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Il Mart compie 20 anni, domenica le celebrazioni

Una riflessione del nostro Paolo Farinati: «Un giovane compleanno, tra bilanci, visioni, obiettivi, delusioni, speranze e molto altro»

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Il MART, il nostro MART, ha compiuto in questi giorni i suoi primi 20 anni. Un compleanno giovane, verrebbe da dire, ma per un Museo che ha tanta storia prima, dentro e dopo di sé, vent’anni sono forse un tempo sufficiente e utile per trarre dei bilanci.
Sappiamo quanto Rovereto lo abbia voluto, sin dalla metà degli Anni ’80, e quanto, per contro, la Provincia di Trento abbia tergiversato per dare il via all’ambizioso progetto dell’archistar Mario Botta.
Un Museo di Arte Moderna e Contemporanea ben si sposava con la storia e le rinnovate speranze di una medio-piccola «Città della Cultura» come Rovereto.
 
Tra gli Anni Ottanta e Novanta Rovereto e la Vallagarina hanno visto chiudersi molti cancelli industriali, hanno assistito fino all’ultimo respiro al venir meno di importanti aziende, che fino ad allora avevano garantito decine di migliaia di buste paga ad altrettante famiglie.
Era il prezzo da pagare innanzi ad una incipiente globalizzazione produttiva e finanziaria. Ecco che allora la città, riscoprendo, seppur ancora timidamente, il talento di Fortunato Depero, ha iniziato a sfogliare i capitoli storici della sua cultura, volendone scrivere di nuovi.
Un visionario come Umberto Savoia già immaginava e raccontava di un possibile Museo, che potesse unire l’intera comunità in un piccolo-grande sogno da cui trarre conoscenza, relazioni, unioni generazionali, nuove scuole, magari una facoltà universitaria e da cui, perché no, dar origine ad un nuovo benessere.
 
La politica cittadina fece propria l’idea e con convinzione tracciò su carta un progetto, che doveva essere la più valente ed efficace risposta alla crisi del settore produttivo.
Un po’ tutti, chi più e chi meno, ci abbiamo creduto e, forse, ci si è un po’ illusi. C’era chi sosteneva che il nascente Museo avrebbe persino compensato la perdita di posti di lavoro che si era drammaticamente già verificata nell’industria e nei suoi settori indotti. Ma non fu proprio così.
Questa sì fu una grande illusione, che aprì un’iniziale ferita tra il Museo e la città.
Credo sia partito proprio da qui il rapporto «freddo» tra il MART e i roveretani.
 
Certamente in questi vent’anni Rovereto e il Trentino con il MART si sono aperti all’arte e alla pittura moderna del mondo intero.
Accanto all’intima, ma sempre suggestiva Casa Depero, peraltro ottimamente restaurata tra il 2007 e il 2009 in via Portici, negli ampi spazi espositivi di Corso Bettini il MART in questi 20 anni ha saputo portare patrimoni artistici di pittori moderni e contemporanei di assoluta rilevanza.
Con risultati alterni, anzi sono state parecchie anche le delusioni rispetto alle attese di visitatori e di ricadute turistiche e, quindi, economiche sulla città.
E il «freddo» tra il MART e i cittadini si è anno dopo anno accresciuto.
 
Esiste un’oggettiva distanza tra la città e gli ammirevoli spazi disegnati dal genio di Mario Botta.
È una distanza più psicologica che fisica.
In altre parole, il MART è poco sentito da noi roveretani quale il «nostro Museo».
Non voglio esagerare, ma aggiungo con convinzione che il MART è visto come un’entità d’élite.
Per nulla popolare.
E qui stiamo tradendo anche l’idea visionaria propria di Umberto Savoia.
Diversamente, molto diversamente, da come Trento e i suoi cittadini vivono il MUSE.
 
Là, ahi noi, vi è un quotidiano rapporto assai «caldo».
Al MUSE ci si trova a qualsiasi ora, si va a bere un caffè e l’aperitivo, si mangia con pochi euro, si legge, si gioca, si studia e via discorrendo.
Trento sente profondamente suo il MUSE. In questo ragionamento non c’entra per nulla la diversità delle proposte dei due Musei: le scienze naturali e le arti figurative e pittoriche sono sempre state, sono e continueranno ad essere ambiti disponibili a tutte e a tutti, giovani e meno giovani, ricchi e meno ricchi.
Sono, in sintesi, capitoli della conoscenza umana assolutamente popolari (!).
 
E nulla conta se Trento ha 110 mila abitanti e 15 mila studenti residenti.
Rovereto e la Vallagarina di abitanti ne hanno 80 mila e ospitano più di 3.000 studenti da fuori città, che frequentano i nostri Istituti superiori e i Corsi Universitari istituiti a Rovereto da UNITN e UNIVR.
Ma evidentemente il MUSE fin da subito si è proposto quale il Museo di tutti, un Museo delle famiglie trentine e, parimenti, come un luogo in cui fare quotidianamente e felicemente comunità.
Il MART, il nostro MART, su questo ha peccato.
 
Ribadisco, non ha saputo legare con il territorio, in particolare con i giovani, salvo qualche rara occasione o mostra.
A parte i fuochi d’artificio legati all’inaugurazione del Museo e alla prestigiosa esposizione dei quadri della famosa Collezione Phillips proveniente da New York, il rapporto è nato «freddo», non c’è mai stato vero innamoramento tra il Museo e la cittadinanza di Rovereto.
Credo che questo fatto sia sotto gli occhi di tutti. Uso questa metafora del «rapporto freddo» in quanto credo che i sentimenti giochino molto nelle nostre decisioni di visitare o meno un dato luogo.
Mi rendo perfettamente conto che è facile oggi fare bilanci di questo tipo.
Del senno di poi son piene le fosse. Ma ritengo corretto e responsabile farlo.
 
Lo dobbiamo per rispetto e per onestà intellettuale verso chi si è speso molto in termini politici, economici e culturali per avere il MART a Rovereto. E per chi oggi vi lavora con professionalità e passione.
Il valore del «ventre materno» voluto da Mario Botta, della sovrastante cupola e degli ampi spazi del MART, con la vicina Biblioteca civica Tartarotti e l’Auditorium Melotti è immenso. Costituiscono un patrimonio che pochissime città europee e mondiali di appena 40 mila abitanti possono vantare e proporre ad ogni tipologia di pubblico.
Si tratta di riscaldare il rapporto con la città, di rendere il MART più familiare, di farlo diventare un Museo dell’Arte Moderna e Contemporanea a cui poter dare del «Tu» anziché del «Lei».
 
Ciò non significa ridurne il prestigio, tutt’altro. Ma, ribadisco, che anche l’aspetto interiore più personale sia importante per avvicinarci di più al MART, al nostro MART.
Immaginiamo di tornare ad interpretare la visione di Umberto Savoia, che immaginava uno Spazio-Museo-Laboratorio, pieno di artisti, soprattutto giovani, che nel Museo avrebbero potuto mettere alla prova i propri talenti, mescolando simboli, colori, forme, immagini e, perché no, provocazioni proiettate nel futuro.
Corsi di arte, spazi di collaudo e mura di esposizione.
 
Non so se tutto ciò basta o basterà per rendere il MART nei prossimi 20 anni meno estraneo alla vita comune di Rovereto e del Trentino. Personalmente, mi accontenterei che tutti noi ci sentissimo un po’ più vicini al Museo, rendendo il MART piano piano un po’ sempre più casa nostra.

Paolo Farinati – p.farinati@ladigetto.it

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