radici molto elevato così da occupare il territorio e garantirsi l’approvvigionamento alimentare e idrico a danno delle altre.
«Le trenta piante figlie della stessa madre, invece, pur trovandosi anch’esse a convivere in uno spazio ristretto, hanno prodotto un numero di radici molto inferiore, privilegiando la crescita aerea.»
 
Viene fatto presente che «si è assistito a un’attività non competitiva legata alla vicinanza genetica».
Questo dimostrerebbe, fra l’altro, come le piante operino una sorta di riconoscimento fra loro e che siano in grado di rilevare una sorta di affinità di tipo genetico.
Si tratterebbe, quindi, di una scoperta molto importante.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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