Le Feste Vigiliane sono terminate – Di Daniele M. Bornancin
Quale segnale hanno dato? Quali messaggi saranno ricordati nel tempo?
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È calato da poco il sipario sulle Feste Vigiliane 2017 nella nuova gestione, caratterizzate da varie novità, sia di spettacolo, sia di forme diverse d’intrattenimento culturale, che di rievocazioni storiche.
Inizia ora il periodo di valutazione dei risultati che si riferiscono ai dati delle presenze, e sulle ricadute turistiche ed economiche, sul grado di soddisfazione degli operatori del settore (alberghiero, commercio, artigianato e ristorazione).
Una festa della città, che ha coinvolto tutti, un insieme di manifestazioni culturali, gastronomiche, storiche e di divertimento, tanto da porre l'attenzione anche di persone provenienti dalle regioni vicine e dall'estero, in particolare dall’Austria e Germania, ma non solo, anche dalla Polonia e dall’Olanda.
I Ciusi Feltrini anche quest’anno sono riusciti a prevalere sui Gobi Trentini, aggiudicandosi la vittoria, portandosi a casa la polenta ben calda e fumante.
Un successo quello dei Ciusi che si ripete per la seconda volta consecutiva e per la quindicesima dall’avvio della manifestazione.
Il Palio dell’Oca, la tonca, il tribunale della penitenza, affiancate da nuove iniziative musicali, di ballo, di giochi sull’acqua, hanno coinvolto alcuni luoghi della città come il Parco del Muse, Piazza Fiera, compresa Piazza Duomo, grazie anche al corteo inaugurale con la sfilata in costume partito dal Castello del Buonconsiglio per raggiungere le vie del centro cittadino.
Trento ha così festeggiato il Patrono e si è trasformata in borgo medioevale, dove i turisti hanno assaporato e gustato i piatti tipici della tradizione trentina e osservato le sculture di legno e i vecchi mestieri della storia contadina.
Un primo bilancio sicuramente positivo per quest’edizione appena conclusasi, certo all’inizio qualche preoccupazione per gli organizzatori, soprattutto per gli eventi cosiddetti popolari e che si ripetono da anni, ma poi la risposta della città e dei turisti e la massiccia partecipazione hanno, di fatto, tolto ai responsabili ogni tensione. Quindi un’edizione positiva, sia per la macchina organizzativa, sia per la risposta della gente.
Uno dei momenti più emozionanti e rilevanti, all’interno delle manifestazioni, è stato alla Solennità di San Vigilio l’omelia dell’Arcivescovo di Trento, durante la messa in onore del patrono della città.
Un messaggio espresso con un linguaggio semplice, umano e chiaro da don Lauro Tisi, alla sua seconda volta di quest’annuale ricorrenza del Santo fondatore della Chiesa trentina.
Andiamo a toccare, sia pure in via generale, i tratti dell'omelia che è stata in parte racchiusa in una lettera alla comunità, pubblicazione denominata «La vita è bella» donata alle persone presenti, all'uscita dalla cattedrale e che segue la precedente del 2016, chiamata «silenzio e attesa».
Don Lauro ha posto l’accento sul bisogno dell’uomo di essere eccedente, andando al di fuori della propria quotidianità e superando l’inquietudine che ogni persona si porta dentro, citando alcuni personaggi della fede nella storia, come don Milani, Oscar Romero, don Mazzolari e il trentino Alcide Degasperi, quali autorevoli testimoni di un operare a favore del bene per la comunità.
Da qui, l’invito alla Chiesa tutta, a impegnarsi per prima e senza rivendicare spazi o posizioni di rendita per un «unico primato» di procedere nell’amore gratuito e nel servizio ai più deboli. Questo anche come criterio di seminare per raccogliere.
Nell’ottica del tempo di oggi, della necessità di «seminare pensiero», per sognare il futuro e inventare novità.
«Si può aggiungere che, deboli oggi sono oltre agli anziani e ai poveri, i giovani che non trovano lavoro, che dopo anni di studio si trovano a fare lavoretti manuali, che si sforzano di fare qualcosa, che però non possono dimenticare gli sforzi e i sacrifici fatti in anni di studi, ottenendo oggi niente.»
