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Quarto anno all’estero negli USA alla scoperta dell’Idaho

Francesca Gorfer, studentessa del Liceo Scientifico Galileo Galilei di Trento, con YouAbroad ha vissuto un anno indimenticabile a Nampa – L’intervista

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Imparare una lingua ma soprattutto vivere un’esperienza indimenticabile di intenso scambio culturale e di profonda conoscenza di una cultura straniera, questo in estrema sintesi significa vivere un intero anno scolastico all’estero. Una scelta che comporta il lasciarsi tutto alle spalle, la famiglia, gli amici, la propria scuola, i propri compagni, lo sport, le abitudini, le proprie certezze, per tuffarsi in un mondo che non è quello fino a quel momento conosciuto e che necessita anche di una certa dose di coraggio e spirito d’avventura, nonché di capacità di adattamento.
Qualità che certo non sono mancate a Francesca Gorfer, studentessa del Liceo Scientifico Galileo Galilei di Trento, scout e judoka (cintura nera 1° dan, è atleta del dojo M° Ben. Dario Tarabelli di Trento), la quale come tanti altri studenti ha colto la grande opportunità di trascorrere il quarto anno negli Stati Uniti. Partita nell’estate dello scorso anno tramite l’associazione YouAbroad, ha da poco fatto ritorno a Trento dopo aver vissuto un anno in Idaho, nella graziosa città di Nampa.
 

 
Le difficoltà iniziali non sono certo mancate, appena si arriva all’estero innanzitutto non si capisce bene la lingua, poi ci si deve adattare a una situazione del tutto nuova: si entra a far parte di un nuovo contesto familiare e scolastico, si cambia l’alimentazione, i ritmi vengono del tutto stravolti, ecc. È anche per questo che è importante affidarsi a un’associazione seria, in grado di supportare lo studente in caso di necessità.
Francesca ci racconta di aver avuto la grande fortuna di entrare a far parte di una meravigliosa famiglia, i Lee, e di essere stata accolta con grande calore e disponibilità.
 

 
Quando è arrivata a Nampa, una città di circa 80.000 abitanti, la seconda in ordine di grandezza dell’Idaho, dopo la capitale Boise, non conosceva nessuno e quando qualcuno le rivolgeva la parola capiva la metà del discorso.
Quando è ripartita, un anno dopo, non solo sapeva bene la lingua ma molti erano gli amici a salutarla, oltre alla sorella Maya e a Mellissa e Tyler, i genitori ospitanti, la famiglia americana alla quale si è molto affezionata. Un anno, quello che ha trascorso negli USA, denso di emozioni: ha partecipato ai balli scolastici di inizio e fine anno, è entrata a far parte della squadra di Cross Country, si è fatta molti amici ai quali è legatissima, sia americani che provenienti da altre parti del mondo (come Brasile, Giappone, Thailandia, Germania, Francia); ha condiviso importanti esperienze nell’ambito familiare, stabilendo dei forti legami affettivi, ha praticato molti sport e imparato ogni giorno qualcosa di nuovo, acquisendo la capacità di relazionarsi in modo indipendente e di arrangiarsi. 
 
Abbiamo approfittato dell’occasione per porgerle alcune domande.
 

 
Come valuti complessivamente la tua permanenza negli USA?
«È stata un’esperienza straordinaria, indimenticabile. Come per tutti quelli che hanno vissuto questo tipo di esperienza, anche per me l’inizio è stato il momento più difficile: si arriva in un luogo dove non si capisce la lingua, dove non si conoscono abitudini e tradizioni, in un ambiente dove non si conosce nessuno.
«Mi sono dovuta adattare a una situazione nuova, per fortuna, grazie anche alla mia famiglia americana che con me è stata sempre molto affettuosa e disponibile, dopo il primo periodo di ambientamento mi sono trovata perfettamente a mio agio. Quando impari a cavartela da solo diventa un’esperienza esaltante, l’importante è non rimanere chiusi in se stessi ma aprirsi agli altri.»
 
