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Mascherarsi – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

L’arte di nascondere e di svelare per provare sembianze diverse e dare corpo ad altre verità, a desideri repressi oppure esorcizzare paure, incubi e aspetti negativi

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«Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero» dice lapidario Oscar Wilde (Aforismi, Feltrinelli).
Pur nella evidente provocazione Wilde dice il vero perché descrive in modo efficace la funzione della maschera che, in maniera ambivalente, nasconde e rivela, altera la realtà e la mette in mostra facendone vedere le parti nascoste, o per meglio dire, inconsce.
Vecchia quanto il mondo, la maschera ha da sempre trovato posto nel teatro e dato origine a riti collettivi, come il Carnevale che nella tradizione cristiana precede (carnes levare= togliere la carne) i digiuni quaresimali.
 
Ma le maschere del Carnevale risalgono ai saturnali che erano feste pagane e orgiastiche. Stavano a rappresentare il passaggio dal vecchio al nuovo, dal buio alla luce e annunciavano la trasformazione e il rinnovamento cosmico della primavera imminente.
Fase pertanto caotica e permissiva questi riti in onore del dio Saturno erano caratterizzati da comportamenti estremi e dai piaceri del corpo che alludevano alla liberazione delle energie pulsionali e profonde presenti nel sottosuolo della coscienza. Atmosfera di libertà estrema possibile ad esempio con la copertura del volto. Appunto con le maschere.
 
Per questo i latini dicevano che a Carnevale, e per un tempo limitato, era concesso andar fuori di senno, travestirsi e far emergere le parti meno lucenti, sataniche o mostruose che si tengono nascoste, anche a se stessi.
E non è un caso che ancora oggi le maschere più comuni nei travestimenti «carnascialeschi», siano diavoli e orchi, streghe o mostri inquietanti.
Caricature eccessive di cartapesta, si dirà, provocazioni inaccettabili in altri momenti perché fatte con abiti paradossali e improponibili nella quotidianità, ma che sembrano consentire o autorizzare ciò che normalmente è vietato.
 
Di fatto, mascherarsi vuol dire travestirsi per provare sembianze diverse e dare corpo ad altre verità, a desideri repressi oppure esorcizzare paure, incubi e aspetti negativi che ci portiamo dentro.
La maschera che Carl G. Jung evidenzia nel suo cercare significati psicologici all’esistenza umana, è quella che i latini chiamavano “Persona” e nel teatro antico veniva sempre indossata dagli attori prima di entrare in scena.
Con essa si nascondeva il vero volto dell’attore che invece mostrava ciò che gli altri potevano vedere e nascondeva le parti interne che restavano in ombra.
 
E allora la maschera può rappresentare ciò che mostriamo al mondo per essere accettati e quello che pensiamo la società possa accettare, cioè la facciata rispettabile e rispettosa delle convenzioni.
Nella quotidianità potrebbe essere il ruolo sociale che abbiamo o il copione da recitare per apparire agli altri.
Di certo la maschera nasconde perché copre il volto, ma allo stesso tempo afferma un Sé diverso spesso difficile da comunicare, inesprimibile e inespresso.
Impossibile per tutti non indossare una maschera nella vita, ma forse provarne una nei giorni di carnevale, anche se non modifica nulla a chi la indossa, può essere il modo con cui provare a uscire da quei ruoli rigidi cha abbiamo assunto o allentare la «corazza» sociale entro cui ci siamo ingessati.

Giuseppe Maiolo – psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it

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