«La vita è bella», una lettera alla comunità che non può che farci riflettere in modo collettivo leggendone i contenuti, che descrivono l’attualità anche delle persone spesso giovani, che hanno gettato la spugna, che non hanno avuto il coraggio di rimettersi in gioco, smarriti nell’indifferenza e nel silenzio altrui, che volevano fare squadra, ma non hanno trovato la comunità.
In questo tempo dominato dai post, post verità, post coscienza, prassi di chi abita il mondo dei social il rischio è di non abitare la relazione, ma essere sempre altrove.
Questo uno dei pensieri di queste pagine, che fanno capire ancora le difficoltà che i giovani devono affrontare ogni giorno.
Un richiamo che si può tradurre in una semplice raccomandazione: quella di mettere da parte il cellulare e parlarsi negli occhi per una sana relazione.
Ecco, quindi, il messaggio principale del nostro Arcivescovo, che diventa un auspicio per tutti, quello di avere il coraggio di perdere il tempo per nuove relazioni con gli altri, lasciando la possibilità al cambiamento. Ma da dove ripartire? Dalla consapevolezza che non ci può essere spazio alla risalita per persone «fai da te»; solo insieme si può recuperare l’«humus umano».
Certo, la società di oggi è conosciuta come «società liquida», i cui rapporti tra le persone si basano quotidianamente sull'uso di strumenti tecnologici che non vanno in profondità, ma rimangono in superficie, quel linguaggio occasionale di comunicazioni frammentate.
Infatti, si è costatato da più parti che si preferisce usare il telefonino, anche per parlarsi durante una conservazione tra persone, magari seduti allo stesso tavolo del bar. Meglio un messaggino che una parola per dirsi solo un semplice ciao.
Tutti oggi hanno la necessità di relazioni reali e autentiche, quelle che di solito non tollerano l'ambiguità, ma si nutrono di sincerità e trasparenza, di franchezza, di quel dire dei vecchi tempi «Pane al pane, vino al vino», questo è ciò che si dovrebbe fare.
Il tema del lavoro, è stato affrontato da Papa Francesco in un ammonimento durante l’udienza ai delegati della CISL, ricevuti in occasione del diciottesimo Congresso dal tema «Per la persona, per il lavoro».
Il Pontefice sostiene che è necessario un nuovo patto sociale, che riesca a realizzare una reale staffetta generazionale tra anziani e giovani, perché è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga intere generazioni di giovani a non lavorare, quando dovrebbero farlo per loro e per tutti. Persona e lavoro vanno insieme, perché la persona fiorisce con il lavoro.
Il nuovo patto sociale per il lavoro deve ridurre le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare così lavoro per i giovani che hanno il diritto e il dovere di lavorare.
Due messaggi, quello di Papa Francesco e quello di don Tisi, che si affiancano nel loro cammino di pensiero, che mettono al centro il giovane e il lavoro, che al di là degli ammonimenti o delle opinioni, devono far riflettere ognuno di noi.
Certo, se rimane ferma nei settori produttivi quell’opinione che l’economia è solo quella del mercato e non quella anche sociale, gli squilibri e le diseguaglianze continueranno a crescere ovunque.
A conclusione delle Feste Vigiliane si può dire che quest’edizione rimarrà nella mente di tanti trentini soprattutto per il pensiero del nostro Arcivescovo, per i messaggi che sono stati forniti anche dalla sua parola, ma anche per l’indicazione che ognuno potrà, se vorrà, seguire.
Una domanda mi sorge spontanea a conclusione di questa riflessione: saremo capaci di dialogare con le altre persone, sapremo fare qualcosa di nuovo, inventando anche progetti innovativi nel campo del lavoro per i giovani, o viceversa rimarremo sempre ben saldi nella costante e quotidiana tranquillità, senza pensare al futuro, senza rischiare, senza una nuova visione complessiva?
Daniele Maurizio Bornancin
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