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Tollerare: rispetto e gentilezza – Di G. Maiolo, psicoanalista

La tolleranza si costruisce dando valore al limite e confini dell’agire, ma dove sono assenti la paura dell’altro e la diffidenza

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Tollerare è un verbo impegnativo che indica la capacità di contenere le reazioni avverse di alcuni alimenti che l’organismo non metabolizza e, per estensione, sopportare i pesi della vita, cioè resistere nelle situazioni difficili e gestire le emozioni spiacevoli.
Ma anche accettare le differenze altrui.
Nelle interazioni personali a volte, la tolleranza viene confusa con la «neutralità» o con la non-interferenza nella vita degli altri che assomiglia molto all’indifferenza.
Invece si tratta di cose diverse perché tollerare non è passività e vuoto di partecipazione affettiva ma accettazione dell’altro, disponibilità aperta alla sua comprensione, sforzo per contenere il pregiudizio, sempre in agguato.
 
In altre parole è tollerante chi usa modalità costruttive, sa ascoltare con partecipazione e osserva con attenzione e, pur con impegno e sforzo personale, è in grado di relazionarsi con rispetto e gentilezza, coopera e condivide anche quando le visioni personali non coincidono o le rappresentazioni della vita sono opposte alle proprie.
La tolleranza va ben oltre le specifiche appartenenze che, come sappiamo, possono riguardare la razza, la lingua, l’orientamento sessuale, le credenze religiose o altro ancora.
È un’erba da seminare e coltivare prima di tutto a livello educativo e che riguarda i compiti di tutti, della famiglia, dei genitori, della scuola e della comunità educante.
 
In fondo essere tolleranti vuol dire avere come dotazione di base la fiducia negli altri con cui è possibile mantenere un atteggiamento positivo nei confronti delle intenzioni e dei comportamenti altrui anche quando non appartengono al proprio modo di intendere la realtà.
Significa non essere prevenuti e avere sicurezza e fiducia in sé stessi, quella che può provenire dal tipo di attaccamento e da quella base sicura che si sperimenta nella relazione affettiva dei primi anni di vita (G. Attili, Attaccamento e amore, Il mulino).
 
Molti studi hanno dimostrato che i bambini tolleranti provengono da famiglie il cui stile educativo non è punitivo né repressivo, ma nemmeno permissivo.
È caratterizzato da una forte partecipazione affettiva e da una attenta presenza che rassicura, senza essere soffocante, e promuove il rispetto delle regole senza ricorrere a minacce e punizioni severe.
La tolleranza si «costruisce dando valore al limite e confini dell’agire, ma dove sono assenti la paura dell’altro e la diffidenza.
Questi ultimi sentimenti, se fuori controllo invece, alimentano l’intolleranza e l’aggressività perché la sensazione di pericolo attiva la «proiezione» cioè un potente meccanismo di difesa che fa percepire l’altro come violento a cui attribuire le «proprie» intenzioni malevoli.
 
Educare alla tolleranza durante la crescita, vuol dire dare spazio all’espressione delle emozioni e alla gestione dei sentimenti.
Si diventa tolleranti se fin da piccoli si respira un clima di attenzione alle idee e ai bisogni altrui e se ci sono attorno adulti capaci di aiutare a superare la dicotomia tra «buoni» e «cattivi» ma anche l’idea manichea che il bene stia solo da una parte e il male dall’altra.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it

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