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Luciana Savignano danza l’essenza della femminilità (ferita)

Una ferma condanna della violenza contro le donne – Di Sandra Matuella

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Il servizio fotografico del balletto è di Mario Sguotti.
 
In un crescendo musicale e insieme estatico, nel 1961 il Bolero di Ravel è diventato un balletto firmato dal coreografo Maurice Béjart: l’interprete più iconica ed amata di questo balletto che è un capolavoro della danza del Novecento, a detta anche dello stesso Béjart, è Luciana Savignano, étoile del Teatro alla Scala e stella luminosa della danza internazionale.
Adesso c’è una rivisitazione del Bolero di Ravel/Béjart, realizzata da Milena Zullo che ha impostato il balletto sul tema crudo e urgente del femminicidio, e che si intitola «Bolero. Prigionia di un amore».
L’interprete d’eccezione è proprio Luciana Savignano, in scena con la compagnia Padova Danza Project diretta da Gabriella Furlan, con gli attori Massimo Scola e Matteo Di Girolamo, e le musiche di Ravel e di Enrico Gabrielli.
 
«Una melodia, simbolo femminile, morbido e caldo, di una inevitabile unicità, si avvolge senza posa su se stessa, un ritmo maschile che pur restando lo stesso va aumentando di volume e di intensità, divora lo spazio inghiottendo infine la melodia.»
Così lo stesso Béjart ha descritto il Bolero che nella sua versione si trasforma in una sorta di rituale erotico, mentre ora, nella visione di Milena Zullo, acquista una tensione tragica, dove la dimensione intima e privata della violenza, o meglio delle diverse forme della violenza, fisica, psicologia e verbale, proprio come nell’antico teatro greco vengono ricondotte ad una dimensione pubblica, corale.
Nella visione di Milena Zullo, coreografia e drammaturgia si fondono in una ricca partitura di movimenti, parole e musiche che, rivisitando Ravel in chiave contemporanea, tra sonorità distorte ed aspre dissonanze, prende vita un crescendo vertiginoso, a tratti travolgente, sulla condizione femminile funestata da atteggiamenti predatori, dettati da becero maschilismo unito a inveterate convenzioni sociali.
 

 
Per quanto riguarda Luciana Savignano, che in Trentino abbiamo ammirato in tre diversi balletti negli anni Novanta, tra cui lo stesso Bolero di Béjart al Teatro Auditorium nel 1997, in questa sua interpretazione si ritrova tutta la sua leggendaria flessuosità, arricchita però dalla sua intensa umanità e infinita dolcezza.
E non si può non parlare di un’altra citazione coreografica presente in questo lavoro: insieme al richiamo del Bolero di Bejart c’è anche la Morte del cigno, il breve assolo che rappresenta l’essenza della danza classica, e che Luciana Savignano ha interpretato con tutto il pathos e la classe che questo gioiello coreografico esige.
Occorre sottolineare però, che nel lavoro di Milena Zullo, queste due citazioni storiche non vengono riproposte in maniera fine a se stessa, ma con spessore critico, sempre poetico, per un inno alla femminilità e una ferma condanna della violenza contro le donne.
 
Balletto di straordinaria bellezza e di forte impegno civile, «Bolero. Prigionia di un amore» è stato proposto anche al Teatro Sociale «capovolto» di Trento per la rassegna InDanza del Centro Santa Chiara, firmata da Renato Zanella: il pubblico trentino ha seguito con grande partecipazione la rappresentazione, che si è conclusa con una standing ovation a Luciana Savignano, a Milena Zullo e a tutto il Padova Danza Project; alla serata era presente anche Mirko Bisesti, Assessore alla Cultura e Istruzione della Provincia Autonoma di Trento, che al termine dello spettacolo ha consegnato un omaggio floreale alla grande étoile.
 

