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Se ne è parlato al Trentodoc Festival

«La cucina vegetale per ritrovare un legame con la natura e la montagna»


Alessandro Gilmozzi, Pietro Leeman – Foto di Matteo Rensi
 
Non più finta imitazione della carne, la cucina vegetariana è oggi espressione di necessità e di istinti che spaziano dalla ricerca di un legame interculturale e ancestrale, fino al bisogno di una profonda riconnessione con la natura.
A parlarne, al Trentodoc Festival, Pietro Leemann, chef di Joia, il primo ristorante vegetariano in Italia ad ottenere una stella Michelin, e Alessandro Gilmozzi, a sua volta chef stellato di El Molin a Cavalese, noto per la sperimentazione delle materie prime nel suo menu.
Accanto a loro, due donne d’eccezione del panorama che lega montagna e cibo: Eleonora Cunaccia, titolare di Primitivizia, azienda agricola che raccoglie, confeziona e vende erbe spontanee, e Elena Paternoster, titolare di Mieli Thun.
«Mangiando un piatto preparato con i prodotti della natura, sentiamo vibrare qualcosa al suo interno, – spiega Leemann, sintetizzando una filosofia condivisa dagli ospiti. – Si tratta della stessa cosa che sentiamo vibrare in noi: è una riconnessione col mondo».
 

 
Cucina vegetale o cucina sensoriale. Si parte quindi dalle sensazioni.
«Se prendiamo un’erba come la negritella, che non si mangia, ognuno di noi può far corrispondere il suo odore a qualcosa di differente, – spiega Eleonora Cunaccia, titolare di Primitivizia, conoscitrice e maestra della raccolta delle erbe di montagna. – Per me ad esempio sa di cioccolato all’80%, per altri di cioccolato vanigliato, e così via.
«Parliamo quindi di una cucina che stimola gli istinti e allo stesso tempo legata a una visione d’insieme della natura: ci sono, ci si rende conto, dei tratti che accomunano tutte le valli, degli istinti, appunto, dei “semi” condivisi.»
Erbe, dunque, alla base di questa cucina, ma anche miele.
«Il miele è un prodotto vegetale – sottolinea Elena Paternoster, titolare di Mieli Thun insieme alla sorella Francesca, azienda di apicoltura e stoccaggio di miele, – come ci dimostra il fatto che diversi tipi di api produrrebbero, con lo stesso polline, sempre lo stesso miele, mentre diversi pollini, danno vita a mieli differenti.
«Si tratta poi – aggiunge – di un ingrediente puro e nobile, antico, che dovremmo reintrodurre abbondantemente nella cucina, anche in forme innovative. Penso ad esempio alla mantecatura di un risotto con miele di erica: l’effetto è quello di un profumo di funghi.»
 

 
Sensazioni che si legano a doppio filo alla spiritualità, per Pietro Leemann, chef stellato d Joia.
«Il cibo è uno strumento per rompere le barriere, per andare oltre ciò che siamo. Il cibo vegetale poi amplifica questo processo.
«Si tratta dell’entrare nell’essenza della natura, nel ritrovare, mangiando, qualcosa di dimenticato che giaceva dentro di noi».
Del resto, a suo avviso, «in natura si trova ogni elemento necessario per cibarsi. Il selvatico è in grado di darci ogni cosa».
Di qui l’ispirazione per il suo piatto presentato al Trentodoc Festival, in abbinamento alle bollicine di montagna, un “Porto del sole” composto di melanzane salate, passate in amido di mais, fritte e poi laccate in salsa teriyaki, su una base di composta di prugne e zenzero e di biscotti di grano saraceno.
«Un piatto che dimostra – chiarisce – come la cucina vegetale sappia anche avvicinare diverse culture».
 
E non da meno, come dimostra la ricetta di Alessandro Gilmozzi, chef di El Molin, raccontare la Storia: «”Ipotesi di torba”, il mio piatto, si ispira alla torba, che fino ai primi del ‘900 veniva data da mangiare ai bambini per la sua concentrazione di batteri “buoni” e che io ho potuto assaggiare durante un viaggio in Svizzera, – racconta. – Un sapore ancestrale, istintivo, di nuovo di totale riconnessione anche inconsapevole alla natura, che ripropongo con una focaccia al 70% composta da patate, intinta in salvia selvatica e cavolo nero e accostata a lichene bianco, polvere di porcini, polvere di betulla candita, menta selvatica e fiori di timo.»

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