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L’arte di Othmar Winkler in un libro – Di Daniela Larentis

«Othmar Winkler a Matera - La genesi del monumento ad Alcide De Gasperi», a cura di Roberto Pancheri, svela l’origine dell’opera dedicata allo statista trentino

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Foto di Lucio Tonina ©.
 
Si è già molto parlato della presenza a Matera, capitale della cultura 2019, di una statua eretta nel 1971 del noto artista sudtirolese Othmar Winkler, realizzata per celebrare la figura di Alcide De Gasperi.
Si è molto scritto anche di un esaustivo volume, curato dallo storico dell’arte Roberto Pancheri, che svela l’origine dell’imponente opera in bronzo dedicata allo statista trentino e che accompagnava la mostra documentaria, da poco terminata, allestita per alcuni mesi nella sede centrale della Cassa Rurale di Trento in via Belenzani.
L’inaugurazione era avvenuta il giorno della presentazione del libro intitolato «Othmar Winkler a Matera - La genesi del monumento ad Alcide De Gasperi», lo scorso novembre, alla presenza di varie autorità e di Ivo Winkler, figlio dell’artista.
Nell’occasione erano stati esposti alcuni disegni, il modello del monumento collocato a Matera, il basamento e un busto di De Gasperi. Autori della preziosa pubblicazione, Paolo Domenico Malvinni, Roberto Pancheri e Filippo Radogna, afferenti a tre discipline diverse: la semiotica, la storia dell’arte e la scienza politica.
 
Abbiamo incontrato Ivo Winkler (curatore dell’opera del padre Othmar), finendo con il parlare di questa specifica opera d’arte e in modo particolare della pubblicazione che tratta l’argomento in maniera approfondita, affrontandolo da diversi punti di vista (un volume che, a nostro avviso, merita davvero di essere letto e per svariate ragioni). 
Ecco cosa scrive nella prefazione Pancheri, funzionario della Soprintendenza per i beni culturali di Trento, apprezzato scrittore e saggista, socio dell’Accademia degli Agiati di Rovereto e della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche (conta al suo attivo una laurea in Lettere, una specializzazione in storia dell’Arte e un dottorato di ricerca in Storia e critica delle arti visive).

«Ci sono buone ragioni per occuparsi di quest’opera d’arte. La prima è che essa racconta una storia di unità d’intenti e di sentimenti tra una città del profondo Nord e una città del profondo Sud.
«Una storia a lieto fine, i cui protagonisti non sono solo l’uomo politico e l’artista chiamato a immortalarlo, né i committenti dell’opera, appartenenti alla classe politica allora egemone.
«I veri protagonisti sono infatti i miseri abitanti dei Sassi di Matera, del cui riscatto decise di occuparsi seriamente un governo costituzionale presieduto da uno statista trentino.
«Ed è altrettanto significativo che a interpretare il messaggio affidato al monumento sia un artista anch’egli trentino, non per nascita ma per scelta: un cittadino italiano di lingua tedesca, appartenente a una minoranza che fu vessata dal fascismo e trovò invece protezione nella nuova Italia repubblicana.
«Tutto ciò ha molto a che fare – scrive ancora Pancheri – sia con l’ideale democratico propugnato da Alcide De Gasperi, sia con la sua vocazione europeista, sia con l’impegno personale ch’egli profuse nell’affrontare la «questione altoatesina» e la «questione meridionale» […].».
 

