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Mart Rovereto, nuove mostre – Di Daniela Larentis

Attraverso due progetti paralleli, dedicati al lavoro di Yervant Gianikian e Angela Ricci e alle fotografie di Italo Zannier, il Mart prosegue l’indagine sul Novecento

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Zannier, Archivio rivisitato, 1974.
 
C’è sempre un buon motivo per andare al Mart, un centro museale che gestisce un patrimonio di capolavori inestimabile, situato nel cuore della città che ospita fra l’altro l’unico museo d’Italia fondato da un futurista, il celebre pittore Fortunato Depero (La Casa d’Arte Futurista Depero è parte integrante del Mart ed è visitabile nel centro storico di Rovereto).
Protagonista delle nuove mostre del Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dal 22 febbraio al 31 maggio 2020, l’immagine del XX secolo, attraverso due progetti paralleli dedicati a raffinati studiosi del nostro tempo (entrambe le mostre sono accompagnate da due preziosi cataloghi).
 
L’inaugurazione è avvenuta pochi giorni fa alla presenza del presidente Vittorio Sgarbi, del direttore Gianfranco Maraniello, del curatore Denis Isaia, e dei due protagonisti dell’evento, Yervant Gianikian, artista, e Italo Zannier, fotografo.
Da un lato, è proposto il racconto di Yervant Gianikian e Angela Ricci, di cui il Museo ha prodotto l’ultimo film, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia; dall’altro viene offerta al visitatore la preziosa opportunità di ammirare la collezione personale, mai esposta prima, degli albi fotografici e delle fotografie di Italo Zannier.
 

Yervant Gianikian - Angela Ricci Lucchi - I diari di Angela.
 
«I diari di Angela. Noi due cineasti. Capitolo secondo» (2019) è la narrazione dell’esperienza cinematografica complessa e personale con cui Gianikian e Ricci Lucchi hanno custodito e ricucito le storie più tragiche del secolo breve.
Per l’occasione, l’opera viene posta in dialogo con il monumentale «Trittico del XX secolo» (2002-2008): una video installazione coprodotta dal Mart e riallestita oggi dopo 12 anni dall’ultima presentazione al pubblico.
Nel 2019 la fotografia ha compiuto 180 anni, dopo quasi due secoli durante i quali quello che era il nuovo e rivoluzionario medium è diventato, a velocità sempre crescente, quotidiano generatore di immaginari e narrazioni.
 
Il Mart omaggia questa lunga e affascinante storia con un progetto nato da un’idea di Vittorio Sgarbi e Italo Zannier, curato da Denis Isaia, in collaborazione con Comune di Ferrara e Fondazione Ferrara Arte (una seconda tappa è infatti prevista a Ferrara, nel novembre 2020).
In un racconto intimo che per decenni ha influenzato gli alfabeti visivi italiani, «La fotografia ha 180 anni!|Il libro illustrato dall’incisione al digitale|Italo Zannier fotografo innocente» allestita al Mart, indaga gli interessi del professor Zannier, intellettuale, docente e fotografo, primo titolare di una cattedra di Storia della fotografia in Italia nonché figura di riferimento per il riconoscimento della disciplina nel nostro paese.
 

 
Nelle ampie sale museali, sono esposti per la prima volta preziosi volumi illustrati provenienti dall’archivio personale di Zannier, che delineano l’evoluzione dell’immagine riprodotta dalle origini a oggi; dalla pre-fotografia, con volumi del XVI secolo, all’archeologia fotografica, tra incisioni e dagherrotipi, si giunge alle sperimentazioni contemporanee.
Nelle quattro grandi teche progettate dall’architetto Mario Botta per il Mart, la ricca selezione di volumi configura una campionatura unica della storia dell’immagine riprodotta.
 
Nell’allestimento della mostra, i libri vengono sfogliati e commentati dallo stesso Zannier, tramite un’installazione video a due canali. In un’inedita conversazione realizzata dal Mart, nel suo studio di Lignano Sabbiadoro egli tiene una sorta di privata e preziosa lectio sulla fotografia, partendo dai libri delle sue raccolte.
Completano il percorso quattro interviste a critici della fotografia e dell’arte che conoscono profondamente il lavoro di Zannier: Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, Angelo Maggi e Massimo Donà, docenti, Michele Smargiassi, giornalista, contribuiscono al dibattito contemporaneo sulla potenza e l’ambiguità del lessico fotografico.
 

Yervant Gianikian - Angela Ricci Lucchi - I diari di Angela.
 
In mostra anche un nucleo di circa 100 opere fotografiche, una vera e propria sezione espositiva che testimonia la sessantennale attività artistica di Zannier, per lo più inedite, che spaziano dall’approccio neorealista degli anni Cinquanta, con un impianto cromatico in bianco e nero, alle sperimentazioni più recenti in ambito digitale.
L’immagine non costruita, talvolta imperfetta, quasi naïf, emerge come una sorta di apparizione in quelle che il «fotografo innocente» definisce «fotofanie».
La pratica artistica di Zannier costituisce un’esplicita dichiarazione di poetica e un’indicazione ideologica. Nell’epoca dei mezzi di informazione globalizzati e pervasivi, il lessico fotografico necessita di una nuova significazione, per comprendere l’immagine oltre la sua immediata apparenza.
 
Nell’esaustiva pubblicazione dedicata alla mostra, nella sezione «Sei domande a Italo Zannier» (poste da Duccio Dogheria e Denis Isaia), il curatore Denis Isaia rivolge al professore una domanda che abbiamo trovato particolarmente interessante:
«Se guardiamo alla storia dell’immagine da una prospettiva storica di ampio respiro allora è evidente che siamo davanti a una progressiva democratizzazione del linguaggio iconografico e parimenti a un impulso indefesso all’accumulo delle immagini. Con l’immagine proviamo a mettere in sicurezza il mondo, a governarlo, ma anche, quando pensiamo alle foto dello spazio, a scoprire le sue origini più recondite. Intanto vorrei chiederle come vive tale smisurata quantità di produzione di immagini. Per lei è un passaggio storico entusiasmante o inquietante? E in ogni caso, come possiamo fare i conti con questo fenomeno?»
 

Italo Zannier - Interno ad Aquileia - 1960.
 
Alla domanda posta da Denis Isaia in catalogo, risponde Italo Zannier: «Internet, oggi, dopo il grado zero del bianco-nero, le incertezze della tri- e quadricromia, ha fornito infinite informazioni trasparenti, squillanti colori, eccetera, da oltre quarant’anni nei video dei computer e anche nei cellulari. E lì, ahimè, si sono formati inevitabilmente molti giovani studiosi, credendo nel miracolo di avere davanti agli occhi le opere originali.
«Nonostante il problematico Benjamin, anzi a volte proprio a causa sua… L’opera va invece vista, se si può e si vuole capire nella sua intima identità e bellezza, estetica e non soltanto iconografica, come purtroppo accade…, le fotografie servono ad altro e diventano a loro volta un’altra realtà, anche nella trascrizione delle opere d’Arte e non soltanto del paesaggio e dei personaggi ed eventi della cosiddetta realtà, che è sempre corporale.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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