Giovanni Vettorazzo, attore roveretano – Di Paolo Farinati
Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lui, a Rovereto
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Abbiamo il grande piacere di scambiare quattro chiacchiere con l’attore roveretano Giovanni Vettorazzo.
La sua carriera è ormai molto significativa, sia a teatro che nel cinema e alla televisione. Ci gustiamo un buon caffè in centro città, ricordando pure gli anni del prestigioso Liceo «Antonio Rosmini», dove entrambi abbiamo avuto l’onore di avere il prof. Livio Caffieri vicino, lui quale docente di lettere, latino e greco al classico, io quale Preside dell’Istituto.
Giovanni è figlio di un altro grande nostro concittadino: il prof. Guido Vettorazzo, eroico alpino che nella Seconda Guerra Mondiale ha vissuto in prima persona la tragica ritirata del Don, passando pure da quell’indimenticabile piccolo villaggio ucraino di Nikolajevka. Ci ha lasciato pagine toccanti di quel drammatico periodo. Il prof. Guido fu pure stimato insegnante e capace pubblico amministratore di Rovereto.
Ma torniamo a Giovanni, persona affabile e dai mille interessi, attore che ha già ottenuto molti successi. Tra pochi giorni, precisamente giovedì 13 ottobre, si appresta ad esordire nell’ambito della terza edizione del Festival del Teatro Italiano al prestigioso Golem’s Teatre di Barcellona con lo spettacolo «Vanadio», impegnativo monologo tratto da un racconto di Primo Levi, con la regia di Guya Colorio, pure lei roveretana di nascita.
Conosciamolo di più questo famoso e bravo concittadino di Rovereto.
Gentile Giovanni, innanzitutto, quale è stata la «molla» che Ti ha portata verso la recitazione?
A Milano sono stato sei anni, lì ho fatto molta scuola, ero l’unico di origine «veneta» nel secondo corso di recitazione e come tale fui chiamato da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro, dove feci un provino come sostituto nel Campiello di Carlo Goldoni. Andò molto bene ed ebbi così l’opportunità di sostituire il grande Bruno Zanetti nel ruolo di Giorgetto per quattro stagioni. Poi da Milano sono andato a Roma, che ho subito amato. Lì ho vissuto dal 1976 iniziando a fare anche cinema e televisione, ma non abbandonando mai il teatro.
Hai sin qui lavorato nel cinema, alla TV e nel teatro. Dove Ti sei trovato e Ti trovi tuttora più a Tuo agio?
Non c’è alcuna differenza per me. Teatro, cinema e televisione sono uguali per me. Sono mezzi diversi, ma la recitazione è uguale. È come chiedere ad un dentista se toglie solo i molari o gli incisivi: lui lavora chiaramente su tutti i denti. Devo ammettere che io amo molto la radio, il mezzo forse più semplice ma che ti gratifica molto.
Uomini e donne da cui più hai imparato e a cui Ti senti più legato?
Devo moltissimo a Giorgio Strehler, che mi ha aperto il cervello e il cuore, mi ha insegnato ad approcciare qualsiasi testo. Poi Peter Stein, che mi ha insegnato l’importanza della storia dell’arte e il senso della bellezza, valori che mi hanno aperto al teatro. Ma non posso dimenticare registi quali Sandro Bolchi e Silverio Blasi. Devo molto a Luigi Magni, che mi ha fatto da chaperon a Roma, non posso dimenticare le nostre lunghe passeggiate serali nella capitale, di cui lui mi ha fatto conoscere e scoprire molto della storia e dell’architettura. Molta stima riservo pure a Carlo Lizzani, un regista molto particolare. Mi dispiace non aver lavorato con Giuliano Montaldo, regista che amo molto.
Tra pochi giorni reciterai a Barcellona. Cosa Ti attendi da questa nuova esperienza?
Barcellona è una città giovane, molto viva, una capitale europea dell’arte e, quindi, anche del teatro. Qui è molto amato il nostro teatro italiano. Per me è una grande gioia recitare qui.
Avrai quale regista un'altra roveretana, Guya Colorio. Come e quando è nata la Vostra collaborazione?
