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Giancarlo Bagnulo, un libro dedicato al Ju Jitsu – Di D. Larentis

Maestro 7 Dan di Ju Jitsu, è autore del volume sull’antica arte marziale giunta in Italia dal Giappone grazie al Maestro Gino Bianchi – L’intervista

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Giancarlo Bagnulo, Maestro 7 Dan di Ju Jitsu.
 
Giancarlo Bagnulo, Maestro 7 Dan di Ju Jitsu, è autore di un interessante libro dedicato alla «Dolce arte», intitolato «Ju Jitsu – Metodo Bianchi» (2016), edito da Luni e pubblicato in tre lingue: italiana, inglese e francese.
Definito dai praticanti di arti marziali giapponesi come la madre di tutte le pratiche a mano libera (cioè senza armi), questa antica arte marziale affonda le sue radici nel medioevo dei samurai. È lo stesso Maestro a sottolineare che «la sua origine, come si conviene a un’arte marziale così antica, è quasi mitica».
Quello descritto nel testo è considerato il vero Ju Jitsu italiano, arrivato in Italia dal Giappone grazie al Maestro Gino Bianchi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Uno dei grandi meriti del Maestro Bagnulo è stato codificare le tecniche, che originariamente erano già state definite dallo stesso Bianchi e in seguito dal Maestro Rinaldo Orlandi, in una prospettiva nuova, secondo la quale il Ju Jitsu, sempre collegato al metodo del fondatore, abbraccia però una visione più contemporanea, prevedendo una commistione tra un settore e l’altro che si realizza nei concatenamenti (ricordiamo che attualmente il percorso istruttivo dettato e certificato dalla FIJLKAM affianca al Metodo Bianchi quello più tradizionale dell’Hontai Yoshin Ryu).
 
Prima di passare all’intervista, due parole su Giancarlo Bagnulo, il quale conta al suo attivo altre precedenti pubblicazioni, anche se in ambito sportivo non ha certo bisogno di essere presentato.
Maestro 7 Dan di Ju Jitsu, Istruttore 3 Dan di Judo, insegnante tecnico di cultura fisica, abilitato all’insegnamento del metodo MGA (Metodo Globale Autodifesa), Bagnulo è esperto internazionale di Ju Jitsu e Self Defense; dal 1985 è membro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu e della Commissione Nazionale d’esame per la cintura nera e gradi superiori, della quale è divenuto Presidente nel 2014.
È stato docente di difesa personale MGA presso l’Istituto di Formazione della Polizia Penitenziaria, il Centro di Specializzazione della Guardia di Finanza e per i corsi di formazione degli Istruttori della Guardia Costiera.
Dal 1998 tiene regolarmente stages di Ju Jitsu e difesa personale a Cuba per conto della Federazione Cubana di Arti Marziali che gli ha conferito il 7 Dan e la carica onorifica di «Assessore Tecnico Internazionale».
Collabora regolarmente con le Federazioni sportive di alcuni Paesi africani (Mali, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Tunisia ed Etiopia) dove ha diffuso la pratica del Ju Jitsu e svolto corsi di formazione tecnica.
Abbiamo avuto il grande onore, in occasione di uno stage organizzato lo scorso marzo da ASD DOJO M° Ben. Dario Tarabelli, presso la palestra Scuole Medie Andreatta a Pergine, Trento, alla presenza della Maestra Angelica Tarabelli, V Dan di Ju Jitsu, di porgergli alcune domande.
 

 
Praticare il Metodo Globale Autodifesa (MGA) può aiutare a vivere meglio in un mondo che molti percepiscono insicuro? Cosa ci si può ragionevolmente aspettare da questa disciplina in termini di sicurezza personale?
«La pratica del Metodo Globale Autodifesa (MGA), così come quella del Ju Jitsu o di altre discipline marziali, può certamente essere un valido supporto al nostro benessere.
«In particolare, può aiutare ad essere più tranquilli raggiungendo un grado di consapevolezza delle proprie possibilità e la conoscenza di basi tecniche utilizzabili in caso di necessità. Nessuno ha il dono dell'invincibilità.
«Nella pratica insegniamo a conoscere i nostri limiti e a provare a superarli attraverso un costante allenamento; nel Metodo Globale Autodifesa sottolineando anche quanto la prevenzione sia alla base di un ottimo comportamento difensivo.»
 
Potrebbe condividere con noi qualche riflessione a proposito dell’applicazione del Metodo Bianchi alla difesa personale?
«Il Metodo Bianchi nasce come scuola di autodifesa. Il Maestro Biagio (Gino) Bianchi aveva creato il suo metodo nell'immediato dopoguerra sulla base delle sue conoscenze acquisite durante il militare (era stato fuciliere di Marina a Tien Tsin), aprendo la sua scuola a Genova.
«A quei tempi lo sviluppo fu rapido proprio per la richiesta di molti di una maggior sicurezza che in quella zona, quella portuale, era facilmente messa in discussione.
«Ai giorni d'oggi, dopo un periodo di diffusione lontana dalla visione originaria di disciplina legata all' autodifesa, si sta riportando l'applicazione del Metodo Bianchi sulla retta via, approfondendo in maniera più attenta i particolari basici che lo collegano alla difesa personale.»
 
