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Sfide e sport estremi – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Dietro ai comportamenti eccessivi, vi sono le necessità dello sviluppo. Ma ci sono anche la scarsa percezione del rischio e la tendenza a sopravvalutare se stessi

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La notizia del ragazzo di Naturno trovato morto la settimana scorsa alla stazione di Merano impressiona e sconvolge.
Ti domandi cosa possa essere accaduto e per quale ragione si sia spinto sul tetto di un treno dove ha perso la vita per folgorazione.
I giornali hanno parlato di «Parkour», una pratica sportiva ammessa dal CONI, che prevede una preparazione attenta e rigorosa in quanto è abilità di correre e saltare su percorsi (da qui il termine di derivazione francese) accidentati e pieni di ostacoli, a grande velocità e con destrezza.
Una disciplina estrema che attrae perché le acrobazie pericolose come il saltare rampe di scale o aggrapparsi a muri e ringhiere, possono essere metafora del bisogno di libertà che sentono gli adolescenti e del superamento degli ostacoli imposti dalla società.
Uno sport che però alcuni considerano come l’arte di fuggire e rendersi liberi.
 
Poi, a proposito di questa tragedia, c’è chi ha parlato di «train surfing» che non è uno sport ma una sfida pericolosa oggi sempre più diffusa tra i ragazzini i quali si fanno riprendere ad attraversare i binari mentre arriva un treno, a saltare sui tetti di un convoglio in corsa o aggrappati con ventose ai vetri di un vagone.
Una challenge mortifera che attrae in quanto gioco divertente che dà visibilità e popolarità.
E allora è facile pensare a comportamenti folli o a tendenze suicidarie in chi le pratica.
Gli studi invece dimostrano che di solito non vi sono disturbi mentali gravi, né atteggiamenti autodistruttivi in coloro che svolgono attività sportive estreme.
Chi le pratica cerca il piacere di andare oltre il confine del possibile e il brivido per la vita che si mette in gioco.
 
Sensazioni che nell’epoca delle più grandi trasformazioni fisiche e psicologiche, servono a percepire quel corpo nuovo che gli adolescenti, usciti dall’infanzia, si ritrovano.
In altre parole fa «sentire vivi» come dicono molti di loro.
«Scosse di adrenalina» che si sperimentano in quelle esperienze «al limite», date di solito dalla mancanza di certezze fisiche o dalla perdita dell’equilibrio e dalla sensazione forte del disorientamento, che richiede reazioni immediate.
Sono emozioni particolari che attivano i neurotrasmettitori e una produzione massiccia di sostanze che produciamo come la dopamina, l’ormone dell’euforia e del piacere.
Dietro tutti i comportamenti eccessivi, così vi sono le necessità dello sviluppo, ma anche altro.
 
Negli sport estremi, come il Parkour, c’è spesso il fascino della vertigine che si sperimenta quando si perde il contatto con il terreno e si oscilla nel vuoto.
È lo stesso che si prova nel «BASE jumping» quando ti lanci da edifici o rilievi naturali per provare il brivido della caduta e forse rimanda a quella sensazione vissuta da bambini quando si veniva lanciati in aria dal papà che ti prendeva all’ultimo momento dandoti ebbrezza e godimento.
Per molti le sfide continue possono essere il tentativo di vaccinarsi dalla paura che appartiene alle persone insicure.
Ma nelle tragiche vicende degli sport estremi, soprattutto per i minori, c’è anche una scarsa percezione del rischio e la tendenza a sopravvalutare se stessi.
 
Molto è dovuto alla tendenza educativa tutta attuale di non attrezzare i bambini ad accettare i fallimenti possibili, il senso del limite e la necessaria valutazione della realtà. Riflettiamo!
 
Giuseppe Maiolo
Docente Università di Trento - www.iovivobene.it

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