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Ipotesi di Terzo Statuto di Autonomia della Provincia di Trento

Un’opportunità per ripensare anche il ruolo dei Comuni trentini – Di Paolo Farinati

È da vari mesi che da più partiti, da più esponenti della nostra politica trentina e da più stimati studiosi del Diritto pubblico, si accenna e si ipotizza una revisione dello Statuto di Autonomia della Provincia di Trento.
Statuto che, come ben sappiamo, è Legge di valenza costituzionale, anche se negli ultimi decenni interventi su alcune materie hanno alleggerito l’iter di un suo possibile ulteriore ammodernamento.
 
È comprensibilmente materia assai delicata. Intervenire significa mutare norme, regolamenti e costumi ben radicati nella politica e nella comunità locale.
Certo è che l’Autonomia Speciale del Trentino è posta sempre più sotto una lente d’ingrandimento assai pericolosa, sia nazionale (vedi la dimenticanza della Premier Meloni in Parlamento!), che locale (leggi le dichiarazioni del Presidente Fugatti su una futuribile macroregione che vedrebbe il Trentino unito a Veneto e Lombardia!).
 
Insomma, qualche rischio che la nostra Autonomia Speciale sia ridotta c’è. Contrariamente a quella dei cugini dell’Alto Adige Sudtirol, capaci sempre di far valere a Roma, a Vienna e a Bruxelles le loro conquistate prerogative autonomistiche, con cui oggi sono oggettivamente una delle realtà territoriali europee di maggior benessere. Il loro merito va riconosciuto.
Ma torniamo al nostro Trentino, dove il principio di Alcide Degasperi che individuava già nel lontano 1946 «nelle capacità di fare meglio con meno risorse» il vero motore della nostra Speciale Autonomia si è alquanto sbiadito e affievolito.
 
Le troppe risorse ci hanno un po’ ubriacato, lo sviluppo economico e sociale e, quindi, la nostra capacità di creare ricchezza e benessere ha conosciuto da anni indiscutibilmente un significativo rallentamento.
La qualità dei servizi definiti pubblici, pertanto prioritari per la vita quotidiana dei cittadini, quali la sanità, la scuola, la politica per la casa, i trasporti non è più ai vertici delle classifiche nazionali.
A tutto questo si aggiunge da anni anche il malcontento dei Sindaci e degli amministratori dei Comuni trentini, sempre più alle prese con risorse finanziarie calanti e con strutture amministrative sempre più ridotte all’osso.
 
Questo vale per i grandi Comuni quali Trento e Rovereto, ma soprattutto per i molti piccoli Comuni. Chi ne paga le conseguenze è spesso, se non sempre, il cittadino.
La qualità dei servizi e della vita in genere dei nostri centri urbani come nelle valli è visibilmente in calo.
Infatti, quando ad un Comune mancano i denari vengono meno i necessari investimenti, come parallelamente quando un Sindaco manca del personale e delle figure professionali indispensabili, è costretto a chiedere alla Provincia o ad un Sindaco più grande l’aiuto necessario.
 
Questo porta inevitabilmente a meno efficacia ed efficienza nella pubblica amministrazione.
Cosa fare allora? Può essere un’opportunità aggiustare questa situazione quasi precaria attraverso una revisione del nostro Statuto di Autonomia? Ritengo di sì.
Volendo toccare un argomento concreto, partirei dall’assetto istituzionale del nostro Trentino, che ospita una popolazione di poco più di 530mila abitanti, distribuita su un territorio alpino, di conformazione non sempre facile da amministrare, di 6.207 km quadrati, da cui consegue una densità di popolazione di 85 abitanti per km quadrato.
 
I Comuni trentini sono 166. Il vicino Alto Adige Sudtirol ha un’estensione di circa 7.398 km quadrati, una popolazione di circa 521 mila persone, una densità di 72 abitanti per km quadrato e si divide su 116 Comuni.
La Costituzione italiana prevede quattro livelli istituzionali territoriali: lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni.
In Trentino ne abbiamo creato un altro: le Comunità di Valle. Non che questo fatto sia contro la nostra Costituzione, ma a distanza di più anni qualche bilancio politico ed amministrativo va responsabilmente fatto.
 
Da anni in Trentino si dibatte sulle Comunità di Valle, a prescindere da chi è al governo della nostra Provincia. È discussa la loro esistenza futura o meno, il loro ruolo politico e amministrativo, la loro sostenibilità.
Il territorio delle due Province Autonome di Trento e di Bolzano lo possiamo considerare assai simile, laddove la presenza delle montagne è considerevole, oltre che molto apprezzata ambientalmente e turisticamente, e si alterna a numerose valli di diversa morfologia.
Sappiamo che questo comporta una conduzione politico – amministrativa non sempre facile.
 