Oggi non si è sempre abituati a faticare per ottenere qualcosa, si ha l’illusione, talvolta, di poter ottenere tutto subito o, al contrario, si parte già disillusi, con l’idea che non si otterrà mai niente e che quindi non valga la pena di sforzarsi tanto. In merito, cosa possono insegnare le arti marziali e in particolare cosa può trasmettere ai giovani una disciplina completa come il Ju Jitsu?
«La cultura del tutto e subito e lo scontro successivo con la cruda realtà della mancanza di risultati a breve termine sono gli aspetti più difficili da combattere al giorno d'oggi.
«La pratica delle arti marziali e ancor di più quella del Ju Jitsu, disciplina tra le più complete e antiche, permette attraverso la costanza e varietà dell'allenamento di trasmettere un atteggiamento e sviluppo caratteriale più combattivo e abituato alla disciplina, vista come riconoscimento delle gerarchie dettate dalla anzianità di pratica e dai meriti/risultati acquisiti.»
 
I bambini che lei vede allenarsi quotidianamente sul tatami in che cosa si differenziano da quelli che vedeva allenarsi 10-15 anni fa? Dal punto di vista educativo che tipo di strumento rappresenta uno sport come il Judo o il Ju Jitsu?
«La differenza tra i giovanissimi praticanti di ieri e di oggi è lampante. Basti considerare la semplice capovolta in avanti che un tempo era alla portata di tutti ed oggi è spesso un insormontabile ostacolo per la maggioranza.
«I cambiamenti sociali degli ultimi vent'anni hanno letteralmente stravolto il rapporto del Maestro/educatore e l'allievo da educare.
«L'efficacia dell'insegnamento del Judo e del Ju Jitsu, attivando con i bambini lo spirito ludico-motorio essenziale per quell'età, ci consente di sviluppare nel tempo una formazione di tipo educativa/sociale che troppo spesso la scuola come istituzione ha oramai abbandonato.»
 
Il Metodo Bianchi è stato razionalizzato e catalogato dal Maestro Orlandi negli anni ’70 e a metà degli anni ’80 anche da lei e dai Maestri Mazzaferro e Ponzio. A proposito di questo, quali sono state sinteticamente le modifiche da voi apportate?
«Come tutti i metodi di insegnamento sono obbligati ad adeguarsi ai tempi e all'evoluzione delle conoscenze scientifiche in materia delle attività fisiche, anche il Metodo Bianchi ha nel tempo subito una serie di modifiche del programma, collegate sia alle diverse variazioni dell'organizzazione sportiva nazionale sia all'accresciuta conoscenza tecnica delle basi biomeccaniche del gesto tecnico.
«Le ultime modifiche sono state soprattutto incentrate su una maggior e accurata attenzione all'applicabilità nell'autodifesa, considerando lo studio dei Settori e dei concatenamenti tra le tecniche un passaggio obbligato per lo sviluppo applicativo nell'autodifesa e non una cosa a sé stante.»
 
Lei ha dedicato il suo ultimo libro al Maestro Gino Bianchi. Come è strutturato e a chi si rivolge sinteticamente?
«La dedica era obbligatoriamente dovuta a colui che ha gettato il seme della diffusione del Ju Jitsu in Italia e che ho conosciuto, iniziando negli anni '70 la pratica sotto la guida del Maestro Orlandi (e che negli anni ho cercato di conoscere meglio, storiograficamente parlando, cercando di andare alla fonte).
«La struttura dell'ultimo mio libro è sviluppata all'approfondimento del programma tecnico federale tentando di stimolare nel lettore/studente la voglia di non fermarsi alla sola superficie, ma di intraprendere una ricerca più profonda sui principi che contraddistinguono il Metodo Bianchi.»
 
Si ha spesso l’idea che sia più importante ciò che si dice e non come lo si dice: il linguaggio del corpo, in realtà, comunica molte cose e anche nell’esecuzione delle tecniche di Ju Jitsu riveste un ruolo determinante. Nel libro dedica un capitolo allo «Zanshin», potrebbe spiegarci che cosa si intende con questo termine nell’ambito del Ju Jitsu?
«Zanshin, tradotto in poche parole è l'atteggiamento. Negli ultimi anni, anche nella nostra società si è perso quasi completamente l'atteggiamento che dovrebbe contraddistinguere dal punto di vista posturale e mentale qualunque nostra azione.
«La superficialità con cui spesso si affrontano le cose si traduce in forme sguaiate e ineleganti nel compiere azioni, movimenti che nelle arti marziali sono sinonimo di imprecisione e inapplicabilità della tecnica.
«Nel Ju Jitsu, nell'esecuzione delle tecniche di Settore ho voluto sottolineare la necessità della ricerca dello Zanshin per dare concretezza alla nostra pratica quotidiana.»
 
Come considera la pratica del Metodo Globale Autodifesa (MGA) per le donne, pensa che sia una pratica efficace e in che modo può esserlo?
«La pratica del Metodo Globale Autodifesa (MGA) è certamente un'ottima preparazione per le donne a saper affrontare la quotidianità con strumenti e atteggiamento mentale più consono alle problematiche della società moderna».
 
Progetti futuri?
«Continuare a praticare e a divulgare nel mio piccolo le Arti Marziali e in particolare la Dolce Arte e l'MGA a livello nazionale e internazionale.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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