Tu eri a Nampa, in Idaho: che attività si possono svolgere in un contesto come quello in cui vivevi?
«Io ho scelto di vivere non in una metropoli ma in un contesto più rurale, ho pensato fin da subito che ciò potesse facilitarmi nelle relazioni umane e così è stato.
«Nampa è una graziosa città dell’Idaho grande quasi quanto Trento, circondata da campi di patate.
«Molte sono le attività che vi si possono svolgere: trovandosi in prossimità di un lago si possono praticare tutti gli sport acquatici, si possono poi fare delle belle passeggiate nei dintorni (ci sono vari sentieri e delle cascate).
«In inverno con la mia famiglia andavo anche a sciare. La qualità della vita è alta, le persone stanno molto all’aria aperta e fanno sport.»
 

 
Come sei stata accolta nei primissimi giorni dalla tua famiglia ospitante?
«Appena arrivata la mia famiglia americana era in aeroporto ad aspettarmi: il papà Tyler, la mamma Mellissa e mia sorella Maya. Non dimenticherò mai quel momento!
«Sono stati davvero carini con me, dato che il giorno prima era il mio diciassettesimo compleanno mi hanno portato a festeggiare in un ristorante dove ho mangiato uno squisito hamburger.
«Mi hanno accolta con grande calore e simpatia e questo per me è stato importante, considerando che arrivare da sola dopo due cambi d’aereo in una città e in un ambiente dove non si è mai stati prima, senza conoscere la lingua se non a livello scolastico, non è facile, anche se si è sorretti dall’entusiasmo e si ha una gran voglia di vivere una nuova esperienza.
«Il giorno successivo mi hanno portata in barca e ho sperimentato lo sci d’acqua. È stato fantastico!»
 

 
È stato facile integrarsi a scuola?
I primi quindici-venti giorni sono stati i più duri: non capivo la lingua, nei corridoi la gente mi sorrideva e mi salutava ma non avevo amici. Poi le cose  sono cambiate, ci è voluta solo un po’ di pazienza. Per farsi amici del resto occorre mettersi in gioco. La gente magari ti saluta nei corridoi però poi la cosa finisce lì.
«Se vuoi farti degli amici devi essere tu a rompere il ghiaccio, a farti avanti. Diciamo che mi sono fin da subito integrata a scuola ma ci è voluto un po’, come è normale che sia in un ambiente nuovo, per farmi degli amici.
«Inizialmente il fatto, come ho detto, di non comprendere la lingua e soprattutto il cambiare classe ogni ora (là infatti non esistono le classi fisse come da noi) non facilita le cose. L’importante comunque è sbloccarsi, devi essere tu a fare domande, a chiedere, a proporti, non devi aspettarti che lo facciano loro, anche perché non lo faranno mai. Poi, però, quando ti fai degli amici è come da noi, sei una di loro.»

Quali pensi siano stati gli atteggiamenti che ti hanno favorito nelle relazioni amicali?
«Non si deve avere paura di fare brutte figure. È normale non sapere la lingua, non si deve avere il timore di non parlare bene pensando, magari, di essere giudicati per questo.
«Dopotutto, una lingua, la propria, la si sa e si è lì per impararne un’altra. I primi mesi non si capisce molto, però poi qualcosa cambia e si inizia a comprendere, a capire, ed è bellissimo il rendersene conto.»
 

 
Quali sono le principali differenze fra la scuola italiana e una High School americana, stando alla tua esperienza?
«Innanzitutto gli studenti americani cambiano classe ogni ora, nelle scuole americane, quindi, non sono i professori a cambiare aula ma sono gli studenti a spostarsi a seconda della materia da seguire.
«Ti puoi scegliere il piano studi che desideri fra una rosa di materie, alcune delle quali sono obbligatorie. Ogni scuola ha la facoltà di stabilire dette materie obbligatorie, io ero iscritta all’ultimo anno, essendo quindi una senior dovevo seguire obbligatoriamente matematica, inglese, economia e storia del governo americano.
«A scuola sono tutti molto aperti, anche i professori. Se uno vuole uscire nel bel mezzo della lezione lo può fare, si può mangiare in classe durante le ore, il rapporto con gli insegnanti è molto differente rispetto alle scuole italiane, i professori si pongono in maniera molto meno autoritaria.»
 