Basti pensare le difficoltà di portare e gestire su un simile territorio servizi primari quali la sanità, l’istruzione, il pubblico trasporto, la distribuzione dell’energia elettrica, dell’acqua, del riscaldamento, dei rifiuti urbani, solo per fare alcuni semplici ma concreti esempi.
Fin dai secoli scorsi le nostre comunità, sia di valle che di montagna, si sono per questo organizzate e unite per garantire la miglior qualità dei servizi alle famiglie e alle imprese e per abbatterne i costi medi.
In tal senso, va detto e riconosciuto, senza alcuna presunzione, che il Trentino è certamente ancora oggi un modello positivo. Ma comunque, va doverosamente aggiunto, sempre migliorabile.
 
I circa 4.500 milioni di euro a disposizione ogni anno del bilancio della Provincia Autonoma di Trento non sono poca cosa, anzi.
A mio modesto parere, vanno sempre monitorati, razionalizzati, mai sprecati e meglio allocati. I capitoli della parte corrente del bilancio dovrebbero e possono essere ridotti in maniera significativa, portando risorse verso le voci in conto capitale, ovvero in favore degli investimenti.
Investimenti che, se ben programmati, garantiscono qualità della vita e maggior benessere futuro alle nostre comunità.
 
Una sana e lungimirante programmazione degli investimenti richiede enti forti e affidabili, anche e soprattutto finanziariamente e territorialmente.
La Provincia di Trento lo è certamente: a parte i bravi cugini della Provincia di Bolzano, che sono meritatamente arrivati nel 2022 a disporre di un bilancio provinciale di quasi 6 miliardi e 300 milioni di euro, in Italia non vi è altra comunità di poco più di 530 mila abitanti che può contare su 4.500 milioni di euro di risorse pubbliche.
 
Dobbiamo essere onesti con noi stessi fino in fondo. Ma i 166 Comuni del Trentino sono alla stessa maniera forti e affidabili finanziariamente? Hanno tutti un organigramma confacente alle attese dei loro cittadini?
La mia trascorsa esperienza di pubblico amministratore e i contatti che ancora oggi ho con vari attuali Sindaci e Assessori comunali, mi fa dire assolutamente di NO(!). Vi sono Comuni che scarseggiano di personale operativo e di risorse economiche, anche per opere minori e servizi importanti per i loro abitanti.
Ne paga spesso la qualità della vita in quei Comuni.
 
Ecco che allora, se fossi il Presidente Fugatti, l’Assessore Gottardi o un qualche Sindaco, indifferentemente se di Comune grande o piccolo del Trentino, coglierei l’occasione del prospettato aggiornamento dello Statuto di Autonomia del Trentino per rivedere il ruolo delle Comunità di Valle e per andare alla radice del vero problema: l’eccessivo numero dei nostri Comuni trentini.
Ben 50 in più rispetto all’Alto Adige Sudtirol, Provincia quest’ultima che è pure più estesa della nostra(!).
 
Unire alcune dei nostri Comuni li renderebbe più forti, anche contrattualmente verso la PAT, più affidabili nelle loro risorse e più capaci di riscontri concreti ai propri cittadini. Le condizioni ci sono tutte.
È sempre questione di lungimiranza, di sana umiltà, di minor mal de campanil, di fare un passo indietro singolarmente per farne poi dieci assieme in avanti.
Argomento principe non devono essere le poltrone in meno, ma la qualità offerta quotidianamente alle persone che vivono in Trentino.
 
Se guardo alla mia amata Vallagarina, perché non ipotizzare un unico Comune della Destra Adige (unendo Isera, Nogaredo, Villa Lagarina, Pomarolo. Nomi), o uno degli Altipiani Cimbri (Folgaria, Lavarone, Luserna), o uno dell’Alta Vallagarina (Besenello, Calliano, Volano), o uno dei Due Vicariati (Mori, Ronzo-Chienis, Brentonico), o uno delle Valli del Leno (Trambileno, Terragnolo e Vallarsa). Solo per fare alcuni esempi concreti.
In conclusione, laddove anche la spesa pubblica dell’Italia e il suo debito sono quelli che purtroppo ben sappiamo, da cittadino chiedo alla politica locale di fare uno sforzo: uniamo i Comuni, i due livelli istituzionali costituiti dalla Provincia e dai Comuni (di minor numero!) sono più che sufficienti per governare 530mila persone e 6.207 km quadrati di territorio. E l’opportunità ce l’abbiamo sul tavolo ora.
 
Ricordiamoci le parole di Alcide Degasperi, riferite all’ottenimento e al mantenimento in futuro della nostra Autonomia Speciale: «…dobbiamo essere sempre capaci di fare meglio con minori risorse…».
Solo così si mostra di avere una visione, di saper costruire la necessaria credibilità politica, soprattutto verso lo Stato, il Parlamento e il Governo italiani. Ma soprattutto di voler portare la politica vicina ai cittadini.

Paolo Farinati

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