 
Durante le prove pomeridiane sul palco del Teatro Sociale, Luciana Savignano ha raccontato a L’Adigetto.it le emozioni legate a questo suo nuovo Bolero e, in generale, la sua passione incondizionata per la danza.
«Questa è una versione diversa e nuova che affronta un argomento molto forte e attuale: è un lavoro molto particolare, con delle musiche create apposta così, anziché durare i canonici 17 minuti del Bolero di Ravel, questo lavoro fa serata da solo: lo trovo un lavoro molto forte, molto di impatto, e io ho completamente dimenticato il Bolero che ho sempre fatto, come giustamente doveva essere perché non aveva senso riprenderlo, dal momento che la coreografa Milena Zullo ha dato una impostazione tutta sua e particolare, con una compagnia molto brava: in questo contesto mi sono inserita molto bene, ed è un’esperienza che indubbiamente mi ha arricchito, anche perché mi piace affrontare cose nuove, diverse, e questo Bolero è diverso da quelli che ho fatto fino ad adesso.»
 
Lei che è l’interprete per eccellenza del Bolero di Ravel/Béjart, che rapporto vede con questo Bolero rivisitato da Milena Zullo? si può parlare di una passione finita male?
«La passione è eterna, mentre qui si racconta qualcosa di ossessivo e che oggi come oggi è purtroppo un tema attualissimo: è uno spettacolo da vedere, perché ha un impatto forte e lascia dentro sensazioni che non si possono spiegare fino in fondo, perché la danza bisogna vederla, viverla.»
 
Viverla sì, possibilmente in presenza, e finalmente dopo lunga chiusura si sono riaperti anche i teatri: come è cambiato il suo rapporto con la scena dopo il Covid?
«Il Covid ci ha colto come un temporale e ci ha sconvolto, ci ha messo con le spalle al muro, però io penso che come tutto quello che accade nella vita, alla fine, se si riesce ad uscirne, se ne esce più forti: i grossi traumi o annientano o fortificano e io voglio pensare che questo Covid ci abbia fortificato e che la danza ne uscirà sempre vittoriosa.»
 
Per lei cosa rappresenta per la danza?
«Qualcosa che ti accompagna nel corso della vita: io ho sempre cercato di accompagnare e di farmi accompagnare dalla danza, perché se uno ha fiducia in quello che fa e ama quello che fa, è come se si lasciasse avvolgere da qualcosa che io considero un privilegio.
«Sì, io mi sento una privilegiata per aver avuto nella vita una luce così forte, che a tutt’oggi mi illumina.»
 

 
Un consiglio che si sente di dare a chi vorrebbe fare della danza una professione?
«I consigli sono sempre la cosa più difficile da dare perché per ognuno la situazione è diversa. L’importane è essere consci che è una responsabilità verso se stessi e verso la danza, e se si fa con coscienza, passione, devozione, con umiltà, qualche cosa arriva, non è importante raggiungere chissà quali livelli, l’importante è fare quello che piace e farlo con la consapevolezza che quello che stai facendo è un privilegio che tu hai, considerarlo come tale, e non come un lavoro o una attività giusto per passare il tempo: la danza va fatta seriamente e non una volta alla settimana.»
 
E il segreto della sua danza e delle movenze così uniche che hanno sempre incantato il mondo?
«Non ci sono dei segreti, la danza è qualche cosa che parte da dentro, e quando hai imparato le tecniche basilari, devi esprimere te stesso, ciò che hai dentro.
«Si deve capire che per ognuno è una cosa diversa, perché la danza ti permette di esprimere le parti più segrete della tua anima e poi ti lasci andare e vai.
«Quindi non c’è una regola fissa per ognuno di noi, proprio perché ognuno di noi è diverso e ognuno di noi dà quello che sente interiormente.»
 
La danza è per tutti?
«Ma certo, in maniera diversa chiaramente, perché c’è chi è più o meno portato o dotato, l’importante però è capire che con un movimento tu hai un modo per la liberarti di tante cose che magari nel quotidiano non riusciresti a fare.»
 
Un sogno di danza?
«È di sentire dentro di me questa fiammella che non si spegne mai, questo è il sogno mio, perché il giorno che si spegnerà questa fiammella vuol dire che il sogno è sfumato.
«Il mio desiderio è che questa fiammella rimanga ben accesa, altrimenti vorrei essere io a spegnerla e non le circostanze o i traumi della vita.»

Sandra Matuella – s.matuella@ladigetto.it


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