 
Come spiega il lucano Filippo Radogna nel suo esaustivo intervento, «non furono poche le vicende concernenti la realizzazione della statua». Radogna, giornalista e scrittore (laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista, ha collaborato con diverse testate fra cui «L’Umanità», «Il Corriere del Giorno», già redattore dell’Ufficio stampa della Giunta regionale di Basilicata, attualmente scrive per i quotidiani «Roma» e «La Nuova del Sud», ha pubblicato diversi studi sulla storia dell’agricoltura e in ambito narrativo ha vinto importanti premi), sottolinea che dalla deliberazione del Consiglio comunale all’incarico assegnato a Winkler sono passati una decina di anni, delineando tutte le vicissitudini legate alla realizzazione della scultura.
Sono molto interessanti tutte le analisi proposte dai tre autori, per quanto riguarda il significato dell’opera (come tutte le opere la si può considerare un significante che rimanda a dei significati) abbiamo trovato illuminante l’intervento critico di Paolo Domenico Malvinni, il quale ha compiuto studi di semiotica laureandosi peraltro a Bologna, alla Facoltà di Lettere e Filosofia con il prof. Umberto Eco (fa parte del club di artisti, scienziati, filosofi per lo studio del pensiero inventivo e la pratica del vivere inventivo Psòmega, fondato da Renato Boeri e da Massimo Bonfantini).
 
Che cosa ci dice questa statua? Che cosa comunica? Ce lo spiega appunto Malvinni, nella sua analisi in catalogo.
«Ha una qualche importanza precisare che stiamo parlando della intentio operis, di ciò che l’opera esprime di per sé, al di là delle intenzioni di chi l’ha prodotta.
«Perché l’opera infine parla a suo modo, diventa altro dai suoi autori, diventa un testo aperto alla nostra lettura, tanto più se questo testo si trova all’aria aperta in una pubblica via.
«Certo, questo non vuol dire – continua Domenico Malvinni – che possiamo leggervi indiscriminatamente quello che ci pare. Dobbiamo appellarci ad un minimo di coerenza rispetto a ciò che sappiamo del testo che stiamo leggendo, oltre a vedere e interpretare, quindi, riferirci all’esistenza di una enciclopedia collettiva in perenne aggiornamento, e infine, saggiamente, ricordare il valore ipotetico e fallibile delle nostre valutazioni.
«Però, anche senza voler esagerare con l’oggettività della nostra lettura, qualcosa sulla semiosi che va producendosi osservando il monumento a De Gasperi di Matera possiamo dirla.
«Si tratta – scrive Malvinni – di una statua che rappresenta un uomo di mezza età vestito in modo elegante e sobrio. Sappiamo che si tratta di Alcide De Gasperi e che il monumento è stato eretto per sistemare a perenne memoria lo statista emblema di un nuovo modo di ben governare dopo ottanta anni di Regno d’Italia (che vede compreso un ventennio di dittatura fascista).
«Saluta? Il suo braccio è alzato. Si tratta di un richiamo? Una richiesta di essere ascoltato? Una esortazione? Non si tratta certo di un impettito e rigido saluto romano. Pare piuttosto il gesto di un suscitatore… Di che cosa? Di attenzione, di pensieri e idee. Di speranze […].»
 

 
Ivo Winkler ci parla con commozione del padre Othmar, il quale fu un grande viaggiatore, un uomo che aveva il dono di assorbire con estrema facilità le lingue dei paesi in cui viveva (nel 1937 andò in Norvegia, là imparò presto la lingua e conobbe il pittore Edvard Munch, eseguì ritratti di personaggi importanti e strinse amicizie).
La sua infanzia lo segnò profondamente, all’età di soli sette anni, a causa dell’abbandono del padre emigrato in America, Othmar fu affidato alle cure delle Suore della Carità dell’Orfanatrofio di Bressanone.
A sette anni, venne mandato da contadini a Velturno, da parenti acquisiti. Allo scoppio della I Guerra Mondiale passò di famiglia in famiglia, contando sulla solidarietà del paese, e questa esperienza fece maturare in lui un rifiuto alla guerra e contemporaneamente l’attaccamento e l’ammirazione verso il mondo contadino come luogo di pace e solidarietà.
«In una precedente occasione ci aveva confidato Ivo Winkler: «A Velturno mio padre avrebbe dovuto diventare missionario; non lo divenne, assunse tuttavia un analogo atteggiamento nei confronti dell’Arte, da lui interpretata come una missione sacra. Per lui, infatti, tutta l’arte era sacra e doveva essere usata per migliorare le persone.»
 
Daniela Larentis - d.larentis©ladigetto.it

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