Che consiglio ti sentiresti di dare a chi dovesse predisporre un piano studi, una volta arrivato nella scuola americana?
«Naturalmente, la scelta delle materie dipende dal tipo di scuola frequentata in Italia. Io, provenendo da un liceo scientifico, ho impostato il mio piano studi il più possibile in linea con le materie studiate.
«Sarebbe sciocco dimenticare che, una volta che si rientrerà in Italia, si dovrà affrontare l’impegnativo anno della maturità. Il mio consiglio è quindi quello di predisporre un piano studi che si avvicini il più possibile alle materie del quarto anno in Italia.
 

 
Come era composta la tua famiglia ospitante?
«Vivevo in una famiglia bellissima, in cui mi sono trovata benissimo. Mellissa, la mamma, era casalinga e si dedicava molto alla famiglia oltre che all’allenamento. Era infatti molto sportiva, passione che condivideva con il marito, il mio papà ospitante Tyler.
«Lui è proprietario di un’azienda di semi e viaggiava molto per lavoro in diversi stati americani, ma appena poteva si dedicava alla famiglia e alla comunità oltre che alla pratica di vari sport anche a livello agonistico (con Mellissa partecipava a gare di bici e di triathlon).
«La mia sorellina Maya andava a scuola (alle medie) e anche lei praticava vari sport oltre che frequentare le amiche. Avevo anche un fratello ospitante, Kaden, il quale però non viveva con noi perché stava trascorrendo (ed è lì tuttora) un periodo in missione nella Repubblica Dominicana.
«I miei genitori si svegliavano molto presto (verso le 5 del mattino) per andare in bicicletta o a correre. Poi rientravano in casa, si facevano la doccia e facevano colazione, il papà portava me a scuola prima di andare al lavoro e la mamma accompagnava. mia sorella nella sua scuola. Rientravamo verso le 17.30 e si cenava a quell’ora o al massimo verso le 18.00.»
 
Cosa ti è mancato di più dell’Italia per quanto riguarda le abitudini alimentari?
«Il pane. In America, almeno dove ero io, non si usa mangiare il pane fresco, la gente compera il pane in cassetta.»
 

 
Quanto è importante lo sport nelle scuole americane?
«È importantissimo. I ragazzi americani si divertono facendo tanto sport. Loro hanno la squadra della scuola, la squadra di football, la squadra di baseball, la squadra di basket ecc. Nella mia scuola c’erano molti altri sport, io ero nella squadra di cross country.
«Ci sono sport autunnali, invernali e primaverili, per tutti i gusti. Nella mia scuola i professori sono quasi tutti coach, allenatori di qualche squadra, una cosa, questa, che ho trovato un po’ strana.
«Per esempio, il mio professore di matematica è anche coach di football, il mio allenatore di cross country è insegnante di spagnolo, il mio professore di fisica è anche allenatore della squadra di golf, il mio insegnante di chimica è anche allenatore di atletica.»
 
Cosa hai fatto per festeggiare la «Graduation»?
«Ho potuto fare la Graduation perché ero senior, infatti corrisponde alla nostra maturità e si consegue l’ultimo anno. Per festeggiare questo traguardo io e i miei amici americani abbiamo fatto il senior trip, un viaggio che alcune persone fanno alla fine dei quattro anni di scuola superiore, è un po’ come il nostro viaggio di maturità.
«Siamo andati prima a Las Vegas, in Nevada, poi in California, a Los Angeles, e a Disneyland, poi in Messico in crociera prima di fare ritorno a Nampa.
«È stata anche questa un’esperienza straordinaria.»
 

 
Cosa ti manca dell’America?
«La mia famiglia americana, i miei amici. Tutto.»
 
Eri seguita dall’associazione?
«Ogni mese mi inviavano tramite email un questionario da restituire compilato per informarsi sulla mia esperienza. Erano comunque molto presenti in caso di necessità, senza essere invadenti.
«Mi è capitato per esempio di dover predisporre dei documenti per il viaggio che ho fatto per la Graduation e sono stati estremamente disponibili.
«Ho poi avuto un problema alla caviglia per cui sono dovuta andare dal medico e sono stati super efficienti anche in quell’occasione.
«Se hai bisogno di loro ci sono, si appoggiano poi a un’associazione locale americana, la CIEE, anch’essa molto disponibile in caso di necessità.»
 
Sogni futuri?
«Tornare in Idaho il prossimo anno e magari poi ospitare la mia famiglia e i miei amici qui in Italia, mostrando loro anche il nostro meraviglioso Trentino.»

Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it


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