Con Guya Colorio siamo stati compagni di corso alla Scuola «Paolo Grassi» del Piccolo Teatro di Milano. Ho scoperto solo più tardi che era di Rovereto. Lei si è spostata giovanissima in Spagna, dove si è sposata, ha avuto dei bambini e si è creata una famiglia. Ha aperto in seguito una scuola di teatro, che in ricordo dei suoi trascorsi milanesi ha chiamato «Il Piccolo» di Barcellona. In questa scuola ho avuto l’opportunità di insegnare per più anni. A distanza di tempo è nata l’opportunità di collaborare al Festival del Teatro Italiano di Barcellona ed eccoci qua.
Avremo il piacere di vederVi entrambi nel nostro amato Teatro «Riccardo Zandonai» di Rovereto?
Non lo so se verrò a recitare a Rovereto, anche perché purtroppo «nemo profeta in patria». Mi piacerebbe proporre lo spettacolo «Vanadio» di Primo Levi nel Giornata della Memoria, un testo impegnativo ma ritengo molto significativo per i nostri giovani. Lo scorso anno ho accompagnato proprio in quel giorno Maddalena Crippa in una lettura di una vittima di Auschwitz. Ma onestamente non ho molta speranza. Tempo fa proposi di portare al Teatro «Riccardo Zandonai» di Rovereto «Il giorno della civetta» di Leonardo Sciascia, ma non se ne fece nulla, avendone, lo confesso, una profonda delusione.
Cosa consiglia ad un giovane che ama la recitazione?
Ad un giovane che ama la recitazione consiglio di studiare, di avere una laurea e di leggere tantissimo. Leggere, leggere, leggere. Se poi vuole approfondire lo invito ad entrare in una scuola teatrale buona. Recitare è un lavoro artigianale, un lavoro duro, in cui bisogna impegnarsi molto, come si suole dire bisogna «farsi il culo». Recitare non è da tutti, non è paragonabile ai talk show che si vedono in televisione. Ci vuole molta passione, costanza nello studio e grande determinazione. Studiare, studiare, studiare. Non vedo altri possibili consigli.
Narraci in breve il Tuo spettacolo «Vanadio» di Primo Levi.
Di «Vanadio» ne sentii parlare tempo fa a Radio 3. Lo lessi e mi piacque molto. È un racconto che fa parte di un libro di Primo Levi uscito postumo, dal titolo «Auschwitz città tranquilla». Si narra dell’esperienza di Levi in un laboratorio di chimica proprio ad Auschwitz, dove conosce un certo signor Muller che lì lavorava. È la ricerca di un dialogo tra una vittima e un carnefice. Un libro pacato, che si legge con una certa facilità, nonostante la drammaticità della storia narrata. È di assoluta attualità, soprattutto se dal passato non abbiamo imparato alcunché. Quando non coltiviamo più la memoria i mostri possono sempre e ovunque ricomparire.
Quali sono i Tuoi progetti futuri?
Non ho progetti sul mio futuro. Sono solito vivere di giorno in giorno. Ho molta fiducia in questo spettacolo e spero mi sia chiesto di recitarlo anche altrove. Sono sempre pronto a fare l’attore, amo recitare, è per me una vacanza, anche se ora sono in pensione. Coltivo le mie molte passioni: sono anche un artigiano, ho un attrezzatissimo laboratorio a Rovereto, sono molto manuale, costruisco archi e coltelli da caccia, hobby di cui vado fiero, lavoro il legno e il cuoio, leggo molto, cucino benissimo e ho molti amici, soprattutto donne. La curiosità verso il mondo femminile mi mantiene più che mai vivo e mi dà molta felicità. Per ora procedo alla giornata. È bello alzarsi la mattina e chiedersi: «Cosa faccio oggi?». Tanto una risposta ce l’ho sempre pronta.
Complimenti e grazie, caro Giovanni.
Il nostro più sincero «in bocca al lupo» per il Tuo spettacolo al Golem’s Teatre di Barcellona.
Paolo Farinati - p.farinati@ladigetto.it
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