Home | Rubriche | Parliamone | Appunti Olimpici e riflessioni su Trento/ 2 – Di Nadia Clementi

Appunti Olimpici e riflessioni su Trento/ 2 – Di Nadia Clementi

Intervista al commissario tecnico e selezionatore nazionale giovanili di nuoto Walter Bolognani – La lezione di Londra

image

Parliamo di Londra, di nuoto italiano, del gran vociare di fallimento fra voi tecnici, quali sono le accuse meritate e quelle esagerate? Cos’è che non ha funzionato?
«Le accuse meritate sono tutte quelle che si riferiscono al non aver prodotto i piazzamenti che tutti, noi compresi, attendevano. 
«La striscia di successi Olimpici del nuoto italiano continuava dal 1988 e dopo sei edizioni dei Giochi, la settima ci ha visto prendere solenni ceffoni.
«Detto come magra consolazione che ai tedeschi è successo lo stesso con la differenza che per loro non capitava di restare a zero dal 1932, credo che le cause siano molteplici: qualche problema di approccio alla gara della vita per alcuni, un eccesso di pressione o una scarsa consapevolezza per altri, un poco di distrazione, qualche sbavatura nella preparazione (sbavatura che stiamo ancora cercando di trovare), una incapacità di reazione agli insuccessi dei giorni iniziali… Ecco tutto questo sicuramente non ha funzionato.»
 
La gente si aspettava grandi risultati. Quanta colpa è degli atleti e quanta degli allenatori?
«Come dicevo prima, le ragioni sono molte. Personalmente, nel gioco delle parti tendo ad assolvere gli atleti e a far mia la colpa. Trattandosi di atleti con un alto profilo professionale, credo però che questa esplicitazione sia troppo semplicistica. Ma da questo a suddividere in percentuali le responsabilità del gruppo tecnico contro quelle di chi è il protagonista, credo non sia proponibile.
«Siamo una squadra, un team e si lavora assieme condividendo allori e momenti difficili come questo di Londra. Forse, e ribadisco forse, l’attesa per le medaglie è stata gonfiata oltre misura, costruendo nell’immaginario collettivo una corazzata che andava a raccogliere una messe di successi e scordando che, Sydney 2000 a parte, dal 1988 in poi le medaglie italiane nel nuoto sono state una o due e prima del 1988 ci furono le 3 della Calligaris a Monaco 1972. Per il resto nulla.
«Il mio rammarico è proprio nelle aspettative accese da una parte dei media in coloro che non sono strettamente addetti ai lavori; un titolo ad effetto, un servizio ridondante, qualche frase accattivante, fanno sfuggire la reale difficoltà di una Olimpiade e soprattutto fanno scordare che gli atleti (un nome su tutti, Federica Pellegrini) non possono vincere sempre. Tanto non eravamo marziani prima, quanto non siamo dei bidoni ora.»
 
Quanto penalizza l’atleta l’emozione di partecipare ad un olimpiade? Sono preparati gli atleti a sopportare lo stress da riflettori? Quanto incide sulla prestazione da 1 a 10?
«Entrare in una piscina coperta con quasi 20mila persone scatenate e nuotare al fianco dei più grandi atleti del mondo è senza dubbio un esercizio interessante per la solidità emotiva di chiunque.
«Se aggiungiamo il contorno che è rappresentato dal Villaggio Olimpico con migliaia di atleti che per lo più si ammirano in TV, dalla necessità di gestirsi e rimanere concentrati, aggiunto all’aspetto tutt’altro che trascurabile che si sta per effettuare la gara della propria vita beh, direi che incide molto sulla maggior parte degli atleti (italiani e non, chiaramente).»
 
Come vengono preparati gli atleti a un’olimpiade? Quante ore di allenamento al giorno? La Federazione sta molto vicina a loro, anche nei momenti di difficoltà?
«La Federazione accompagna gli atleti con raduni periodici di monitoraggio, di verifica e di lavoro intenso con regolarità. Il tutto è calendarizzato e intensificato con l’approssimarsi della stagione Olimpica. Quest’anno sono stati effettuati i camp di lavoro come da consuetudine e in linea con quanto fanno altri Paesi, svolgendone alcuni all’estero (USA, Canarie) per trovare condizioni climatiche favorevoli (d’inverno) oppure per avere condizioni di stress inferiore, lontani dai riflettori della stampa o da situazioni che possano creare distrazioni.
«Inoltre, i raduni collegiali aiutano alla costruzione di un team, di una squadra, facilitando le interazioni tra i ragazzi e tra questi ed il gruppo dei tecnici.
«Per quanto concerne i tempi di lavoro si tratta in linea molto generale di due sedute al giorno che variano dalle 2 alle 2 ore e mezza a seconda delle caratteristiche dell’atleta, con due momenti settimanali di preparazione a secco (anche tre, a seconda del momento stagionale).
«Il contatto rimane inoltre continuo anche nei momenti in cui gli atleti sono nelle loro sedi e si allenano con i loro club e tecnici. Esiste un rapporto costante sulle loro condizioni e sul loro procedere nell’allenamento stagionale.»
 
