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«Non lasciamoli soli, aiutiamoli a capire cos'è la guerra»

I nostri amici psicologi Giuliana B. Franchini e Giuseppe Maiolo spiegano in un videomessaggio cosa dire ai nostri figli della guerra in Ucraina

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Non lasciamo i nostri figli da soli a guardare scene di distruzione, esplosioni, sparatorie, che i servizi televisivi diffondono copiosamente.
 
 Ai bambini fino agli 8 anni  
Fino agli otto anni, i piccoli non hanno ancora elaborato bene il concetto della morte, anche se la pandemia li ma messi a contatto con la sofferenza, con l’incertezza della vita.
Ora però, soldati e carri armati che uccidono possono spaventare.
Guardiamo i servizi televisivi insieme a loro e non facciamo interrogatori. Chiediamo come si sentono.
Poi cerchiamo le parole per spiegare loro che cosa sono i conflitti e spiegare che la guerra che vedono in TV stavolta non è un gioco, ma l’incapacità degli uomini a trovare accordi e soluzioni.
Si deve spiegare loro che i compatimenti e le distruzioni che vedono non sono uno spettacolo o un videogioco. Quello che vedono non deve diventare realtà virrtuale.
Però è fondamentale rassicurarli, senza aggiungere ai loro pensieri le nostre angosce, anche se le viviamo.
Aiutiamoli a esprimere ansia e paure. Non devono vergognarsi a provare un senso di disagio.
Giuliana B. Franchini
 
 Agli adolescenti  
Per gli adolescenti, invece, è diverso. Loro hanno più strumenti per leggere quello che accade.
Ma vanno aiutati a capire cos’è la violenza, quella vera, quella autentica. Vanno educati.
I giovani a quell’età stanno scoprendo il senso della vita, hanno bisogno di comprendere esattamente il senso della violenza, che oggi si respira ovunque.
Devono comprendere che i quotidiani comportamenti di ostilità e intolleranza portano a queste terribili conseguenze.
Se vogliamo aiutarli a comprendere la guerra come conseguenza della violenza quotidiana che respiriamo, io credo che dobbiamo cominciare ad ascoltarli.
E la scuola dovrebbe essere il luogo dove poterne parlare di più, dove allargare l’angolo di osservazione.
Dovrebbero sorgere laboratori permanenti per la gestione dei conflitti.
E anche per imparare empatia.
Giuseppe Maiolo


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