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Perché la guerra? – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Freud diceva che la «febbre della guerra» si impossessa dei corpi degli individui. Ma è lo stesso Freud a lasciare uno spiraglio di speranza...

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«Mi è caduto addosso il male del mondo… Volevo fare qualcosa per la pace perché mi sentivo colpevole della guerra.»
Sono le parole di Michele, il protagonista del romanzo «Angelo a capofitto» di Franco Fornari che ultimamente mi è tornato in mano.
Narrazione giovanile dello psicoanalista italiano che più di tutti si è occupato delle motivazioni psicologiche della guerra.

Il libro racconta l’angoscia profonda che assale un giovane di 27 anni e che mostra all’amico psichiatra insieme al sentimento di colpa e d’impotenza che vive Michele.
Il tema di fondo è la relazione con la sofferenza che proviene dall’assistere alla guerra e non e non poter far altro che interrogarsi sul perché della violenza che sostanzia tutte le guerre, anche questa a cui stiamo assistendo in diretta da più di due mesi.
In questo caso però vi partecipiamo, come scrive Edgar Morin su la Repubblica del 2 maggio 2022, in maniera strana, cioè con «il corpo comodamente in pace; la mente tra bombe e macerie… dormiamo nel nostro letto, non in un rifugio. Eppure partecipiamo alla vera guerra senza esservi entrati, ma portando armi e munizioni».

È lapidario Morin, e va giusto al cuore del problema che sta dentro l’interrogativo, comune e obbligato del «Perché la guerra?»
Domanda non diversa da quella che Einstein poneva a Freud negli anni 30 testimoniato da un famoso carteggio in cui gli chiedeva «C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?» «…una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino più capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?»
E Freud rispondeva che «è impossibile sopprimere le inclinazioni aggressive degli uomini» che pure hanno una loro funzione.

Basta questo per spiegare l’ambivalenza che stiamo attraversando e di cui Morin, centenario e lucido filosofo, rende conto definendola «pace bellica».
Come dire che nessuno vuole la guerra e tutti la facciamo, tutti costruiamo armi, le vendiamo, aumentiamo le spese per gli armamenti e dormiamo sonni tranquilli, protetti dalla locuzione latina «Se vuoi la pace, prepara la guerra».
«Qualcosa nell’uomo vuole la guerra» infatti scriveva Victor Hugo che è poi lo stesso pensiero di Freud quando sostiene che le pulsioni distruttive e autodistruttive sono ineliminabili.
Grazie alla riflessione psicoanalitica sappiamo che sono queste pulsioni ad alimentare il bisogno di «potere, padronanza, appropriazione» e che, come in ogni forma di violenza, insieme alle crudeltà e alle azioni devastanti, contengono anche quote di piacere, «il piacere di aggredire e distruggere».
 
Chiediamoci se non siano proprio queste «pulsioni di morte» che secondo Freud contrastano quelle vitali a impedire di mettere in campo le risorse capaci di avviare possibili negoziati.
La «febbre della guerra» si impossessa dei corpi degli individui, ne esalta i valori virili e sostiene codici di comportamento particolari i quali fanno leggere come atti eroici e di sacrificio ciò che in altri momenti sarebbero azioni inaccettabili.
Ma al di là del pessimismo freudiano, diceva Fornari nelle sue lezioni, che era lo stesso Freud a lasciare uno spiraglio di speranza quando sosteneva che l’aggressività può essere «gradualmente interiorizzata grazie allo sviluppo delle identificazioni fondate sui legami emotivi tra gli uomini» e alla «condivisione del valore della ragione» e del pensiero.
Un compito che ci appartiene.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it

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