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Adolescenti, suicidio e social – Di G. Maiolo, psicoanalista

La sfida del nostro tempo è potenziare, a livello orizzontale, solidarietà e empatia

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Qualche mese fa una ragazza di 16 anni della Malaysia si è lanciata dal terzo piano della sua abitazione dopo aver postato su Instagram una domanda «Aiutatemi a scegliere D o L».
Le due lettere in inglese sono le iniziali delle parole «Death» (morte) e «Life» (vita). Il sondaggio è lapidario: Il 69% dei suoi follower risponde Death e la giovane si suicida.

Subito serpeggia nell’opinione pubblica la convinzione che è responsabilità dei social e di chi ha risposto «Morte». Invece la colpa non sta da quelle parti.
I social c’entrano poco o niente perché per gli adolescenti di oggi non sono altro che strumenti per comunicare e fare gruppo.
Sono un mezzo congeniale e funzionale alla fase della crescita in quanto servono per conoscere, incontrarsi e restare in contatto h24, come ormai si usa dire.
I social hanno la funzione di aiutare la socializzazione, permettono di condividere una quantità di cose, comprese le paure o le sofferenze, e soddisfano il bisogno di confronto e di conferme.
 
E poi il problema è altro. Il suicidio nasce di frequente da un dolore interno insopportabile che a volte occupa per intero la mente degli adolescenti e li rende vulnerabili e fragili.
È una sofferenza profonda che non di rado finisce per trasformarsi in autolesionismo di cui, ad esempio, i tagli sulle braccia e sul corpo, possono essere il primo allarmante segnale.
Così molto probabilmente quella ragazza malaysiana, forse bullizzata, aveva già preso la decisione del suicidio anche se tentava in modo ambivalente, come fanno gli adolescenti, di inviare in codice larvate richieste di aiuto che però nessuno ha raccolto.
 
Il tema importante, anzi fondamentale, è allora la prevenzione del suicidio.
E vale la pena ricordare nel mese di settembre in cui ricorre la giornata mondiale contro la depressione, che il suicidio è un fenomeno drammatico con le 800 mila persone nel mondo che ogni anno si tolgono la vita.
Ancora più allarmante è il suicidio tra i giovani che costituisce tra i 14 e i 19 anni, la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali.
Dati sconfortanti che tra l’altro segnalano un crescendo di malessere tra la popolazione giovanile e un aumento della patologia depressiva.
Più preoccupante che mai, poi, è la disattenzione di chi sta vicino all’adolescente e non coglie i segnali di sofferenza che egli accumula nel tempo.
Perché il suicidio è un gesto che non nasce d’improvviso, ma è lungamente preparato.
 
Può essere difficile comprendere fino a che punto un adolescente sia in pericolo, ma è anche vero che il suicidio continua ad essere un tema tabù che blocca e spaventa, e fa si che ogni riflessione sia rimossa.
Non a caso quando un giovane compie questo gesto definitivo i media ne danno un sintetico resoconto di cronaca e con l’alibi dell’effetto emulazione.
Servirebbe invece parlarne e fermarsi a riflettere. Caso mai, come dice l’Alleanza Europea contro la depressione, che studia e promuove azioni di prevenzione, è il come se ne parla che conta.
Serve ad esempio da parte dei media una narrazione adeguata, senza morbosità, che aiuti a capire e offra informazioni di strategie di aiuto e di gestione del rischio suicidario.
 
Importante è conoscere e far sapere ai giovani cosa sono la depressione, il suicidio e il fatto che si possano avere in certi momenti pensieri autodistruttivi.
In adolescenza il pensiero della morte è frequente ma non tanto come desiderio quanto come possibilità di far cessare quel dolore mentale divenuto insopportabile e arrestare il flusso di emozioni e angosce intollerabili.
Un elemento che è fondamentale da riconoscere nel suicidio adolescenziale è l’isolamento, che non è la solitudine ma il sentimento «dell’essere soli» senza qualcuno che sappia ascoltare e comprendere la sofferenza.
Questo alimenta la mancanza di prospettive, il senso di vuoto e la chiusura in se stessi.
 
Prevenire il suicidio allora richiede come prima cosa la necessità di riflettere su quello che devono fare gli adulti di riferimento a cui compete il compito di prestare attenzione alle relazioni, dove è fondamentale per i bambini e adolescenti trovare ascolto e attenzione.
Per la prevenzione serve attrezzare i minori all’utilizzo corretto delle nuove tecnologie digitali, alla conoscenza dei pericoli che si incontrano in rete e sviluppare interventi di «peer education» che diano competenze di aiuto ai pari, perché siano messi in grado di riconoscere precocemente i segnali della sofferenza e sappiano soccorrere.
La sfida del nostro tempo è potenziare, a livello orizzontale, solidarietà e empatia.

Giuseppe Maiolo
Università di Trento

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