Vi confrontate con altri allenatori internazionali per studiare i loro metodi di lavoro?
«Personalmente ho la fortuna di conoscere colleghi un poco ovunque nel mondo e mi è facile instaurare un rapporto professionale redditizio, mi aiuta la conoscenza delle lingue straniere e trovo necessaria un’apertura mentale e non solo nei confronti del modo di sviluppare la preparazione in altre realtà e Nazioni.
«Se invece ci riferiamo al trend generale, direi che le conoscenze delle metodiche sono diffuse e le occasioni di confronto quali clinic, workshop e conferenze internazionali sono piuttosto diffuse. Chi vuole può senza dubbio essere aggiornato.»
 
Come giustifichiamo la prestazione della Pellegrini e di altri importanti mancati protagonisti?
«In realtà è una domanda che dovremmo porre direttamente a loro, altrimenti il rischio è quello di essere assimilato ai tanti che hanno dato ricette e cause per i loro insuccessi. Federica è un fenomeno che vince da quasi 10 anni ininterrottamente. Prima o poi sarebbe successo e la prima a esserne consapevole era ed è lei.
«Se però vogliamo scendere un poco più a fondo al problema, direi che le inevitabili distrazioni di media, sponsor, fans (quando siamo atterrati a Londra, l’aeroporto di Gatwick sembrava uno studio Tv con microfoni e telecamere che ci aspettavano ovunque) hanno contribuito a distogliere una parte di quelle attenzioni necessarie per continuare la striscia dei successi Olimpici.
«Luca Dotto, argento mondiale nello sprint lo scorso anno a Shanghai ha attraversato una stagione con problemi fisici importanti e credo che questo possa essere una spiegazione solida. Fabio Scozzoli, anche lui argento mondiale a rana nel 2011 ha ammesso errori nell’affrontare la finale dopo una semifinale eccellente che, se ripetuta, gli avrebbe regalato il bronzo.
«L’altro illustre assente è Filippo Magnini che però non si impone in un contesto mondiale da alcuni anni. Nell’immaginario collettivo anche lui è uno degli eroi che dovevano colorare di azzurro il podio, magari aiutando significativamente le staffette. Cosi non è stato, ma anche per Magnini, ora 30enne dobbiamo ricordare quanto ha vinto nel passato.»
 
Nella prossima Olimpiade ci saranno pochi atleti che hanno partecipato a Londra?
«L’anagrafe, le motivazioni, il logorio di una preparazione che non prevede alternative o scorciatoie gioca un ruolo importante, e per un atleta già affermato un quadriennio è un periodo piuttosto lungo, contrariamente a chi invece il quadriennio lo deve pianificare. La Federazione con la progettualità è già a Rio 2016.»
 
Alla luce dei fatti, se potesse ritornare indietro cosa cambierebbe nell’organizzazione e nella preparazione delle olimpiadi di nuoto italiano, i tecnici, gli allenatori o i protagonisti?
«Io, Walter, starei molto più attento all’approccio mentale della manifestazione, alla gestione del gruppo e dei singoli soggetti. Regalerei più tempo a quanto mi può venire regalato da un avvicinamento che preveda un consistente supporto psicologico-mentale-motivazionale per tutti. Riprenderei in mano anche tutti gli allenamenti svolti, vivisezionando il lavoro fatto sul campo.»
 
In conclusione, cosa possiamo dire di aver imparato da Londra 2012?
«Le rispondo con una frase di Confucio: La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel rialzarsi ogni volta che cadiamo.
«Siamo già al lavoro, ci siamo rialzati dal tappeto dove indiscutibilmente siamo caduti e lo stiamo facendo con spirito autocritico, con fiducia e con serenità.»
 
Nadia Clementi
n.clementi@ladigetto.it
(Precedente)
(Continua)

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande