Quarant’anni fa, con la strage di Piazza Fontana, iniziavano gli anni di piombo

Quel giorno ero a Milano. Avevo finito il corso alla Scuola Militare Alpina di Aosta e stavo andando a casa. - Di G. de Mozzi

Quarant'anni fa, alle 16.27, una bomba esplodeva alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano, che causò 17 vittime e un'ottantina di feriti.
Le celebrazioni sono tuttora caratterizzate dalla divisione e dalle polemiche. Anche quest'anno i cortei sono stati due, uno ufficiale e uno dei parenti delle vittime, divisi dalla cultura del sospetto della Strage di Stato, quando invece ormai la verità è stata fatta.
Che i colpevoli e i mandanti non siano stati puniti, è un dato di fatto. Ma che non si sappia chi siano, è falso.
I processi che si sono susseguiti per quasi quarant'anni non lasciano dubbi: è il sistema garantistico di questo Paese che ha permesso che non fosse fatta giustizia.

Quella terribile strage fu l'inizio di una lunga scia di sangue che percorse tutti gli anni Settanta, alternando le matrici dall'estrema destra all'estrema sinistra. Una lunga e terribile notte, che si concluse in sostanza con l'assassinio di Aldo Moro. Da questo punto di vista, lo Statista pugliese non morì invano.
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Chi scrive questo articolo si trovava a Milano proprio mentre stava avvenendo l'esplosione.
Avevo terminato il corso alla Scuola Militare Alpina di Aosta e la mattina di quel lontano 12 dicembre 1969 avevo preso il treno insieme ad altri colleghi per andare alla propria destinazione ai reparti operativi, passando da casa. Mio padre amava festeggiare Santa Lucia e il caso aveva voluto che il 13 dicembre potessi essere a casa anche l'anno del mio servizio militare.
Purtroppo, la ricorrenza restò nella mia memoria come l'anno della strage. Ero partito da Aosta, avevo cambiato il treno a Chivasso, ora lo stavo cambiando a Milano.
Il treno diretto a Venezia partì regolarmente, anche se le notizie della strage avevano fatto pensare a mille problemi logistici, compreso il rientro immediato alle proprie caserme.
Invece, per fortuna, passai Santa Lucia a casa con i miei genitori.

Non fu un anno facile il 1970 per i militari. A Malga Rossa erano morti in precedenza tre alpini a causa di un vile attentato e più di una volta, quando ero al comando di un distaccamento in Ordine Pubblico permanente a Fortezza, ricevetti fonogrammi di allerta in previsione di «possibili azioni esterne».
In questi casi, il piano di difesa precisato nel dispaccio prevedeva una precisa distribuzione maggiorata delle munizioni e l'allerta delle mitragliatrici leggere MG con alcune cassette di nastri 7.62. Ma io non avevo mai distribuito munizioni ai miei ragazzi, perché lo stare per troppo tempo in ordine pubblico li aveva resi irascibili e non volevo correre rischi sulla loro vita.
Sicché, quella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, quando mi arrivò il fonogramma di allerta più inquietante della mia vita militare, dovetti prendere una pragmatica decisione.

Quella notte, ma lo seppi solo molto tempo dopo, Junio Valerio Borghese aveva predisposto un colpo di stato. Non fu una cosa «seria» (e tuttora è piuttosto controversa), perché la decisione di muovere i carri armati che tenevano i motori accesi nelle caserme fin dalle prime ore della sera non venne mai presa. I maligni, per commentare la scarsa convinzione nel colpo di stato, commentarono anni dopo che il golpe era stato rinviato perché… pioveva.
La verità invece non la si conosce del tutto: Borghese ha sempre smentito ogni coinvolgimento diretto.

Beh, quella notte ricevetti l'ordine di attuare il piano di difesa B. Il caporalmaggiore lesse con me le disposizioni del piano, per cui ogni militare di guardia avrebbe dovuto ricevere il doppio di caricatori e sparare a chiunque non si fosse qualificato pronunciando la parola d'ordine. «Respingere qualsiasi attacco, ad ogni costo».
Aprii la cassaforte per leggere la parola d'ordine valida per quella notte e la distribuii ai miei ragazzi. Poi venne il momento di dotare i militari di munizioni.
«Cosa facciamo? - Mi chiese il caporalmaggiore. - Gliele diamo stavolta le munizioni? Il piano prevede il raddoppio…»
«Certo. - Risposi. - Gli diamo il doppio. Quanto fa zero per due?»
«Zero!» - Rispose soddisfatto.
Quella notte restammo armati di tutto punto solo io e il Caporalmaggiore. Caricatori e nastri delle MG restarono nella mia stanza, pronti per essere distribuiti.
Ma per fortuna non si mossero mai da lì: quella notte a Roma pioveva.

Guido de Mozzi