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Contro il «revenge porn» – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

La «vendetta pornografica», variante del cyberbullismo, è diventato un reato punibile

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La Camera dei deputati, all’unanimità, ha approvato il testo sul Codice rosso e su questa nuova forma di violenza sulle donne. Finalmente.
Il revenge porn, comportamento usato dai giovani adulti ma anche dagli adolescenti, è una variante del cyberbullismo.
Minaccia, ricatto o stalking, è un’arma micidiale che di solito colpisce la donna che ha deciso di chiudere una relazione con il proprio uomo.
Un abuso devastante teso a distruggere la reputazione, un colpo mortale in gran parte inferto da un maschio che non sopporta la conclusione di un rapporto.
E le vittime spesso sono ragazze troppo giovani o compagne ingenue che non riconoscono il pericolo di certe pratiche.
 
Donne già oggetto di violenza per lo più psicologica da parte di compagni e mariti, coinvolte in apparenti «giochi» sessuali che, invece, sono forme camuffate di abuso.
Perché un amante che non rispetta il minimo della riservatezza e dell’intimità della coppia, molto probabilmente non sta comunicando una affettività matura.
Il «divertimento», che consiste nel mettere in piazza la vita privata e sessuale dei partner postando sul web e facendo girare con il telefonino foto intime, può rivelare un morboso voyerismo o un patologico tratto narcisistico da parte di chi lo chiede o lo impone come «gioco» erotico inopportuno quanto violento.
 
Tutto solitamente comincia con un iniziale consenso alla diffusione delle immagini e video privati.
Il che fa percepire un’elettrizzante complicità nella coppia, quando invece si tratta di vera e propria manipolazione psicologica.
Ma può essere che la dipendenza affettiva impedisca alla vittima di riconoscere che ciò che sta vivendo non è una relazione sentimentale e nemmeno un divertimento sessuale tra adulti consenzienti, ma una vera e propria perversione che può trasformarsi in un’arma letale utilizzata per offendere e distruggere la reputazione della partner.
Al di là di qualsiasi considerazione che potrebbe apparire come moralistica, c’è allora da chiedersi se il problema della pornovendetta possa essere arginato solo con le norme repressive, anche se necessarie, previste dalla nuova legge.
 
A mio parere, si tratta ancora una volta di pensare ad azioni educative a carico della famiglia e della scuola.
Perché il revenge porn ha radici nella diffusa abitudine sia degli adulti che dei minori di postare e condividere in rete immagini e video di vita privata e intima.
Prevenire è allora la prima cosa da fare. Bisognerebbe finirla di normalizzare quei comportamenti che rendono un po’ tutti gli adulti fotoreporter d’assalto che pubblicano foto dei propri figli in ogni situazione e le offrono al mondo intero.
Si dovrebbero educare i bambini (e non solo a parole) al rispetto dei fatti privati che devono rimanere tali e far sapere loro che non tutto deve essere reso pubblico.
 
Educare al tempo dei social significa sempre di più costruire percorsi di educazione ai media coniugati con l'educazione alle emozioni e alla sessualità.
Il che vuol dire non tanto fare informazione quanto accompagnare pre-adolescenti e adolescenti verso una sessualità responsabile intesa non solo come espressione di una fisiologica pulsionalità, ma come relazione affettiva, fatta di intimità e rispetto.
Poi con urgenza serve far crescere giovani capaci di sviluppare un pensiero critico che permetta loro di non essere manipolati.
E per questo c’è bisogno di educatori attrezzati e competenti nello svolgere una nuova azione formativa che, come diceva José Ortega Y Gasset, li metta in grado di «insegnare anche a dubitare di ciò che gli insegnanti insegnano».
 
Giuseppe Maiolo
Università di Trento
www.officina-benessere.it

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